Recensione o commento # 1, data 00:00:00, 13/02/2020
Un racconto che evidenzia come la cosiddetta modernità sia la peggiore alienazione che esista: dimentica del passato, e orgogliosa di esserlo.
La condizione dell'esule è difficile, ma ne esiste una peggiore: quella di colui che è spossessato del proprio mondo, straniero a casa sua. I nativi americani, i cosiddetti indiani, ne sono un esempio tipico, tra gli altri. Quello dei nativi americani è uno degli olocausti di cui non si parla (quasi) mai, e a nessuno è venuto in mente di dedicare una giornata per ricordarlo. Mi sa che nemmeno tu concorrerai For President…
risposta dell'autore, data 00:00:00, 14/02/2020
Credo in effetti che si stia raggiungendo velocemente l'apice di quella alienazione di cui parli, che indubbiamente esiste. O forse l'alienazione è già storia e noi ci si appresta ora a viverne le conseguenze (è notizia di oggi il nuovo record assoluto della temperatura in Antartide, mentre fuori, a metà febbraio c'è un caldo assurdo e la nostra preoccupazione principale continua a essere quella di arrivare a fine mese, o forse a fine giornata). Genocidio a parte (non è poco, ovvio, ma ne abbiamo visti tanti), quello che duole è la supremazia (momentanea, anche questo è ovvio) concettuale dell'uomo sulla natura. Così è, ce ne dovremo fare una ragione. Va anche detto che in questi giorni l'ambientalismo comincia a essere un tema ricorrente e che per la prima volta si assiste a qualche iniziativa del mondo economico in questo senso, ma cazzo… Con calma eh.
Niente presidenza, in effetti. Vabbè, ci faremo una ragione anche di questo. Grazie della lettura Andr. Buona giornata.
Recensione o commento # 2, data 00:00:00, 14/02/2020
È uno dei (tanti) argomenti che mi fanno molto incazzare; trovo incomprensibile la necessità degli umani a prevaricare i diritti altrui, siano essi umani/animali o vegetali, ambientali, ... . È avvenuto negli USA, in Sud America, Australia, Europa... anche nella “pulita” Svizzera. Avviene ancora, tutti i giorni, forse in maniera più subdola. Stimo molto le persone che, come anche nel racconto il piccolo Falco, trovano la forza di reagire e lottare per mantenere nonostante tutto la propria identità e dignità. Trovo bellissima l’immagine finale, simbolica, poetica; il racconto mi è piaciuto ovviamente molto, riesce a trattare l’argomento in modo efficace, spietato, mai scontato.
Mi permetto di inserire due link interessanti:
https://www.avvenire.it/agora/pagine/bambini-rubati-unombra-sulla-svizzerahttp://www.agoravox.it/La-civilissima-svizzera-e-gli.html
risposta dell'autore, data 00:00:00, 15/02/2020
Ciao Selene. Molto interessanti, i link. Quante sono le cose terribili di cui non si sente parlare. Mi ha colpito nel secondo articolo, quello sugli Jenisch, come almeno un paio dei loro persecutori fossero pedofili e malgrado questo legittimati a decidere del destino di altri bambini. E poi ancora preti e altre suore, persone fallite (nello specifico, non in generale) che usano la fede per nascondercisi dietro e far valere un potere che non avrebbero nessun diritto d'avere. Che mondo assurdo, davvero.
Nel caso dei nativi d'America il motivo era logico. Logico per chi pensava e pensa che il proprio modo di vivere - basato sul costante bisogno di essere migliori degli altri (che spesso significa "avere di più"), migliori degli animali e della natura - sia più evoluto. Non avere mire di espansione, ma vivere il presente e la natura, era probabilmente considerato come sinonimo di passività. Questa era la giustificazione morale (noi ce la meritiamo questa terra e loro no) per le orde di immigrati (che sbandieravano la volontà di Dio, e molti americani lo fanno ancora, consumando nel frattempo 4, 5 volte il loro fabbisogno alimentare) per i quali la terra fertile non era mai abbastanza. Se poi cerchiamo un elemento comune che possa farci riagganciare ai tuoi link, possiamo dire che le culture diverse dalla propria (laddove la propria va per la maggiore) disturbano perché in primo luogo costituiscono spesso qualcosa che potenzialmente può mettere in dubbio la cultura maggioritaria. Eliminare o soggiogare le differenze, di conseguenza, funziona per i persecutori come una conferma della bontà dei propri principi. O perlomeno questa è la mia convinzione.
Recensione o commento # 3, data 00:00:00, 19/02/2020
Assolutamente... quanto dici mi ricorda anche quello che ho potuto vedere in Australia con le popolazioni aborigene e la Stolen Generation. Una gran vergogna.
Recensione o commento # 4, data 00:00:00, 20/02/2020
Struggente racconto-denuncia in cui, considerate le psicologie rappresentate, la parola “razzismo” si riassume in un’enorme R maiuscola atta a spiattellarci la destinazione finale di una delle sue più spregevolissime forme: l’arido alveo in cui scorre e si auto incensa, alla grande, il male. Il punto di vista del racconto, del resto, è ben determinato a non fare sconti di sorta, tanto che riesce a ben rappresentare quella realtà grottesca che nell’immaginario collettivo troppo spesso si appalesa come un film dalla trama talmente rivista da non fare quasi più nemmeno tanto notizia – ma ciò attecchisce solo nelle menti più maleficamente bacate. Un punto di vista che, invece, per alcuni versi, ci informa non solo che fine ha fatto il sangue versato di certi poveri cristi ritrovatosi sulla strada di aguzzini “civilizzati”, ma anche del risultato che tale sangue versato ha assunto (assume) nelle nostre coscienze. Un risultato in cui in cui la banalità del male è l’unico valore assoluto, e fa purtroppo la voce grossa sottoforma di progresso. Supermercati! La nostra società è ormai solo un enorme supermercato in cui impera la pubblicità e tutto il contorno vuoto pianificato. Un supermercato intriso di sangue, sì, ma la sua storia non è affatto ignara, tanto che le persone che ci camminano sopra “come se niente fosse” dovrebbero scusarsi all’infinito periodico. Eppure c’è chi non riesce a cogliere gli aspetti più truci di questo odioso sopruso storico atto a depredare, ad abbattere popoli fieri relegandoli nel nulla del silenzio, laddove menti sofisticate cercano di far passare di sottobanco sotto il nome di “conquista”, di “progresso”, giustificando l’ingiustificabile. Sono temi scottanti, come il tema della pedofilia, laddove quando solo uno vi si cimenta per rammentare che in questa terra non ci sono santi ma diavolacci, troverà sempre quello che ti dirà di non fare di tutta l’erba un fascio. Io invece condivido in toto chi pone l’accento a certe questioni, soprattutto facendolo al ritmo di una scrittura efficace come questa. Perché alla fine, scriveva un saggio, solo l’approssimativo è falso.
risposta dell'autore, data 00:00:00, 20/02/2020
Grazie, Carlo. Mi fa piacere aver ricevuto dei commenti di questo tipo. Certo il racconto non sposta una virgola delle ingiustizie passate e presenti, ma credo sia giusto scriverne, se non altro per averne una certa consapevolezza, che non guasta mai. D'altra parte le immagini di questi giorni dei profughi siriani in fuga dalla guerra e intrappolati in mezzo alla neve, danno la misura di come certe atrocità si ripetano in continuazione. La prossima volta pubblico qualcosa di più allegro, giuro.
recensore:
Ida Dainese(socio onorario, collaboratore)
donatore 2019 (2 dal 2015)
Recensione o commento # 5, data 00:00:00, 28/02/2020
Un racconto molto bello e molto triste, capace di toccare dentro quella parte di noi che di solito fa male. La scrittura perfetta trascina subito in mezzo alle ambientazioni della storia, nell'aula dove il piccolo disegna, nel cestino dove finisce il foglio, nell'autobus sotto la luna, sul crinale dove la visione del supermercato si alterna a quella del campo indiano. Gli sguardi cattivi, l'ignoranza che produce gesti meschini, le ingiustizie, i massacri, assomigliano a tanti, innumerevoli altri di cui abbiamo saputo, di cui sappiamo e di cui verremo a sapere. La vista di quelle stelle cadute dalla bandiera dovrebbe continuare a riverberare negli occhi di chi le ha guardate. La ripetizione nel tempo della cattiveria spietata è quella che dovrebbe ferire sempre ognuno di noi, finché ci vantiamo di avere un'anima.
risposta dell'autore, data 00:00:00, 08/03/2020
Ma non lo fa. Non si rimane feriti ogni volta. Non è nella natura delle cose, quando le atrocità si ripetono e noi si vive senza la reale possibilità di cambiare nulla o senza il reale desiderio di stravolgere la propria vita per votarsi idealmente a qualche causa (desiderio che io non nutro assolutamente). Si produce piuttosto una sottile ragnatela di rassegnazione e tristezza che ti spinge a scrivere racconti mesti e deprimenti come questo. E anche, spero, un naturale senso di insofferenza nei confronti dell'idiozia generalizzata a cui siamo sottoposti quotidianamente. Quella, per intenderci e per mantenerci nell'attualità degli eventi, di chi si indigna per un cinese col raffreddore e non gliene frega niente di un attivista incarcerato e torturato in Egitto, di un giornalista fatto a pezzi nel consolato saudita a Istanbul o di una colonna di profughi siriani abbandonati a sé stessi. Vabbè, sono cose già dette, mi rendo conto. Rimanendo nello specifico, grazie per il bel commento, Ida. Fa sempre piacere.