Il roseto
Il roseto
Chissà se anche lei sta giungendo alla stessa conclusione, se vorrà buttare uno sguardo a quei cespugli mentre scende i gradini di casa con le valige in mano.
Perché se ne sta andando lei. Lei lascerà il “tetto coniugale”.
«Preferisco così» aveva detto «non resisterei dentro questa casa, è troppo piena di brutti ricordi.»
Questa era stata la frase che più di tutte gli aveva dato l’idea, forse per la prima volta, dell’enormità di quel che stava per succedere. In quel momento aveva capito di essere arrivato a un punto di non ritorno.
Perché lui in quella casa non aveva solo brutti ricordi. C’erano, questo è ovvio, ma se scavava, se toglieva di mezzo quegli ultimi anni, lui riusciva a vedere anche quanto di buono c’era stato tra loro, quanto di bello avevano condiviso tra quelle mura.
«Io non ne sono poi così sicura» aveva detto lei quando lui aveva cercato di salvare il salvabile «forse un tempo saremo anche stati felici, ma ti assicuro che sei riuscito a farmi dimenticare quei momenti.»
Per notti intere s’era chiesto cosa avesse fatto di terribile, se davvero era stata una così brutta persona da causare tutto quel rancore.
«Guarda che la croce si fa con due bastoni» aveva tentato di replicare lui.
«Piantala con i tuoi proverbi, ti credi simpatico e invece mi fanno uscire di testa.»
Eppure le piacevano un tempo, «ne hai uno per ogni occasione» diceva ridendo, poi lo stuzzicava perché lui ne trovasse sempre di nuovi.
«Be’ comunque è vero: la croce si fa con due bastoni» urla, mentre la macchina di sua moglie svolta l’angolo forse per l’ultima, «si tratta di stabilire qual è il più lungo» finisce però con un sussurro.
È disposto ad ammettere di aver aperto gli occhi troppo tardi, di essersi crogiolato nell’illusione che tutto andasse bene, o per lo meno non troppo male. Ma che addirittura sia solo sua la colpa del disastro, questo no, non lo accetta.
«Ho aspettato che i ragazzi fossero grandi e fuori di casa, avessi potuto me ne sarei andata prima» gli aveva detto lei più di una volta.
«Perché non mi hai mai detto niente?»
«Perché tu non hai mai capito niente?»
È una colpa questa? Lui non è fatto per le intuizioni, le introspezioni. È uomo d’azione lui.
Dategli un problema e lui ve lo risolverà, dicono di lui i colleghi. Se lei sin da subito avesse manifestato chiaramente cosa la tormentava, lui avrebbe agito.
«Tanto per cominciare, passavi più tempo con quelle tue maledette rose piuttosto che a chiederti come stavo io.»
Be’, tanto per chiarire quelle rose non erano le “sue” rose, erano le loro rose. Anzi, era stata lei a volerle.
«Coltiveremo rose» aveva annunciato di punto in bianco in luna di miele davanti a un tramonto spettacolare.
«Dobbiamo coltivare rose?» Aveva chiesto lui sorpreso.
«Si, ci prenderemo cura di loro per prenderci cura di noi.»
Lui non ne aveva compreso la similitudine, ma aveva acconsentito, nonostante si sentisse lontano dal giardinaggio quanto alla luna che stava sorgendo davanti a loro. Ma allora avrebbe fatto ogni cosa a lei fosse venuta in mente pur di accontentarla, disposto a tutto purché quegli occhi meravigliosi continuassero a guardarlo come lo guardavano in quel momento.
Appena tornati dal viaggio di nozze lei l’aveva trascinato con impazienza in un vivaio e l’aveva convinto a prendere qualche decina di piantine da sistemare nel giardino della loro nuova casa.
«Perché l’amore va coltivato giorno dopo giorno, come queste rose, va annaffiato, potato, coccolato» ripeteva lei in continuazione «ogni volta che faremo qualcosa per loro, sarà come se lo facessimo per il nostro amore.»
Avevano poco più che vent’anni e la vita sembrava così semplice allora: un po’ d’acqua e di concime, tante risate e tutto si sistemava.
Poi col passare del tempo lui a quelle rose s’era appassionato davvero. Dedicava loro parecchio del suo tempo libero, quasi fossero un balsamo contro tutte le fatiche della vita.
Solo con il senno di poi s’era reso conto che lei a quelle rose aveva smesso di badare da tempo.
«Perché io badavo alle cose importanti! Forse non te ne sei accorto, ma c’era una casa da mandare avanti.»
«Vorresti dire che io non ho contribuito?»
«Certo, secondo le tue priorità.»
Di sicuro il lavoro era stata una sua priorità, ma erano d’accordo entrambi che fosse lui a puntare sulla carriera. Guadagnava bene, a sufficienza per garantire alla famiglia tutto quello di cui avevano bisogno e molto di più. In poco tempo era arrivato, di promozione in promozione, fino in cima alla piramide e lei sembrava godere quanto lui dei suoi successi.
Non l’ascoltava sempre con interesse quando lui le raccontava tutto quello che succedeva in ufficio?
Il tempo per la famiglia diminuiva sempre di più, ma era inevitabile e lei s’era detta d’accordo.
D’altra parte stare a casa a fare la mamma era stata una sua scelta, lui non glielo aveva certo imposto. Quando erano arrivati i gemelli, lei non ci aveva pensato due volte a licenziarsi.
«A me non importa, non mi dispiace lasciare il lavoro, penso io a tutto» l’aveva sentito lui con le sue orecchie, perché poi s’era rimangiata tutto?
«E comunque, anch’io ho fatto la mia parte, mi sono preso cura delle nostre rose.»
Perché non riusciva a capire? Non era stata forse lei a dire che prendersi cura delle rose era come prendersi cura del loro amore? Lui l’aveva fatto per lei, per loro. Cosa c’era di sbagliato, in questo?
«Rosa rossa Asso di Cuori, petali carnosi di un rosso intenso e brillante, fiorisce da maggio a ottobre e resiste bene alla intemperie, profumo delicato» recita a fior di labbra accarezzando con delicatezza uno dei boccioli.
Le rosse sono da sempre le sue preferite, lei invece amava quelle bianche.
«Non c’è paragone» insisteva lei «le rosse sono scontate, le bianche le devi scoprire. Ogni petalo ha una sua sfumatura particolare, per niente uguale al petalo vicino.»
Ma poi ne avevano piantate dei più diversi colori: gialle, rosate, screziate, rampicanti e profumate, soprattutto profumate.
I primi tempi passavano ore sul prato, ai piedi del cespuglio a lasciarsi inondare dal loro profumo. «Non sono mica tutti uguali i profumi, ogni rosa ha il suo e bisogna imparare a cogliere le differenze»
«Rosa Blue Monday, di color lilla, dallo stelo lungo con fiore solitario, resistente e dalla forma perfetta, profumo molto intenso» continua a recitare, quasi fosse un libro stampato.
Questa era l’ultima arrivata, l’aveva scovata da poco e aveva attecchito bene; ne era molto fiero.
Lei invece non l’aveva degnata di uno sguardo. Quello avrebbe dovuto essere un campanello d’allarme, ma lui non l’aveva colto.
«Guarda, i cespugli sono pieni di boccioli, aspetta qualche giorno, almeno fino quando tutte le nostre rose saranno sbocciate, te ne prego» l’ha implorata quella mattina.
Non sapeva perché l’avesse detto, forse nell’estrema speranza che la bellezza primaverile dei cespugli che un tempo toglieva loro il fiato, sarebbe stata sufficiente a farla rimanere.
«Non essere patetico» l’aveva liquidato lei, senza nemmeno guardarlo negli occhi. Poi era salita in macchina e se n’era andata.
Il rumore secco della portiera sbattuta con forza gli era rimbombato dentro per ore.
Strappa con forza uno dei boccioli e una spina gli si conficca nel dito. Una goccia di sangue cade sul selciato solo di poco preceduta da una lacrima, poi da un’altra e un’altra ancora.
«Madre natura è saggia» diceva spesso sua moglie «senza queste spine a proteggerle, povere rose!»
Una piccola pozza di un rosso sbiadito dalle sue lacrime si allarga tra i piedi e lui non fa niente per fermare né il sangue né il suo pianto.
Chi protegge un uomo che ha sbagliato? Un uomo a cui è stato strappato tutto, forse per colpa sua?
Un uomo che ha capito troppo tardi di non aver capito niente della vita?
Le estirperà tutte, ormai ha deciso. Gli darà fuoco, le reciderà con la cesoia una a una, oppure butterà loro del veleno.
Qualcosa farà, non le vuole più vedere. Come si permettono di essere così sfacciatamente rigogliose, quando dentro di lui tutto sta morendo? Dovrebbero sfiorire ora, in questo instante.
Non possono continuare a esistere, sbocciare e crescere. Hanno fallito il loro compito e hanno permesso a lui di fallire il proprio.
Il campanile batte i rintocchi delle ore, li batte ancora, poi di nuovo e parecchie altre volte. Le ombre della sera si allungano veloci.
Ma lui è sempre lì.
Lì, dove lei l’ha visto per l’ultima volta e dove lui l’aspetterà, dovesse mai cambiare idea.
Anche se fa freddo, perché in primavera le sere sono ancora fredde e forse lo saranno per sempre, il buio sarà sempre più buio e il silenzio infinito, da ora in poi.
O forse no.
Da lontano un rombo, un rumore che ben riconosce, dapprima sommesso poi sempre più vicino, lo desta dal suo torpore. Due fasci di luce tremolanti sembrano davvero venire verso di lui e rischiarare la notte. L’auto arriva piano e parcheggia proprio lì, dove ha sempre parcheggiato.
Dopo un tempo che a lui sembra eterno, la portiera si apre e poi con delicatezza, con infinita dolcezza, si chiude.
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e invence il ritorno di lei mi sa di melenso, di lieta fine obbligatoria.
davvero, avrei preferito una chiusura tragica, tipo l'incendio delle rose, a quella che ho letto.
la storia è scritta bene, anche se non chiarisce perché lei se ne va in quel modo e poi ritorna.
le descrizioni sono buone, è un buon lavoro in generale.
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Re: Commento
Già ammetto che a volte capire noi donne è alquanto faticoso Ti ringrazio per il commentoAndr60 ha scritto: ↑15/05/2021, 10:43 Quand'è che un amore finisce? Quando i pregi del partner scompaiono e i difetti diventano insopportabili. Nel caso di questa coppia, lui dedica troppo tempo al lavoro e alle rose e poco a lei, che alla fine se va. O forse no: si sa, le donne sono multitasking, cioè oltre e fare più cose insieme a volte pensano sì e no contemporaneamente, per questo capirle non è semplice.
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Re: Commento
Nelle mie intenzioni iniziali il racconto finiva proprio con la distruzione delle rose, poi mi è stato fatto notare da chi mi sta vicino che ultimamente i miei racconti sono un po' troppo tragici o malinconici. Quindi, visto anche il periodo, ho avuto voglia di un po' di speranza e ho cambiato il finale.Fausto Scatoli ha scritto: ↑15/05/2021, 15:41 se non fosse per il finale, direi che mi è piaciuto parecchio.
e invence il ritorno di lei mi sa di melenso, di lieta fine obbligatoria.
davvero, avrei preferito una chiusura tragica, tipo l'incendio delle rose, a quella che ho letto.
la storia è scritta bene, anche se non chiarisce perché lei se ne va in quel modo e poi ritorna.
le descrizioni sono buone, è un buon lavoro in generale.
Ti ringrazio per le parole di apprezzamento
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Complice di serate e di risate, veicolo per vecchie e nuove amicizie, la birra ci accompagna e ha accompagnato la nostra storia. "Dentro la birra", abbiamo scelto questo titolo perché crediamo sia interessante sapere che cosa ci sia di così attraente nella bevanda gialla, gasata e amarognola. Perchè piace così tanto? Che emozioni fa provare? Abbiamo affidato questa "indagine" a Braviautori, affinché trovasse, tramite l'associazione e il portale internet, scrittori capaci di esprimere tali sensazioni. E infatti sono arrivati numerosi racconti: la commissione ne ha scelti 33. Nemmeno a farlo apposta, 33 è la quantità di centilitri di un gran numero di bottiglie (e lattine) di birra; una misura nota a chi se n'intende.
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