Non credo alle storie con il lieto fine
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Non credo alle storie con il lieto fine
Viorela aveva capelli biondi tinti alla meglio con un prodotto acquistato sottoprezzo in un qualche discount nei pressi di Aviano e la faccia tonda e paffuta di chi ha come unico vantaggio la propria giovinezza. Si chiamava Viorela Antonescu, un nome come tanti nel buio dei locali frequentati dai piloti della vicina base americana, nel frastuono della musica tecno delle discoteche perdute nel buio in mezzo al nebbioso Friuli.
L’avevano messa a servire ai tavoli Viorela dai limpidi occhi d’acqua marina, anche se non capiva un tubo delle ordinazioni che le facevano e decifrava solo ciò che le indicavano nella carta. I suoi sogni non c’erano mai stati o forse s’erano perduti per strada ed erano rimaste soltanto le illusioni a farle compagnia la sera quando si ritirava nella sua camera in affitto.
Lui si chiamava John. Un John qualsiasi che veniva dagli sterminati campi di granturco dell’Iowa e che aveva sposato il desiderio di fare il pilota con l’uniforme della US Air Force. Sacrifici tanti per lui che veniva dalla periferia del grande impero, dalle campagne, figlio di contadini, da generazioni legati alla terra e alla coltivazione del mais, alla fatica e ai ritmi lenti della terra, indebitatisi fino al midollo per assecondare i sogni del figlio.
Si erano incontrati in quel locale, balbettando entrambi in un italiano che non esisteva se non nelle loro bocche. Entrambi stranieri in terra straniera, precipitati in quel luogo per uno strano scherzo del destino. Viorela aveva voglia di credere in un futuro migliore e offrì la parte migliore di sé a quello sconosciuto che veniva dall’altra parte del mondo e che le parlava di libertà, di spazi infiniti, di sogni che era possibile realizzare solo che lo si volesse. John era un romantico, un tipo alla buona, grasso come i manzi delle sue parti, allegro come solo i contadini sanno essere.
Avevano fatto l’amore tante volte in quell’Humvee verde scuro, sotto gli archi romani che agli occhi di lui ardevano d’una luce esotica e che per Viorela erano nient’altro che vecchie pietre malmesse. Forse si erano anche innamorati. Forse si erano scambiati reciproche promesse abbracciati insieme sotto la luna delle Alpi, in un Friuli straniero per entrambi. Ma quando la loro storia venne alle orecchie dei superiori di John questa gli causò parecchie noie. La cameriera rumena divenne la puttana rumena e tutti i suoi commilitoni cominciarono a sfotterlo e a farsi beffe dei suoi propositi di matrimonio.
John Eisler divenne per tutti John Draculescu nella base dei paladini della libertà del mondo libero.
Non credo alle storie con il lieto fine. E sono sicuro che a questo punto punto vi aspettereste un qualche finale al calor bianco: tipo lei aspetta un figlio e lui da perfetto mascalzone la molla, oppure una conclusione mista tra il noir e l’horror, lui è un sadico maiale che la sevizia e la lascia moribonda in una strada di campagna, gli occhi celesti fuori dai bulbi rosicchiati dai topi.
E invece no: perché John era un uomo d’onore e seppe vincere i tentennamenti e i pregiudizi del suo comando e le critiche gratuite e malvagie dei suoi compagni. Perché John alla fine sposò la piccola Viorela figlia di nessuno perché quello era l’unico modo che conosceva di stare insieme e si comportò da marito attento e affettuoso e le rimase anche fedele, non tradendola mai, neanche col pensiero, fino alla fine dei suoi giorni
E allora forse Viorela lo molla dopo avergli rubato fino all’ultimo centesimo scappando con un altro ingenuo come lui, diranno molti di voi.
Ma alla fine Viorela fu una moglie altrettanto devota e divenne per il suo John come il bastone per il giovane albero. E insieme vissero una vita felice, ebbero tanti figli e innumerevoli nipoti e riscattarono dai mutui la vecchia fattoria dei genitori di John, vivendo i loro ultimi anni insieme a coltivar granturco, nelle sterminate pianure dell’Iowa. Amen.
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La merita perché se tu, autore, ti dirigi così apertamente al lettore, vuoi che il lettore ti risponda.
La chiosa diventa un pistolotto: vuoi scrivere la storia così com'è e lasciare che ciascuno abbia la libertà di farsi la propria opinione, o siccome la storia è tua (tua di possesso, cosa che non mi sono mai permesso di credere delle storie da me scritte) dobbiamo capire per filo e per segno quello che ne pensi tu? Così l'ammazzi, la storia, non le permetti di vivere la SUA vita!
Che è anche una bella storia, indipendentemente dal fatto che abbia o meno un lieto fine.
O forse il problema è che, per tanti motivi che non sto qui a elencare, scrivere un lieto fine è meno banale di quel che sembra e hai cercato di chiudere così. In questo caso (ipotetico) "la normalità non è mai banalità". Tra l'altro, i tuoi personaggi, bellissimi (letterariamente parlando), sono tutt'altro che banali. Condivido l'opinione di RobertoBecattini che hanno un potenziale, notevole!
Sullo scritto: introduci tre volte il nome di Viorela, secondo uno schema che serve a dare un "volto" ai personaggi, ma sono troppe. La prima volta puoi farlo per presentarla, poi devi usarlo, quel nome, o diventa un fermaposto.
Insomma, il voto lo merita la storia, ma a te t'aggia tira' 'e 'rrecchie (quello che si dice di un bravo ragazzo figlio di un biasimevole genitore).
Racconti alla Luce della Luna
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Il racconto mi è piaciuto, ho apprezzato anche l'ironia suggerita dall'uso disinvolto di certi stereotipi, il giocare con il lettore anticipando le domande e svicolando in altra direzione. Concordo con chi mi ha preceduto nei commenti sul potenziale dei personaggi, non del tutto espresso, ma la storia mantiene una leggerezza che la rende gradevole.
In questa frase "E sono sicuro che a questo punto punto vi aspettereste un qualche finale…" c'è un "punto" di troppo.
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Intervista su BraviAutori.it: https://www.braviautori.it/forum/viewto ... =76&t=5384
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Commento : Non credo alle storie con il lieto fine
Segnalazioni:
della tivvù. - meglio della TV.
diciott’anni – per me non si usa l’apostrofo
toglierei qualche “Viorela” – per me basterebbe qualche pronome.
s’erano -- per me non si usa l’apostrofo
d’una -- per me non si usa l’apostrofo
a questo punto punto vi aspettereste – un solo punto (già segnalato in altri commenti)
alla fine dei suoi giorni -- manca il punto
da quella città triste appena – dopo triste ci sta bene una virgola
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Viorela aveva capelli biondi tinti alla meglio con un prodotto sottoprezzo, acquistato in un qualche discount nei pressi di Aviano, e la faccia tonda e paffuta di chi ha come unico vantaggio la propria giovinezza.
discoteche, perdute nel buio - dopo discoteche ci metterei una virgola
C’è un uso spropositato del “che” – ben 22 – seguono due esempi di come sia possibile eliminarne alcuni.
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che erano complimenti rubati, con l’unico
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che veniva dall’altra parte del mondo e le parlava di
commento al contenuto del racconto.
Mi piace l’idea di far parlare direttamente l’autore, non è una novità ma ci sta bene.
La vicenda è semplice ma accattivante, la narrazione procede secondo un giusto filo logico.
Non aggiungo altro.
Ottimo il commento di Marino Maiorino, e non saprei esprimere meglio di lui queste sue osservazioni veramente perfette e alle quali mi associo completamente.
Voto dal 3 al 4 – Inutile dire che questo sistema di valutazione ridotto mi mette in difficoltà.
- Ishramit
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Re: Non credo alle storie con il lieto fine
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aggiungo che "tivvù" è sbagliato.
poi dici che non ami il lieto fine e invece ne metti uno ad hoc, di quelli da Harmony.
a mio parere potevi risparmiarti alcune frasi rivolte al lettore nella fase finale, indeboliscono parecchio il racconto.
nel complesso direi che si lascia leggere
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Il racconto è molto fluido, mi ha fatto veramente piacere leggerlo e ti ringrazio per averlo condiviso con noi!
Calendario BraviAutori.it "Writer Factor" 2016 - (a colori)
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Haiku - il giro del mondo in 17 sillabe
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La Gara 29 - Storie parallele
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Time City
amanti nel tempo
Con questo romanzo scopriremo in che modo un rivoluzionario viaggio nel Tempo darà il via a un innovativo sistema di colonizzare la Luna e, forse, l'intero Universo. Partendo dalla Terra con una macchina del Tempo, è possibile arrivare sulla Luna? In queste pagine vi sarà raccontato del lato "Tempo" di questa domanda. La parte "Luna" (qui solo accennata) verrà sviluppata più corposamente nel seguito di questo libro auto-conclusivo. L'autore ha cercato a lungo qualche riferimento a opere che narrassero di un crononauta che sfrutti il viaggio nel Tempo per raggiungere il nostro satellite naturale, ma non è riuscito a trovarne alcuna. Lo scrittore Giovanni Mongini (autore, tra le varie cose, dello splendido articolo "Viaggio al centro del tempo") lo ha confortato in tal senso, perciò si vuole concedere il lusso di indicare la sua persona come colei che ha inventato per prima questo tipo di viaggio Terra-Tempo-Luna. Concedeteglielo, vi prego, almeno per un po' di… tempo.
Di Massimo Baglione.
Vedi ANTEPRIMA (1,00 MB scaricato 445 volte).
Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
Kriminal.e
Kriminal.e è una raccolta di testi gialli "evoluti", che contengono cioè elementi tecnologici legati all'elettronica moderna.
Copertina di Diego Capani.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Tullio Aragona, Nunzio Campanelli, Lorella Fanotti, Lodovico Ferrari, Emanuele Finardi, Concita Imperatrice, Angelo Manarola, Francesca Paolucci, Umberto Pasqui, Antonella Pighin, Alessandro Renna, Enrico Teodorani.
Vedi ANTEPRIMA (172,07 KB scaricato 189 volte).
Carosello
antologia di opere ispirate dal concetto di Carosello e per ricordare il 40° anniversario della sua chiusura
Nel 1977 andava in onda l'ultima puntata del popolare spettacolo televisivo serale seguito da adulti e bambini. Carosello era una sorta di contenitore pubblicitario, dove cartoni animati e pupazzetti vari facevano da allegro contorno ai prodotti da reclamizzare. Dato che questo programma andava in onda di sera, Carosello rappresentò per molti bambini il segnale di "stop alle attività quotidiane". Infatti si diffuse presto la formula "E dopo il Carosello, tutti a nanna".
Per il 40° anniversario della sua chiusura, agli autori abbiamo chiesto opere di genere libero che tenessero conto della semplicità che ha caratterizzato Carosello nei vent'anni durante i quali è andato felicemente in onda. I dodici autori qui pubblicati hanno partecipato alle selezioni del concorso e sono stati selezionati per questo progetto letterario. Le loro opere sono degni omaggi ai nostri ricordi (un po' sbiaditi e in bianco e nero) di un modo di stare in famiglia ormai dimenticato.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Giorgio Leone, Enrico Teodorani, Cristina Giuntini, Maria Rosaria Spirito, Francesco Zanni Bertelli, Serena Barsottelli, Alberto Tivoli, Laura Traverso, Enrico Arlandini, Francesca Rosaria Riso, Giovanni Teresi, Angela Catalini.
Vedi ANTEPRIMA (357,78 KB scaricato 104 volte).