La fratellanza

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Athosg
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La fratellanza

Messaggio da leggere da Athosg »

leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Giordano Bruno Galli era un uomo di sessantacinque anni alto e atletico, con un bel viso dai tratti regolari e un ciuffo quieto che scendeva obliquo lungo la fronte, poco sopra le sopracciglia. L'unico difetto era l'occhio spento e indifferente, come se la scintilla divina si fosse inceppata proprio lì, su quello sguardo anonimo.
Tutti in azienda lo appellavano Ambrogio, a sua insaputa, come spesso capita anche in politica. Il nome era stato mutuato dal celebre spot della Ferrero Rocher, dove Ambrogio era un maggiordomo serio e impettito, tutto dedito al servizio di una signora molto elegante. In questo caso invece la peculiarità del soggetto era dovuta a un elemento del corpo umano: la lingua. Aveva buona parlantina senza dire nulla, amico dei potenti e compagnone del mondo di sotto e di mezzo.
Ambrogio possedeva un’innata predisposizione al salamelecco. Al popolo aziendale era rimasta impressa come un timbro infuocato sulla ceralacca, un episodio di tanti anni prima, dove il nostro corse come Usain Bolt a porgere i saluti, sotto una pioggia battente, alla moglie di Piccion, il patron della Divanite. Lo si vide ritornare verso l’auto inzuppato come un biscotto del mattino, con stampato in faccia un sorriso ebete e felice.
In quel caso, la frase che Giobbe scrisse sulla chat degli Eretici Aziendali - Ma neanche Ambrogio farebbe così! – entrò nel mito.
Ambrogio lavorava alla Divanite da circa quarant’anni. A un primo successo, che lo aveva affrancato dal lavoro di magazziniere, seguirono anni di scarso rendimento. Piccion, quando veniva sollecitato dai collaboratori che chiedevano un giudizio su Ambrogio, da anni usciva con la stessa frase: è un bravo ragazzo.

In quell’ottobre piovoso alla Divanite gli animi erano un po’ sottosopra: mentre le vendite diminuivano, i problemi di produzione aumentavano. Ambrogio, quel lunedì mattina, mentre si recava a lavoro nel traffico della tangenziale, sentiva un fastidioso fischio alle orecchie.

Alle otto meno dieci Osvaldo Piccion se ne stava seduto alla sua scrivania. Gilberto, il figlio destinato a rilevarne le redini, si sedette compunto con la schiena leggermente arcuata. Si era preparato tutto il discorso la notte prima, ricontrollandolo più volte, perché le riunioni con il padre lo trovavano sempre in soggezione.
“Papà, il fatturato è calato del due virgola zero ottantatré per cento. C’è stato un problema di produzione che conto di sistemare entro fine mese. Volevo però porti l’accento su questo dato: le vendite in Inghilterra e Irlanda si sono bloccate. È strano, fino a sei mesi fa era l’unico mercato che tirava e ora è in piena crisi.”
“Lo so. Ne hai parlato con Giordano Bruno?”
“Sì, mi spiegava che Smith, il coordinatore inglese, ha avuto dei problemi negli ultimi mesi. Gli è morto il gatto.”
“Il gatto?”
“Sì, il gatto. Gli era molto affezionato e lui è andato in crisi; si è chiuso in casa per due mesi. Senza mai uscire. E senza lavorare. La governante badava a tutto.”
Piccion sentiva il nervoso salire dalle viscere; ne aveva udite tante nella sua lunga vita d’imprenditore ma questa panzana del gatto gli suonava proprio strana.
“E tu non gli hai detto niente?”
“No.”
“Chiamalo.”
Dopo mezz’ora Ambrogio entrò nell’ufficio del gran capo. Indossava un abito grigio, con un fazzolettino rosa che sbucava dal taschino della giacca. A prima vista sembrava invitato a un matrimonio, se non addirittura che fosse lui stesso lo sposo.
“Ciao GB, come sei vestito bene.”
“Osvaldo, come stai? Mamma mia quanta pioggia. Pensa che a Lissone le strade erano allagate e i…”
“Sì, Sì, lo so. Senti, mi diceva Gilberto del problema che ha avuto Smith.”
“Taci, ne sono rimasto sorpreso anch’io. Gli è morto il gatto e non è più uscito da casa. Era più di un mese che non lo sentivo poi, quando gli ho mandato un messaggio, mi ha risposto che era al buio in cucina ad aspettare non si sa cosa” gli rispose Ambrogio affannato.
Piccion lo guardò con durezza. “E tu non l‘hai chiamato per più di un mese! Cris…è il capo di ventisette rappresentanti, come fai a non sentirlo mai?” ringhiò.
“Eh, mi sembrava che le cose andassero bene, gli ordini arrivavano e quindi lo lasciavo stare.”
“GB, gli ordini nell’ultimo periodo non sono calati, sono crollati!” intervenne Gilberto rosso in viso, con un ciuffo di capelli che gli ballonzolava davanti agli occhi. Piccion ascoltava le parole del figlio quando squillò il telefono. Fece segno con la mano ai due di uscire.
Gilberto e Ambrogio si guardarono in faccia senza proseguire il discorso, poi ognuno andò per la sua strada. Quest’ultimo salì al quarto piano a parlare con Orietta. Quando si sentiva con le spalle al muro, si rifugiava spesso dalla ragazza dai lunghi capelli biondi.
Entrò in ufficio e la vide tutta seria e concentrata su un tabulato pieno di numeri.
“Allora come va? Io sono appena stato da Piccion. Tutto bene, le vendite sono un po’ in calo, ma non vedo problemi.”
Orietta lo guardò incuriosita. “Solo con te è tranquillo. Ieri era qui con me, Pelliccia e Giobbe e ci ha fatto una scenata memorabile. Se non ci ha preso a randellate è un miracolo, rimandato a un giorno peggiore.”
“Ma no, che dici, con me era tranquillo. Abbiamo parlato delle vendite in Inghilterra, e mi ha fatto qualche domanda, niente di più. Non vedo tutti questi problemi” gli rispose serafico Ambrogio.
Pochi secondi dopo ai due si aggiunse Pelliccia, caricato di un tabulato di un centinaio di pagine.
“Dio santo, mi fa morire Piccion. Devo controllare tutti i dati riguardanti le vendite in Inghilterra degli ultimi quattro anni. Come cazzo faccio a fare tutto... ” Era sudato e stanco, si percepiva chiaramente che si sentiva uno straccio d’uomo.
“Ma a te non ha chiesto niente?” chiese.
“No, abbiamo parlato delle vendite, Smith ha avuto un problema, ma niente di che. Ripeto, l’ho già detto a Orietta, non vedo il problema. Siete sempre pessimisti, e quando siete davanti a Piccion, vi cagate sotto.”
I due lo guardarono freddamente, facendogli capire che il tempo era scaduto. Lui, sentendosi emarginato, uscì con la testa bassa.
Pelliccia subito urlò: Giobbeeee, e questi arrivò subito di corsa.
“Mi sembra diventato una di quelle mosche che vivono a sbafo sul dorso degli ippopotami” esordì.
“Ahahah, sei simpatico. Io non lo sopporto più.”
Giobbe si fece serio.
“Per un verso è innocuo, la valvola di sfogo del sistema. Se giri la carta, le cose cambiano: strisciante troverai cinismo, arroganza e adulazione sfrenata del potere. Lui è il re del positivismo assoluto, il principe del bisogno primario, per certi versi un genio. Non avrà mai crisi di burnout.
Orietta lo osservò dubbiosa e ribatté. “Sì, e in sovrappiù è ben visto da Piccion.”
“Cara, è la solitudine dell’imprenditore” rispose Giobbe facendo l'occhiolino, “contratti, dipendenti, soldi, debiti, investimenti, la testa sempre su tabulati e schemi, nuovi modelli e clienti che non pagano. Deve avere qualcuno in azienda che gli dica di sì, che lo accompagni, che gli sia in qualche modo amico. Ambrogio è l’uomo ideale! Noi Eretici Aziendali siamo esecutori, e anche se abbiamo l’occhio lungo e sistemiamo tanti problemi, siamo solo collaboratori. Chi può dare una carezza sul testone di Osvaldo Piccion? Tu? Io? Pelliccia? No, la carezza leggera della sera la darà Ambrogio. Noi andremo da Piccion e illustreremo i problemi, Ambrogio andrà da Piccion e sparerà una qualsiasi cazzata. Hai sentito l’ultima?”
“Quella del tavolo mongolo?”
“Sì! Pare che Piccion stia sbolognando la patata bollente a Gilberto.”
“Uh Uh, interessante.”
Giobbe picchiò il pugno sul tavolo.
“Bene, tiriamo fuori un po’ di droga” disse aprendo un cassetto.
Gli altri due si toccarono dentro. Sul tavolo finirono sei Ferrero Rocher.
I tre colleghi mangiarono i cioccolatini ridendo abbastanza spensierati. La visita di Ambrogio, almeno i cinque minuti iniziali, dava sempre un certo vigore al gruppo.

La patata bollente, come previsto, era finita nelle mani di Gilberto.
I due s’incontrarono una sera di fine ottobre quando gli uffici erano chiusi.
“Allora, tuo papà ti ha spiegato la mia idea?”
“In parte Gb, mi ha accennato qualcosa. Sai che non mi dice mai molto. Dimmi” rispose Gilberto.
Ambrogio si sentì carico a pallettoni.
“Gilberto, basta divani e poltrone, basta nazioni enormi, dove la concorrenza è troppo forte. Dobbiamo cambiare filosofia. E sai cosa faremo?”
“No, non lo so.”
“Faremo business con i tavolini. Sto mettendo in pista quest’affare che come ti avrà detto tuo papà è mastodontico. Il nuovo, enorme mercato dei tavolini, aperto, vergine, una vera innovazione nella vita di milioni di persone. Sai dove sarà questo Eldorado?”
“Dove?”
“In Mongolia.”
Gilberto aggrottò la fronte.
“La Mongolia” riprese Ambrogio a voce alta “è una nazione stepposa. La maggior parte della popolazione vive in tende e caravan. Addirittura anche Ulan Bator ha metà abitanti che vivono in case e metà che sostano ai margini della città allo stato nomade. Mangiano seduti a terra, il loro salotto è formato da qualche cuscino al centro di un tappeto. Bene, sto progettando con Pino Secco, un rappresentante conosciuto alla Fiera di Milano, dieci tavolini di varie misure da integrare con i tappeti. Per i mongoli sarà una rivoluzione concettuale, un nuovo stile di vita. Tra qualche anno, le foto dell’interno di una yurta mongola, ritrarranno un bel tavolino della Divanite, dove gli indigeni mangeranno, berranno e riceveranno gli amici.“
Ambrogio si sistemò il fazzolettino rosa che sbucava dal taschino della giacca, con gli occhi opachi fuori dalle orbite tanto era la concitazione del discorso. Gilberto, all’opposto, sentiva la poltrona sempre più calda. Era il rampollo della dinastia e gli Eretici Aziendali lo avevano incoronato con il nome di Rampulcino.
“Allora?”
“Mah, non mi sembra che ci siano molti abitanti in Mongolia. Guarda, fonte wikipedia, tremilioni e mezzo di abitanti, non sono molti.”
“No, non hai capito. E’ lì che colpiremo, se cominciamo dalla fiera del bestiame di Ulan Bator che si tiene a maggio, faremo colpo in contropiede. La concorrenza ancora non ha pensato a questo business!”
Gilberto si accomodò ben bene sulla poltrona.
“Mmhhh…”
Ambrogio preparò il colpo finale, il suo “effetto speciale”.
“Questo è solo l’inizio. Poi abbiamo tutto il mondo arabo da conquistare. Basta yurte, troveremo abitazioni più ricche e il margine crescerà a dismisura.”
“Cavoli Gb, il mondo arabo è tutto in subbuglio.”
“Anche lì ho il mio uomo di fiducia. Si chiama Ahmed Tarel e gestisce un suk in Tunisia. Ha una voglia pazzesca di lavorare. Pensa che al collo porta la mano di Allah.”
“Dici che è in gamba?”
“E’ sveglio, attivo, una faina. Ti ricordi di Popescu?”
“No.”
“Forse eri giovane. Popescu era il mio aggancio in Romania, lo avevo presentato a tuo padre prima che costruisse lo stabilimento. Mi aveva detto che era un bravo ragazzo, ma non se ne fece niente. Con lui, Gilberto te lo assicuro, avremmo sfondato ancora di più in Romania. Poteva trovare tanti operai a cento euro il mese. E loro sarebbero stati contenti! Hai capito? Ma tuo padre pronunciò un no perentorio. Contento lui!”
Ambrogio, ieratico come uno sciamano in stato di grazia, si strofinò gli occhi, poi prese il fazzolettino rosa che sbucava dal taschino della giacca, lo dispiegò, e si soffiò rumorosamente il naso. Il fazzolettino pieno di muco giallo verdastro finì tutto appiccicoso nella tasca dei pantaloni.
Gilberto, pur sorpreso da quest’ultimo gesto, cominciò a rasserenarsi. La proposta stava prendendo forma nel cervello e gli tornò alla mente che suo padre di Gb diceva sempre che era un bravo ragazzo.
“Mmhhh…non è male la tua idea. Senti, per me va bene, organizziamo un viaggio iniziale in Mongolia. Cominciamo a pensare ai modelli dei tavolini.”
Ambrogio era al settimo cielo.
“Dai Gilberto andiamo a mangiare una pizza che approfondiamo l’argomento.”
Negli occhi del Rampulcino si era accesa una strana luce, il successo sembrava a portata di mano con la conseguente approvazione di suo padre. Dopotutto Ambrogio era uno di famiglia, non come quel saccente di Giobbe che lo sfotteva anche quando l’Inter vinceva con un solo gol di scarto.
Si alzò tutto ringalluzzito, sistemando il fazzolettino giallo che sbucava dal taschino della giacca e andò felice incontro al suo destino.
Jacopo Serafinelli
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Messaggio da leggere da Jacopo Serafinelli »

Non lo vedo molto felice il destino di Ambrogio e del rampollo… ai mongoli delle yurta poco frega dei nuovi tavolini, di questo ne sono sicuro. Comunque il racconto è gradevole… forse necessitava di un finale più definito, questo mi sembra un po' buttato lì… tanto per concludere.
Jacopo
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Alberto Marcolli
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commento La fratellanza

Messaggio da leggere da Alberto Marcolli »

Giordano Bruno Galli era un uomo di sessantacinque anni alto e atletico, con un bel viso dai tratti regolari e un ciuffo quieto che scendeva obliquo lungo la fronte, poco sopra le sopracciglia.
proposta -
Giordano Bruno Galli aveva sessantacinque anni. (che fosse un uomo è facilmente intuibile) Era alto e atletico, con un bel viso dai tratti regolari e un ciuffo quieto che scendeva obliquo lungo la fronte, poco sopra le sopracciglia.

Dopo mezz’ora Ambrogio entrò … - Dopo mezz’ora, Ambrogio entrò

Pochi secondi dopo ai due si aggiunse … - Pochi secondi dopo, ai due si aggiunse …

"… dorso degli ippopotami” esordì. - … dorso degli ippopotami,” esordì.

"… solitudine dell’imprenditore” rispose - - … solitudine dell’imprenditore,” rispose

Proposta:
… “In parte Gb, mi ha accennato qualcosa. Sai che non mi dice mai molto. Dimmi” rispose Gilberto -

“In parte Gb: mi ha solo accennato qualcosa. Sai che non mi dice mai molto. Dimmi.” rispose Gilberto

E’ lì che colpiremo -- È lì che colpiremo

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Nella sua semplicità paradossale, a me è piaciuto. Il finale? Se decidi di allungare il brodo raccontando il probabile fallimento, finisci con lo stravolgere il racconto e non te lo consiglio.
Trovare un finale con il botto? Bello ma difficile.
Tutto sommato io lo lascerei com’è, a meno di sviluppare meglio l’idea di Ambrogio e seminare qualche possibilità di successo concreta, anche agli occhi del lettore. Ma in questo caso il racconto cambierebbe totalmente, per diventare semplicemente la storia di un buon affare aziendale di successo.

Io ho vissuto l'inizio dei Personal Computer, quando l’IBM, dopo aver prodotto i primi Personal, decise di abbandonare l’idea, nella convinzione che non sarebbe mai entrato nelle case dei privati cittadini. Uno sbaglio colossale! Sembrava impossibile, eppure pensa quanto successo hanno avuto i PC. Magari anche i tavolini lo avranno…

Voto 4
Jacopo Serafinelli
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Re: La fratellanza

Messaggio da leggere da Jacopo Serafinelli »

Sai… forse… qualche imprenditore arditamente lungimirante prenderà spunto dal racconto e si presenterà in Mongolia con un furgone di tavolini per yurta… tanto per testare i prototipi! Chissà che i mongoli non abbandonino la tradizione e diano un po' di ristoro alle ginocchia! A quel punto bisognerà fornire anche le sedie! ;-) :-)
Jacopo
Marirosa
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Messaggio da leggere da Marirosa »

L'ho appena letto, per i refusi o i miglioramenti non mi pronunciò, perché li hanno già segnalati.
Il racconto mi è piaciuto, si legge bene, i personaggi sono ben delineati. Anch'io sarei portata a pensare che il futuro di Giordano Bruno e Gilberto non sarà molto sfavillante, ma questo finale aperto mi piace: chissà invece i tavolini saranno un'idea vincente e così i due avranno la rivincita e il riconoscimento che sognano.
Mi ripeto, ma davvero penso che sia un buon racconto e mi è piaciuto molto. I miei complimenti!
Andr60
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Anche a me il racconto è piaciuto, le vicissitudini aziendali e padronali fanno parte dei miei temi preferiti. Detto questo, solo il finale mi ha deluso un po'. I protagonisti della storia (gli eretici aziendali, il consigliere lecca..lo, padrone e figlio) c'erano tutti, per dar vita a una conclusione meno scontata, che secondo me è stato un peccato. Comunque, buona yurta a tutti :)
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Marino Maiorino
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Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

Io non so se davvero l'imprenditoria italiana riesce a tollerare certi personaggi inconsistenti, ma la somiglianza col ragioniere Calboni, l'eterno torturatore di Fantozzi, è così forte pure dopo 50 anni e passa, che la leggenda deve fondarsi su qualcosa di vero.
Athos, il tuo è uno spaccato amaro sull'insipienza delle "fabbrichette" dove industrialotti con a loro carico un paio di colpi fortunati credono di aver dato il via a una dinastia. Salvo poi dover lasciare il tutto a eredi non supportati dall'esperienza del "mazzo così".
Che tristezza! Mancava solo che si buttassero a chiedere fondi UE!
Piaciuto, come tutto quello che scrivi. Un po' lento al principio, ma infine ingrana. Sarebbe stato carino approfondire (sfoltendo alcune ripetizioni) il rapporto con la signora, elaborare l'episodio della ceralacca e perché nella testa di GB fosse così importante. Insomma, togliere la vista da momenti meno importanti e già sottolineati, e mettere un po' più a fuoco altri.
Ma per il resto, piaciuto.
«Amare, sia per il corpo che per l'anima, significa creare nella bellezza» - Diotima

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Fausto Scatoli
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Messaggio da leggere da Fausto Scatoli »

l'idea è sicuramente buona, anche se la figura del rampollo mi pare un po' troppo da sfigato, da mezzo idiota.
ci sono alcuni errori ma nulla di particolare da segnalare.
però mi ha lasciato un po' basito il finale.
credo che avresti dovuto dare un senso migliore alla storia con un finale più chiaro.
è vero che il finale aperto lascia tutto nelle mani del lettore, però...
l'unico modo per non rimpiangere il passato e non pensare al futuro è vivere il presente
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