La foresta di Nightshade
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La foresta di Nightshade
Mi trasferii a Nightshade Hill all’incirca un anno fa e adorai fin da subito la mia nuova sistemazione: una stupenda capanna in legno, dotata di ogni tipo di comfort e distante dal frastuono delle grandi città. Da molti anni sognavo di stabilirmi in un luogo tranquillo, dove poter far pace con me stesso e ritrovare la serenità perduta tempo addietro. Appena la vidi capii che quel luogo avrebbe fatto al caso mio; l’enorme bosco situato a pochi metri dal capanno avrebbe fatto da cornice perfetta alle mie ore di meditazione. Fu proprio con quel bosco che non feci i conti.
Non appena mi sistemai nella mia nuova abitazione, ricevetti una visita inaspettata: un piccolo gruppo di anziani vissuti in quel paese da una vita intera, che oltre ad un caloroso benvenuto, mi dispensarono anche alcuni avvertimenti in cui colsi una nota di sincera apprensione. In un primo momento non riuscii a comprendere il motivo di un così grande interesse per la mia incolumità; piano piano però le loro parole mi misero di fronte a realtà inquietanti. Rimasi colpito dal tono perentorio con cui mi vietarono categoricamente di avvicinarmi al bosco poco distante dalla mia abitazione. Fui messo al corrente delle leggende che da secoli si narravano riguardo la foresta di Nightshade, meglio nota come “la foresta delle illusioni”. Ascoltai rapito per ore i loro racconti fantastici, e al termine di quella discussione quasi surreale, mosso dal banale istinto della curiosità presi una decisione: malgrado gli ammonimenti di quegli uomini dovevo spingermi tra quegli alberi infestati da secoli di storie e paure.
In un’afosa giornata d’agosto imboccai il vialetto fuori casa e in pochi passi mi gettai alle spalle le parole dette soltanto pochi giorni prima da quegli uomini anziani, e iniziai la mia escursione tra fronde e radici di magnifiche piante secolari, che trasudavano suggestioni antiche, e che mi diedero il loro benvenuto in quella foresta maledetta. Con me portai soltanto uno zaino con poche provviste e uno specchietto da viaggio, appartenuto alla mia defunta moglie e che consideravo il mio talismano; se le storie raccontatemi fossero state vere avrei certamente avuto bisogno di un portafortuna.
Dopo un paio d’ore di cammino cominciai a nutrire le prime serie preoccupazioni: nonostante avessi ormai percorso diversi chilometri in quell’intrico di vegetazione, il bosco sembrava presentarsi sempre allo stesso modo, con gli stessi alberi, le stesse pietre e gli stessi segni a terra sul percorso, quasi che la foresta mutasse ad ogni mio passo, per rendersi sempre uguale e trascinarmi verso la disperazione. Ripensai alle parole di qualche giorno addietro pronunciate dai miei anziani ospiti: quel luogo era anche chiamato “la foresta che cambia”. Vagabondando in quel luogo sempre uguale colsi il senso di quel nome.
Non passò molto tempo che iniziai a notare delle inquietanti presenze nascoste fra la vegetazione: degli occhi mi scrutarono con sguardi fugaci tra le fronde dei bassi cespugli. Mi dissi che doveva sicuramente trattarsi di animali selvatici, ma le storie che mi furono narrate giorni prima misero in dubbio anche quella certezza. Le mie sicurezze vacillarono nuovamente quando vidi apparire tra gli alberi le maestose corna di un grosso cervo: poteva trattarsi di uno dei tre guardiani della foresta di cui parlavano le antiche leggende. A lui si unì subito un lungo serpente, le cui squame brillarono di mille colori accecanti. Il viscido rettile strisciò tra i miei piedi per poi puntare in direzione del grosso cervo, che ancora mi fissava con sguardo inquisitorio.
Qualcosa nella mia mente mi spinse a seguire quella bizzarra coppia di animali, che sembrava condurmi in anfratti non ancora esplorati di quel bosco, per nulla intimoriti dalla mia presenza.
Mi condussero fino ad antiche mura di pietra, infestate da muschi e rampicanti. Timidi raggi solari filtrarono tra la fitta cortina di fogliame sopra la mia testa illuminando i resti di quello che un tempo fu il monastero del bosco. Riconobbi quel luogo all’istante; la descrizione fornitami dal gruppo di anziani corrispondeva perfettamente con le rovine davanti i miei occhi. Da quei ruderi apparì la conferma a tutte le suggestioni e misteri che si addensavano su quel luogo leggendario: la sacerdotessa del bosco, vestita nel suo abito bianco con il viso velato a nascondere due splendidi occhi celesti come il cielo d’estate. Insieme alla donna fece la sua comparsa una piccola volpe dal pelo fulvo e una lunga e fluente coda. Il cervo, il serpente e la volpe, i tre guardiani del bosco di Nightshade, come narravano da tempo immemore i vecchi abitanti del paese. I tre animali accerchiarono la donna ed iniziarono a dissolversi lentamente, come spettri in una storia di fantasmi. La sacerdotessa iniziò la sua trasformazione e in un attimo mi si presentò sotto la sua forma più inquietante: grossa corna di cervo troneggiavano sul suo capo velato, mentre una lunga coda volpina fendeva l’aria con decisione. Spalancò la sua bocca e vidi due lunghe zanne di serpente sporgere dietro la trasparenza del suo velo bianco. Mi fissò non più con dolci occhi azzurri, bensì attraverso il rosso sguardo di un rettile pronto all’attacco. Le sue fauci si spalancarono a dismisura e nella mia mente udii il suo richiamo irresistibile, lo stesso che aveva attirato centinaia di esploratori che mai più avevano fatto ritorno. Riuscii a mantenere la calma, nonostante la tentazione di quella donna fosse fortissima: sarei diventato la sua preda o me la sarei cavata in qualche modo. Poi all’improvviso un nome sfiorò i miei pensieri: i vecchi non avevano forse chiamato quel luogo anche“la foresta delle illusioni”? Voltai le spalle all’essere che bramava la mia vita, ed estrassi dallo zaino lo specchio da viaggio di mia moglie. Sentii lo scalpiccio concitato dei passi furenti della donna dietro di me. Si avvicinò sempre di più e fu allora che sollevai lo specchio davanti a me; guardai la mia immagine riflessa e cercai di individuare alle mie spalle quell’inquietante creatura. Nulla. Soltanto un illusione che il mio specchio finì per svelare in poco meno di un attimo. Una realtà illusoria in fondo non poteva riflettere la propria immagine in nessun modo. Chiusi gli occhi e una fredda corrente mi gelò il sangue nelle vene, da testa a piedi. I miei nervi tesissimi si rilassarono e caddi addormentato. Mi risvegliai dopo un tempo imprecisato, davanti al sentiero che conduceva all’ingresso della foresta. Strinsi forte tra le mani il mio talismano, ogni illusione era svanita.
Quasi un anno è passato da quel giorno ed oggi posso dire con certezza che le storie che da sempre si narrano a Nightshade Hill sono reali. Le leggende tramandate nei secoli prendono vita e si concretizzano tra intrecci di radici e alte fronde che schermano i raggi solari. Celata in un’illusione di verdi arbusti secolari, la grande sacerdotessa bianca attende i visitatori e li attira nella sua trappola di tentazioni. I tre guardiani della foresta, suoi messaggeri, accolgono i malcapitati e li guidano tra le fauci della donna a cui prestano eterno servizio. Non c’è via d’uscita per chi entra là dentro. Anche la salvezza non è altro che un illusione e lo stesso vale per me. Nella mia mente non sono mai uscito da quella foresta; il richiamo di quella donna è ancora troppo forte e sempre più irresistibile.
- Marco Daniele
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si lascia leggere con piacere, e questo è un punto a favore.
però devo segnalare qualche refuso, pochi, e alcuni errori di punteggiatura.
oltre a ciò mi permetto un consiglio, se così lo possiamo chiamare: vai a capo un po' più spesso e rompi quel muro di parole che il lettore si trova davanti. lo faciliterai e lo inciterai alla lettura.
alla prossima
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Segnalo alcune incongruenze logiche, ad esempio: “…la sacerdotessa del bosco, vestita nel suo abito bianco con il viso velato a nascondere due splendidi occhi celesti come il cielo d’estate.”
Sono celati? Come si può apprezzare il loro colore?
Abbondanza di eufoniche e di spazi doppi.
Il punto debole forse risiede nella brevità del testo, che avrebbe meritato uno sviluppo maggiore, così obbliga a fornire a posteriori qualche informazione sulle leggende della foresta, tipo i vari nomi che le vengono attribuiti, magari era meglio inserirle nei racconti iniziali degli abitanti del posto, messe in questo modo mi sembrano un po’ posticce, come i più volte ripetuti riferimenti alla lunga tradizione di magia di quel luogo, incongruenti con un personaggio che vi abita da breve tempo.
Scusa ma in questa forma il racconto non mi ha colpito più di tanto.
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Re: La foresta di Nightshade
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Re: La foresta di Nightshade
Se invece state solo rispondendo, non serve specificare.
Ricordatevi anche che il testo del commento deve essere lungo almeno 200 battute.
Vi rimando alle istruzioni delle Gare letterarie.
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"stupenda capanna in legno, dotata di ogni tipo di comfort e distante dal frastuono delle grandi città."
Evita periodi di tale tenore, sembrano fornire informazioni di tipo pubblicitario, perché cariche di aggettivi e descrizioni neutre o valide per tutte le situazioni, e pertanto mal si sposano con la letteratura.
Di periodi di tal genere ne trovi altri nel racconto.
"Si avvicinò sempre di più e fu allora che sollevai lo specchio davanti a me; guardai la mia immagine riflessa e cercai di individuare alle mie spalle quell’inquietante creatura."
Qui, invece, aggettivi, verbi e avverbi appesantiscono il periodo senza aggiungere nulla di interessante.
Io avrei scritto: Si avvicinò, e fu allora che sollevai lo specchietto; dal rilesso cercai d'individuare la creatura alle mie spalle.
I periodi devono essere leggeri, snelli, rapidi, incisivi. Lavora sulle parole e sul lessico.
A presto.
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Ho notate anche io qualche errore di battitura – forse dovuto a fretta o distrazione – facilmente risolvibili, e una certa tendenza a costruire monoliti di parole che richiederebbero un intervento “tipografico”. Come si intuisce da alcuni commenti precedenti, il racconto può essere migliorato sotto diversi aspetti; ma mi sento di premiare il coraggio della scelta operata dall’autore.
P.S. È mia abitudine esprimere il voto dopo attente riletture.
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