La passe

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'estate 2023.

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Namio Intile
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La passe

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Bora Bora oggi è un paradiso per turisti con le tasche gonfie, ma quand’ero ragazzo ci si arrivava solo perché si era innamorati della vastità degli spazi marini.
Avevo scelto la Polinesia attratto dai colori delle fanciulle di Gauguin, spinto dalle poetiche traversate in solitaria di gente come Moitessier e Tabarly, da quell’amore mai sazio per gli spazi vuoti dove l’Uomo, finalmente, è assente.
La barca del pescatore era sparita insieme alle sue birre calde, ma ciò per me, in quel momento, non aveva alcuna importanza. Mi aveva lasciato con la promessa di ripassare e io l’avevo preso in parola, non avevo fretta, nessuna urgenza.
Mi incamminai lungo la spiaggia sottovento, cullato dalla poesia del mare più spettacolare e del cielo più azzurro mai visto fino ad allora, finché sulla sabbia, leggera come talco, non incrociai un manufatto d’altri climi, e di diverse latitudini dell’altro emisfero, languire placido sul bagnasciuga, tra le piccole onde, lente a infrangersi sulla riva. Quel legno era quasi surreale, il Flying Duchtman si palesò alla mia immaginazione come un relitto di altri mondi, di epoche remote.
Cosa ci faceva lì quella barca di compensato marino e teak? Non ebbi tempo di pensare ad altro, e alle mie spalle udii una voce cavernosa frammezzata da un respiro agitato.
Con un tono denso di acida ironia, in un inglese approssimato, tradito da un curioso accento francese di cui non sapevo decifrare la provenienza, mi domandò se per caso non nutrissi interesse per il suo piccolo giocattolo. Mi voltai, e fui di fronte a un uomo magro come un Cristo in croce, con una maglietta lurida e stracciata, una lunga lanugine bianca sul viso, gli occhi chiari come quel mare, i capelli radi e arruffati dalla salsedine. D’età non inferiore ai settanta, o forse ai cinquanta se dovevo dar retta all’intuito, il quale mi sussurrava come i suoi anni quell’uomo se li portasse davvero male.
Mi traguardava severo, con occhi cisposi e fissi, nella mano una bottiglia mezza vuota d’un rum ambrato e nell’altra un sigaro quasi del tutto consumato.
Seduto sulla sabbia, la schiena contro una palma, il suo sorriso aveva un che di ineffabile.
«Cosa ci fa una barca europea in Polinesia?» Era la mia domanda, in francese.
E mi avvicinai a lui. L’uomo scosse la testa e, dopo aver bevuto un sorso dalla bottiglia e tirato una boccata dal sigaro, disse: «Hai voglia di fare un giro?»
Risposi con un cenno del capo.
L’uomo si levò in piedi. «Cinquecento franchi e affare fatto.»
Mi aveva preso per un turista e mi trattava come tale, con un accenno di superiorità e una splendida noncuranza.
«Mi piacerebbe vedere un atollo disabitato» gli lanciai il mio guanto.
Ma subito rammentai quanto fosse pericoloso sfidare gli dei.
«Ok, mille franchi e ti porto a vedere l’isola più disabitata del mondo» provò a rilanciare. «Sei mai salito sopra una barca a vela?»
«Qualche volta» mi limitai ad ammettere.
«E allora si paga in anticipo. Non è per sfiducia, sai, ma magari inizi a vomitare non appena usciamo in mare aperto e mi supplichi di ritornare a terra. Il mio giocattolo va veloce e dopo… chissà se hai più voglia di darmeli i miei soldi.»
Annuii, l’affare era concluso«A proposito, io mi chiamo Gaetano» mi presentai.
«Italiano, lo immaginavo: solo voi amate il francese più dell’inglese. E poi andate sempre in giro come se vi trovaste a una maledetta sfilata. Bah… vallo a capire. Io mi chiamo Eloic» disse, e mi fece cenno di aiutarlo a spingere la deriva in acqua.
Il vento soffiava più forte nel primo pomeriggio e la barca scivolava spedita al traverso, con lo scafo di sottovento appena inclinato sulla superficie del mare, mentre Eloic faceva da contrappeso sopravvento e regolava l’ampiezza della randa con la sinistra e il timone con la destra.
Si accorse subito che sapevo dove mettere le mani e così, senza dirmi niente, mi lasciò il timone. Navigammo lungo il reef sottovento, dove l’acqua è sempre quasi piatta, quindi imboccammo la grande passe per trovarci in mare aperto, accompagnati da un branco di piccoli delfini i quali presero a nuotare vicino lo scafo e a immergersi sotto, per passare da una parte all’altraPotevi guardarli negli occhi e quasi sembravano sorridere e concederti la loro attenzione, i messaggeri degli dei; il tempo volava nella luce accecante sul turchese e lo smeraldo del mare, mentre gli sbuffi dei delfini ci bagnavano più degli schizzi della chiglia sul mare, coi loro sfiati ritmici a imitare una benedizione, a renderci consapevoli dell’immortalità del momento.
Perché sarebbe stato soltanto quella volta, solo quell’istante, null’altro e mai più.
«Mi hai preso in giro» disse Eloic, dopo un po’. «Tu sei un marinaio. E io dovevo chiederti diecimila franchi, perché ti stai divertendo come un matto, e mi costringerai ad arrivarci sul serio alla tua dannata isola deserta.»
Sfoggiai il sorriso del vincitore e virai a dritta. «Certo che ci arriviamo. È quella?»
Eloic annuì. «Quella è Tupai» disse, e lo sentii brontolare contro quegli imbroglioni degli italiani, sempre pronti a farsi beffe del prossimo. Furbi, lo sentii dire in italiano.
La passe di Tupai non era più larga di un torrente di montagna e svelava una laguna ancora incontaminata. Era un giorno ventoso e caldo, ma laggiù tutti i giorni sono ventosi e caldi. L’atollo era un anello di palme e sabbia lungo un paio di chilometri: luce e mare trasparente, fitta vegetazione e nessuna presenza umana; non significava altro, forse, se non che quella era l’impronta della fantasia di Dio nella Creazione. Eloic riprese il timone, perché solo lui sapeva come affrontare la passe.
«Ecco la tua isola» disse, quando fummo dentro.
«Non c’è niente, ed è bellissima per questo» commentai, senza trovare altre parole.
«Esatto, l’Uomo non l’ha ancora invasa con la sua merda.»
Quando fummo sazi di solitudine tornammo a Bora Bora, mentre il cielo si era già colorato di un rosso fiammeggiante.
Eravamo stati per tutto il tempo della navigazione in silenzio.
Le prime parole di Eloic furono: «Ti sei divertito, non è vero?»
«E hai bisogno di domandarmelo?»
«Allora per punizione mi offri anche una birra: ti ho chiesto troppo poco per un’esperienza del genere.»

Il bar sulla riva dei pescatori dove approdammo era semplicemente un chiosco con cinque tavolini di legno e delle sedie impagliate diversamente solide.
Eloic ordinò due boccali di birra alla spina, che un indigeno con addosso soltanto dei pantaloncini luridi ci servì subito.
«Il paradiso è una birra gelata dopo una giornata di mare» mi disse, e la tracannò d’un sorso, la sua birra, per poi ordinare un altro giro al tipo in pantaloncini. «Questa volta è il mio turno.»
«Avevamo detto che le birre sono a mio carico, ci penso io» risposi, e provai a indagare. «Sei francese, ovviamente». Lui alzò gli occhi dal secondo boccale:« Ovvio un cazzo, io sono bretone» esclamò soddisfatto.
Mi misi a ridere ed Eloic mi fissò incuriosito.
«Hai risposto come avrei risposto io: non sono italiano, ma siciliano.»
«Ah, un pied noir» disse, e stavolta fui io a ridere.
«Ma sì, gli altri italiani ci considerano tali solo per un accidente storico. Di cognome faccio...»
Ma mi interruppe subito, infastidito.
«Qui i cognomi non esistono… un attrezzo inutile, e ciò che non serve alla fine col tempo diventa pericoloso come un cancro, e ti porta lentamente alla morte se non te ne liberi. Ma non è facile» aggiunse, e d’improvviso cambiò umore, si fece scuro in viso.
E mi propose di seguirlo. «Sei stato gentile, vieni a cena da me, tanto sei solo, l’ho capito, i cani randagi si annusano tra loro e tu non hai neppure la rabbia, come me.»
Decisi di non approfondire la faccenda del cane, meglio il silenzio a parole inutili, ma gli andai dietro: l’alternativa sarebbe stata la tristezza di una cena solitaria nell’unico albergo dell’isola, alla caccia dell’ultimo sfortunato ed eccessivo bicchiere di cognac o di una turista americana annoiata con cui condividere la notte stellata.
La casa di Eloic era poco più in là, una capanna polinesiana sulla spiaggia, senza imposte, col tetto di palme, leggermente sollevata dalla sabbia. Tre donne giovani erano intente a cucinare del pesce su una griglia improvvisata sopra un mezzo barile d’olio vuoto, ma per l’occasione riempito di legna. Eloic entrò in casa, senza dire una parola, e ne uscì con un secchio di latta pieno di ghiaccio e bottiglie di birra. Il lato della casa che confinava con la spiaggia sembrava sorretto da una palma storta almeno quanto i miei pensieri, ma ancora in grado di sostenere un tavolo di legno arpionato al suo fusto da tempi troppo lontani per poterli ricordare.
Non vidi sedie diverse da altri recipienti d’olio arrugginiti; Eloic urlò qualcosa nella loro lingua alle ragazze indigene; loro si mossero scomposte mentre io, per la prima volta, le potei osservare con attenzione: erano davvero molto giovani, scalze e per niente vestite, di una bellezza ambrata difficile da immaginare se non si ha la fortuna di poterla ammirare da vicino proprio dove si manifesta. Eloic sembrava il loro cupo sovrano dalla pelle bianca, senza reggia né corona, e come un re le trattava: ruvido impartiva loro ordini ai quali, in modo maldestro, provavano a ubbidire. Così a me all’improvviso mancarono le parole. Lui aprì un paio di bottiglie e me ne porse una. Non dissi nulla, per non cadere nella finzione di una conversazione avviata per evitare l'imbarazzo del silenzio.
Finimmo un paio di birre, le ragazze ci servirono del pesce e cenammo insieme a loro, sorridenti e sempre di buon umore nonostante i rimbrotti continui del loro arcigno sovrano. Tutti sotto la palma, seduti sui vecchi fusti, con le tre ragazze a divorare il pesce, come noi, con le mani, a ridere e parlare fra loro, nella loro lingua, senza badare a noi, come se la nostra esistenza non le riguardasse. Alla fine andava bene così, il tutto non aveva un gran senso agli occhi di un europeo, ma il tramonto era tanto struggente da far apparire la mancanza di conversazione come una benedizione.
Finito il pesce Eloic si alzò, entrò in casa e ritornò con due sigari, una bottiglia di rum dall’etichetta illeggibile e due bicchieri luridi di incrostazioni che riempì all’istante.

«Tu sei un marinaio» non era una domanda, ma un’affermazione. E aggiunse: «Hai una moglie?»
Io risposi d’istinto. «Se anche l’avessi, quaggiù chi se ne ricorderebbe…»
Eloic si mise a ridere, già bevuto come me. « Le donne sono le peggiori trappole nella vita di un uomo» disse. «Tu sei un marinaio» ripeté con più insistenza.
«Da sempre» risposi.
Eloic si riempì di nuovo il bicchiere di rum e se lo bevve d’un fiato. Mi porse un sigaro e dei fiammiferi per accenderlo.
«Rum e sigaro, cosa c’è di meglio, fratello?»
Io volsi lo sguardo verso le ragazze, e sollevai le sopracciglia per sottolineare l’invidia della scimmia.
Eloic sorrise, poi il suo sguardo si perse oltre il tramonto, sulle nuvole poderose e il rosso infuocato. Ebbi l’impressione che rincorresse un demone invisibile e trasparente, perturbava l’aria e fermava il vento, poi all’improvviso chinò la testa, come piegato dalla scure di un rimorso, e sussurrò. «In Bretagna il mare non è così bello, eppure era casa mia.»
Era una domanda piuttosto banale, ma non riuscii a trattenermi dal chiedergli se gli mancasse.
Eloic scosse la testa, la Bretagna apparteneva a un’altra vita, una vita che non esisteva più.
Restammo per un po’ in silenzio, dando modo al rum di fare il suo lavoro antico: distendere e ammansire i sentimenti degli uomini, prima di perderli.
E mi domandò cosa ci facessi lì.
«Voglio vedere la Creazione, prima che scompaia,» gli dissi, «prima che l’uomo la invada per sempre con la sua merda.»
Eloic mi regalò un sorriso amaro.«E non ti manca la tua Sicilia? Il mare lì è più caldo di quello della mia Bretagna.»
Scossi la testa: «E a te non manca la Francia, non manca Parigi?»
Eloic tirò una profonda boccata dal suo sigaro e si riempì ancora una volta il bicchiere di rum.
«A Parigi c’è tutto, ma manca tutto il resto…»
Gli uccelli marini da preda volavano alti nel cielo, e per un lungo minuto Eloic li inseguì con lo sguardo, cercava forse di guidare i loro volteggi, ma era contrariato perché sembrava non riuscirci.
«In Bretagna sono tutti marinai… Io sono un medico, ero un medico, come tutti nella mia famiglia, ma dopo la laurea ho assecondato il demone del mare. Regate, traversate a vela, due giri del mondo con gente che ci sapeva andare. Uno in particolare: Eric, il capitano, il migliore tra tutti; la gente parla, parla e poi parla ancora perché non sa cosa dire. E, se non lo fa, non sa come giustificare a se stessa la propria esistenza. Lui, invece, stava sempre in silenzio. Per lui parlava quanto faceva. E la folla, la gente, quando poteva, la evitava…»
All’improvviso mi parve a disagio, non so se con me o con se stesso, ma storse la bocca in un ghigno feroce.
«Hai navigato col capitano Tabarly» dissi ammirato.
Per quelli come me il suo nome profumava di leggenda.
«Ti piace il rum?»
«Certo che sì» risposi.
«E allora bevi e non rompermi le palle.»
Rimanemmo ancora una volta senza parole, finché il dolce succo ambrato non gli sciolse quella piega del cuore, quella che prima gli aveva storto il viso, e riprese a parlare come per assalire i propri demoni.
«Poi, trascinato dal rimorso per la mia famiglia, tornai in Francia e trovai lavoro a Parigi. Gli anni trascorrevano lenti e inesorabili, i figli crescevano in fretta e tutto era magnificamente perfetto, quanto sterile. Io, dal mio studio, guardavo la pioggia scendere sui vetri e le strade affollate ,e mi domandavo dove andasse tutta quella gente così di fretta a ogni ora del giorno, ogni giorno della settimana, anno dopo anno. Creano la frenesia apposta, lo sai? Per non permetterci di pensare. Le persone con cui mi capitava di conversare: se avessero avuto l’ardire di ingoiare la propria saliva, sarebbero morte avvelenate, ecco cosa pensavo. Ma facevo finta di niente, mi rincuoravo al pensiero che non era quello il mio veleno.
A un certo punto, il tarlo della convivenza aveva lacerato ogni emozione fra me e mia moglie, i miei figli percorrevano le loro vite altrove, mentre il mare ritornava prepotente a tormentare la mia anima.»
Ritornò muto, con gli occhi vacui a cercare una luna che non voleva sorgere dalle croste del suo bicchiere fissato di continuo, nella vana ricerca della strada maestra della sua dannazione.
«Non ci badare, sto diventando vecchio. Con Bernard facevamo spesso discorsi come questo quando andavamo a Rangiroa colla sua Tamata. Lui è rimasto in Indocina, a quella guerra persa, ai fratelli morti, e alla piantagione dei genitori: adesso vuole stare solo, lontano da tutti, lontano anche da me, forse a causa di quegli stupidi fan che hanno letto ogni suo libro e lo cercano come un Messia. Aspettano che dica qualcosa, che dia un senso alle loro inutili vite. Tu hai l’aria di essere proprio uno di quelli, non è vero?»
Ero uno di quelli, ma mi guardai bene dall’ammetterlo.
Mi trovavo faccia a faccia con Dio e quel Dio, mi accorgevo, non solo non si curava di me, ma mi detestava, non solo era ostile, ma odiava sin nel profondo ciò che io ero, non stimava me né il genere umano.
Sentivo la nausea farsi strada, e mi venne voglia di scappare, andare via, senza mai fermarmi.
Ciò che il mio Dio ebbro aggiunse non vale la pena riferirlo, qualcosa sul senso della vita, sull’inutile ricerca di un Salvatore qualunque, sulla necessità di prendersi cura di volta in volta di chi si ama in quel preciso momento, senza scrupoli né rimorsi, senza puntare l'occhio sullo ieri o sul domani.
«Vieni con me» disse, in modo inatteso, sollevandosi dal fusto con un ruggito da bestia ferita, il bicchiere di rum in una mano e il sigaro nell’altra. Il tono era stato così perentorio e solenne che il tramonto rimase sconvolto. In un impulso di paura o, forse, di pudore, simulò di fermarsi; e magari lo fece davvero. Le tenebre smisero di fare capolino, e noi ci alzammo fra le palme per camminare sulla spiaggia. Il vento era girato intorno circospetto, nell’ansia di capire chi fosse stato in grado di sconvolgere l’ordine universale, e, nel dubbio, sospirò inquieto, infastidito da quell’ardire. Si sa, sembrava dire, gli uomini non hanno nessun pudore.
Cercai di non far caso ai segni, ma i segni erano là a testimoniare; l’inquietudine mi avvolgeva, e mi sosteneva solo l’attesa del prossimo sorso di rum, la bocca arsa dal verme di un nuovo abisso.
Il resto non aveva più alcuna importanza, cercavo solo di ricordarmi dov’ero, e se quel respiro fetido da cane randagio a invadermi le narici fosse proprio il mio. L’improvviso fragore dell’assenza del vento suscitò dal mare un tanfo di granchi morti che mi fece lacrimare gli occhi e suonare la rumba allo stomaco già sconvolto.
Là dove mi condusse, nel chiarore del crepuscolo, vidi una croce azzurra, fatta con le coste di una cassetta di legno, dipinta alla meno peggio e di fretta; troneggiava sull’oro della sabbia come sull’orlo di un abisso, quasi al confine con la terra battuta della strada, come un’insegna festosa al limite estremo della notte.
Eloic si avvicinò e ci si inginocchiò davanti. I suoi occhi erano rossi e gonfi, lo vidi solo e sperduto, terrorizzato davanti a quella croce.
Non ci accorgemmo neanche della gente che camminava avvilita nella polvere eterna della via, mentre un carretto colmo di pesci lasciava una scia di sangue e di umori maligni, seguito da un nugolo di mosche impazzite, trascinato da un uomo rassegnato all’infamia della propria esistenza. Le nuvole inquiete si scontravano, e combattevano, per riprendersi il dominio del cielo. Una luna impaurita sorgeva dal mare in un tremolio d’improvvisa e inaspettata solitudine. Non vedemmo neppure gli uccelli marini scannarsi sulle acque, nella lava dei nostri desideri frustrati e inespressi, o i cetacei giganti allontanarsi dal reef, con il guizzo dei loro cuori pesanti, mentre scuotevano le acque e agitavano le danze del plancton, confuso nella luce fosforescente della marea recalcitrante. Soffocati dalla certezza che un leviatano antico e nuovo, ma più potente di chiunque prima, era sorto dal nulla, da qualche parte, per dar loro la caccia.
Adesso la vedevo: la scimmia era nuda, maligna la sua esistenza; i suoi passi di samba erano il terremoto estremo che sconvolgeva la terra, divorava le foreste, inacidiva il mare.
Non vedemmo i coralli infrangersi nel tumulto delle onde create dalla fuga repentina e scomposta delle balene. Non vedemmo esplodere sui fondali di sabbia le eterne conchiglie dei vulcani consumati. Non vedemmo, né sentimmo, il tremito della sabbia, sotto i nostri piedi, aggrovigliarsi nella contorta preghiera antica, nell’estremo gesto di pietà del chiedere perdono per i nostri peccati, meravigliosi artifici costruiti nel sudore di rum delle nostre caldane incontenibili. Non vedemmo proprio niente; ma Eloic si fermò e si inginocchiò, si segnò il petto e si rovesciò il rum addosso, come in battesimo blasfemo.
Nulla aveva ragione di esistere, e io adesso ne avevo la certezza: da quel Dio riuscivo solo a distinguere un sibilo, da ubriaco bestemmiatore a consumare i denti nell’acido, di una tristezza irrefrenabile. Riapparve sul suo volto la piega distorta di quel labbro infelice, ora autentico e vulnerabile, che invano aveva provato a mantener tutto nascosto senza riuscirci.
Volse allora lo sguardo in alto, verso di me. «Io sono sepolto qui, di tanto in tanto vengo a trovarmi e a recitare una preghiera per la mia anima.»
Era arrivata la notte, all’improvviso, senza alcuna certezza, e ci precipitò addosso tutta la solitudine del mondo, come fosse un presagio, il latente sudario di quella morte che alberga in noi sin dal primo vagito inconsapevole.
Ultima modifica di Namio Intile il 05/09/2023, 20:38, modificato 7 volte in totale.
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che posso dire se non che è uno splendido pezzo?
faccio i miei complimenti all'autore.
scritto benissimo, forse solo qualche virgola da rivedere, descrizioni fantastiche e storia magnifica.
caratterizzazione dei personaggi ottimale.
sei riuscito a farmi vedere immagini nitide, davvero complimenti.
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Il respiro del mare e l'odore della salsedine permeano il vecchio marinaio che non desidera che una cosa sola, perdersi nella natura ancora incontaminata. Colpisce il netto contrasto con le ragazze del posto, la giovinezza e la leggerezza del vivere rispetto alla cupezza dell'europeo, appesantito dagli anni e da una civiltà ormai esausta.
Forse è proprio così, e gli ultimi anni ce lo confermano: il mondo corre altrove, e noi europei scompariremo piano piano, tra un selfie e una preghiera rivolta a un Dio ormai indifferente.
Uno splendido racconto, saluti
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Fausto Scatoli ha scritto: 20/07/2023, 21:52 che posso dire se non che è uno splendido pezzo?
faccio i miei complimenti all'autore.
scritto benissimo, forse solo qualche virgola da rivedere, descrizioni fantastiche e storia magnifica.
caratterizzazione dei personaggi ottimale.
sei riuscito a farmi vedere immagini nitide, davvero complimenti.
Ciao, Fausto. Da un pezzo non passavi da queste parti, ben ritrovato. E grazie per i riscontri, il tuo parere non è quello di uno che passa.
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Andr60 ha scritto: 21/07/2023, 14:58 Il respiro del mare e l'odore della salsedine permeano il vecchio marinaio che non desidera che una cosa sola, perdersi nella natura ancora incontaminata. Colpisce il netto contrasto con le ragazze del posto, la giovinezza e la leggerezza del vivere rispetto alla cupezza dell'europeo, appesantito dagli anni e da una civiltà ormai esausta.
Forse è proprio così, e gli ultimi anni ce lo confermano: il mondo corre altrove, e noi europei scompariremo piano piano, tra un selfie e una preghiera rivolta a un Dio ormai indifferente.
Uno splendido racconto, saluti
Ciao, Andr. Il racconto è più intimista di quelli miei soliti. Non possiedo la tua caparbietà nel trattare in modo continuo certi argomenti. Anzi il protagonista, i protagonisti, sembrano scivolare, al limitare delle loro perdute illusioni, in un universo anodino dove ogni senso si perde, si annichilisce, per lasciare spazio solo a un grande Nulla.
Grazie per il passaggio.
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Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

Namio,
è "toccante" (una volta messi tutti i filtri empatici a mia disposizione), e in realtà sarebbe "bello" finire così: scegliendo quando finire.
Per noi (sono nato nel '70) i posti come Bora Bora stanno scomparendo rapidamente. Restano solo i deserti. E la vita di città non è molto più ricca di rapporti umani, oggigiorno, quindi lo spostamento non vale quasi più la pena.
Un'immagine bellissima:
"Il tono era stato così perentorio e solenne che il tramonto rimase sconvolto in un impulso di paura, o forse pudore, simulò di fermarsi, e magari lo fece davvero.", ma la fai perdere nel mare delle seguenti. Non esprimerò cosa ho sentito perché mi è parso troppo intimo. Dal punto di vista dello scrivere (e del leggere), hai messo in sequenza dei paesaggi e metafore così belli da riempire interi romanzi, ma in un racconto (breve) è troppo. Eloc che piange inginocchiato davanti alla propria croce blu è più che sufficiente.
Ma come Eloc aspettava Gaetano (senza saperlo), così anche tu.
E ti assicuro, no, non è oggi.
Ultima modifica di Marino Maiorino il 18/09/2023, 15:13, modificato 1 volta in totale.
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Re: La passe

Messaggio da leggere da Namio Intile »

Ciao, Marino. Grazie per quel toccante e per i filtri emotivi, mi hai fatto un gran regalo. Ciò che volevo ottenere era proprio una reazione del genere. Per il viaggio condivido in parte, ma il discorso è troppo complesso per poterlo affrontare in questa sede. Però è vero che il turismo ha distrutto un certo approccio al viaggio e quindi anche il viaggio in sé del viaggiatore vecchio stile è quasi impossibile proprio a causa del turismo di massa (perché il turismo di massa ha sconvolto l'approccio delle popolazioni residenti verso il viaggiatore e ha trasformato tutti in turisti), almeno nei luoghi in cui il turismo di massa si è sviluppato. E ahimè oramai è quasi tutto il globo. Anche l'evoluzione del turismo di massa, che io chiamo turismo dello sfondo o del cambio di fondale, mi pare si stia avviando per una via dalla quale non ci sarà ritorno. Il turismo del cambio di fondale ha a che fare con l'uniformità e con la libertà. La libertà dell'Occidente ha reso tutti uguali e quindi anche vedere e conoscere persone di altri paesi perde la sua attrattiva, il suo senso. L'uniformità ci rende simili per cui è possibile il solo cambio di fondale, che non è la prospettiva, ma un mero accidente visivo. Mi affaccio dalla finestra da dove vedo il mare o da quella da dove si scorgono le montagne? Questo, e nulla più.
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Messaggio da leggere da Athosg »

Bellissimo pezzo con una scrittura morbida e ricchissima di parole. Un racconto filosofico sulla caducità delle nostre esistenze. I due protagonisti sono in sintonia nel ritrovarsi alla fine del mondo, non solo reale, per giungere alla conclusione che la vita di ognuno è un battito d'ali nell'eternità.
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Re: La passe

Messaggio da leggere da Namio Intile »

In due parole hai detto tutto. Ciao, Athos. E grazie.
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Gabriele Pecci
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Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

«A Parigi c’è tutto, ma manca tutto il resto…»

Scorrendo il tuo racconto mi chiedevo cosa siamo sempre stati in fondo, cos'è che ci spinge alla scoperta di nuove rive, nuove vette dove trovare, o poter infrangere, arrampicare con fatica i nostri ultimi sogni, le nostre speranze di cambiamento... Ecco, la "fatica" forse è proprio questo nella sua banalità apparente un fattore ormai dimenticato, la fatica di una vera ricerca al di fuori delle nostre comodità, al di fuori di ciò che già conosciamo, il tornare per un breve momento a quel primo vagito inconsapevole, a un diverso modo di approccio su ciò che ci rende coscienti di noi stessi, una riflessione, oppure un lavoro manuale mai sperimentato, la comprensione di un nuovo aspetto, il provare a perdersi piuttosto che tracciare un percorso, questo può essere ancora meta di un nostro ipotetico viaggio, un posto meno trafficato, un sentiero impervio ai più, se non la nostra ultima, al contempo antica e moderna, frontiera; una delle poche qualità da scoprire, o riscoprire, dentro, non solo al di fuori di noi stessi. Più che il testo in sé pertanto, tornando all'inizio di questa recensione, è questo che mi ha spinto a suo, e mio modo a viaggiare, il messaggio.

Voto 4.
Namio Intile
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Re: La passe

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Ciao, Gabriele, grazie del passaggio, e del messaggio.
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Il_Babbano
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Annnuciazione, annunnciazione: il typo c’è! E il Babbano lo ha trovato!

Ma, per sapere quale e dove stia, dovrete leggere almeno il 98% di questo commento che – ovviamente - è più lungo del racconto stesso. Perché sennò è troppo comodo, perché sennò non si impara niente, perché lo faccio per voi. A dirla sincera: Perché sono bastardo dentro, ecco perché.

Che me lo ha chiesto lui, eh? Dico, un commento da parte mia – illuso che sarebbe stato come uno di quelli del concorso “a modo mio”. E invece…

Allora, iniziamo a dire che questo racconto è una vera epopea degna di un grande scrittore: c’è un avvio che pare semplice, una storia che pare subito al limite del credibile o, quantomeno, scritta da uno che vive fuori dal mondo (spiego il dettaglio poi), e che tuttavia ci regala un viaggio da sogno, tra panorami stupendi, per poi farci scoprire che uno dei personaggi non è esattamente quel piccolo commerciante bastardo che frega i turisti che abbiamo incontrato durante la nostra ultima vacanza, ma un pezzo da novanta (o forse, come dicevano in “quei bravi ragazzi”, "da centoventi") dello scorrere della vita.
Non posso che essere d’accordo con chi ha commentato prima di me: il racconto merita un cinque pieno, per la capacità di far viaggiare a diversi livelli, da quello basico - “l’ultima vacanza al mare, e come avrei voluto che fosse” - a “la Vita, l’Universo e Tutto Quanto in riva al mare”, passando per “mannaggia a me che mi sono sposato/a”.

Fuori dal mondo: vado a spiegare.

Dunque, abbiamo un marinaio che paga per guidare una barca. Si inizia da 500 franchi, si passa a mille per via della strana richiesta di vedere un atollo disabitato – il sogno di ogni marinaio, no? - e poi, quando Eloic (“Cielo”? Perdona l’ignoranza mia) si rende conto che il nostro è un marinaio, arriva a pentirsi di non avergliene chiesti dieci volte tanto. Ora, non so il cambio del tempo, ma mi pare strano: perché per portare uno capace dovresti chiedere di più che a portare un turista imbranato? Che fine ha fatto la solidarietà tra colleghi? E perché, se uno fa un mestiere, appena va in vacanza paga per fare quello che fa a pagamento? Sto per caso correggendo/commentando scritti gratis di domenica? Ma io mica faccio quello, di mestiere (e si vede, suppongo)…

Però una spiegazione c’è:

“e mi costringerai ad arrivarci sul serio alla tua dannata isola deserta”
È chiaro che il furbissimo Eloic conta di scarrozzare turisti in giro promettendo destinazioni da sogno (chessò: uno scoglio in mezzo al nulla, un punto dove l’acqua è freddissima o ci stanno gli squali ad aspettarti...) e poi, sul più bello, fargli scoprire che la destinazione non si può raggiungere (o vendergli un luogo per un altro) e tornare indietro avendo impiegato solo la metà del tempo, questo malandrino. Col marinaio esperto, ovvio, il gioco non riesce: uno a zero per gli italiani (purché navigatori)!

Aggiungo: l’espressione “sedie” (impagliate) “diversamente solide” è bellissima :D .


Poi: tu vinci una “Full Ultimate Clock Killer Babbano Punteggiatura Review”[*], una cosa che riservo solo alle persone più care in gara per qualche concorso o ai professori di lettere, di quelli che rifilano insufficienze ai loro studenti perché “te lo dico io come si scrive” – nella speranza che, a mostrargli cosa succederebbe se correggessero loro sé stessi, forse al sei non ci arriverebbero, e magari al prossimo compito in classe sarebbero un filo più indulgenti...(che poi: aspetta la revisione del testo di un certo animale che ha partecipato a un concorso fighissimo, e vedrai se non la pianta di andare in giro a rompere le scatole per la punteggiatura. Di passaggio: di là Giori ha preso 10. Ma non è ancora finita, che si sappia: ti sto commentando prima del tempo perché l’estate è finita e non volevo che il concorso chiudesse prima che io rispettasi l’impegno che tu hai preso per me...).

“Con un tono denso di acida ironia, in un inglese approssimativo, ”
Tutto giusto, però suggerirei “approssimato” anziché “approssimativo”, che è più lungo e quindi più impegnativo.



Sono un fiero sostenitore della possibilità di mettere una virgola prima di una “e”, ma non “a prescindere”: serve quando si voglia indurre una breve pausa prima di quel che segue, oppure se la frase che recede la “e” è una subordinata (e la congiunzione lega in realtà due principali o anche due relative di livello superiore).

Come qui:

“finché sulla sabbia, leggera come talco, non incrociai un manufatto d’altri climi, e di diverse latitudini dell’altro emisfero, languire placido sul bagnasciuga,”

quel “, e di diverse latitudini dell’altro emisfero,” ci sta, perché è un inciso, una specificazione, nell’inciso.

Questo è un altro esempio:

Eloic entrò in casa, senza dire una parola, e ne uscì con un secchio di latta

La “e” unisce le due frasi “entrò in casa” e “ne uscì”, le virgole separano l’inciso “senza dire una parola”. Ottimo.

Anche qui:

“Non ebbi tempo di pensare ad altro, e alle mie spalle udii una voce cavernosa frammezzata da un respiro agitato.”

Ci sta: facciamo una piccola pausa (per quanto, quella “e” si potrebbe anche togliere sostituendola con un “che”, ma non è che cambi il succo)

Idem qui:

“Mi voltai, e fui di fronte a un uomo magro come un Cristo in croce”
la pausa è anche dovuta per l’azione: si è girato con calma relativa, quindi ottimo.


Qui invece:

“L’uomo scosse la testa, e dopo aver bevuto un sorso dalla bottiglia, e tirato una boccata dal sigaro, disse:”

cambierei in:

L’uomo scosse la testa e, dopo aver bevuto un sorso dalla bottiglia e tirato una boccata dal sigaro, disse:
(o in:
L’uomo scosse la testa e, dopo aver bevuto un sorso dalla bottiglia, e tirato una boccata dal sigaro, disse:)

per unire meglio “L’uomo scosse la testa” e “disse”, che sta in fondo.

Qui toglierei l’ultima virgola (bisogna leggere anche il resto del discorso):

non è per sfiducia, sai, ma magari inizi a vomitare non appena usciamo in mare aperto, e mi supplichi di ritornare a terra.


Per questo:

“«Italiano, lo immaginavo, solo voi amate il francese più dell’inglese: e poi andate in giro sempre come se vi trovaste a una maledetta sfilata.”

Propongo:

“«Italiano, lo immaginavo: solo voi amate il francese più dell’inglese. E poi andate sempre in giro come se vi trovaste a una maledetta sfilata.”
(ho anche spostato “sempre” perché, sebbene meno corretta, è la forma più comune nel parlato, almeno dalle mie parti – se è una cosa locale mia, come non detto)

Qui, invece, metterei una virgola oppure una “e” prima di “così” (ma solo se piace anche a te, sennò pace):

Si accorse subito che sapevo dove mettere le mani così, senza dirmi niente, mi lasciò il timone.

Metterei (sempre opzionale) “forse” tra due virgole:

“non significava altro forse se non che quella era l’impronta della fantasia di Dio nella Creazione.”

E qui sostituirei la virgola dopo “birra” con due punti (ma, anche questo, se si vuole):

“«Allora per punizione mi offri anche una birra, ti ho chiesto troppo poco per un’esperienza del genere.»”

Niente che non vada, ma perché scrivere:

“mi disse, e la tracannò d’un sorso la sua birra,”
anziché:

“mi disse, e tracannò d’un sorso la sua birra,”?

Oppure allora mettere “la sua birra” tra due virgole:

“mi disse, e la tracannò d’un sorso, la sua birra,”


Questa frase va bene così com’è, però, per renderla più leggibile, la girerei un poco e cambierei un “virgola, e” con un punto e virgola, sopprimendo una virgola:

“Eloic urlò qualcosa alle ragazze indigene, nella loro lingua, e loro si mossero scomposte, mentre io, per la prima volta, le potei osservare “

Eloic urlò qualcosa nella loro lingua alle ragazze indigene; loro si mossero scomposte mentre io, per la prima volta, le potei osservare


Qui comunque due punti servono, mi pare, al posto della virgola, dopo “trattava”:

Eloic sembrava il loro cupo sovrano dalla pelle bianca, senza reggia né corona, e come un re le trattava, ruvido impartiva loro ordini ai quali, in modo maldestro, provavano a ubbidire.

A costo di sembrare anche più pedante di quel che sono (che è comunque tanto, ma lo sto facendo apposta perché mi è stato chiesto, e mi ritrovo a leggere con attenzione smodata un testo anziché fare un giro in bici, come vorrei fare in questa domenica di tempo sereno e mite – maledetto Intile: colpa tua!):

“Tutti sotto la palma, seduti sui vecchi fusti, con le tre ragazze a divorare il pesce, come noi con le mani, a ridere e parlare fra loro, nella loro lingua, senza badare a noi, come se la nostra esistenza non le riguardasse.”

Avrei scritto (non che sia chissà che rivoluzione, eh?):

“Tutti sotto la palma, seduti sui vecchi fusti, con le tre ragazze a divorare il pesce come noi, con le mani, e a ridere e parlare fra loro, nella loro lingua, senza badare a noi, come se la nostra esistenza non le riguardasse.”
“Ebbi l’impressione che rincorresse un demone invisibile e trasparente, perturbava l’aria e fermava il vento, poi all’improvviso chinò la testa,”

Ummm. Che ne pensi di:

“Ebbi l’impressione che rincorresse un demone invisibile e trasparente, che perturbava l’aria e fermava il vento; poi all’improvviso chinò la testa,

“«Voglio vedere la Creazione, prima che scompaia» gli dissi «prima che l’uomo”

ci sta. Però:

«Voglio vedere la Creazione, prima che scompaia», gli dissi, «prima che l’uomo

o anche:

«Voglio vedere la Creazione, prima che scompaia,» gli dissi, «prima che l’uomo
anche solo per venire incontro a esigenze tipografiche, intendo.

Qui c’è una ripetizione di tutti – e anche qualcosa che non va nella punteggiatura:

“Io sono un medico, ero un medico, come tutti nella mia famiglia, ma dopo la laurea ho assecondato il demone del mare. Regate, traversate a vela, due giri del mondo con gente che ci sapeva andare, uno fra tutti Eric, il capitano, il migliore tra tutti

Propongo:

“Io sono un medico - ero un medico, come tutti nella mia famiglia; ma, dopo la laurea, ho assecondato il demone del mare: regate, traversate a vela, due giri del mondo con gente che ci sapeva andare. Uno in particolare: Eric, il capitano. Il migliore tra tutti”

A seguire:

“la gente parla, parla e poi parla ancora perché non sa cosa dire, e se non lo fa non sa come giustificare a se stessa la propria esistenza. Lui invece stava sempre in silenzio, per lui parlava quanto faceva: e la folla, la gente, quando poteva la evitava…”

a scelta:

“la gente parla, parla e poi parla ancora perché non sa cosa dire e, se non lo fa, non sa come giustificare a se stessa la propria esistenza. Lui invece stava sempre in silenzio: per lui parlava quanto faceva, e la folla, la gente, quando poteva, la evitava…”

o anche:

“la gente parla, parla e poi parla ancora perché non sa cosa dire. E, se non lo fa, non sa come giustificare a se stessa la propria esistenza. Lui, invece, stava sempre in silenzio. Per lui parlava quanto faceva. E la folla, la gente, quando poteva, la evitava…”


Qui c’è un typo:

“Le persone con cui mi capitava di conversare. se avessero avuto l’ardire di ingoiare la propria saliva, sarebbero morte avvelenate, ecco cosa pensavo.”

O non ci va il punto dopo “conversare”, o la parola successiva deve iniziare con la maiuscola.

Ma immagino fosse un due punti:

“Le persone con cui mi capitava di conversare: se avessero avuto l’ardire di ingoiare la propria saliva, sarebbero morte avvelenate, ecco cosa pensavo.”


“«Vieni con me» disse, in modo inatteso, e si sollevò dal fusto con un ruggito da bestia ferita, ”

Mah. E se, invece, fosse:

«Vieni con me» disse in modo inatteso, sollevandosi dal fusto con un ruggito da bestia ferita,

(nonostante i gerundi abbiano una pessima fama, qui si legge meglio così, no?)


“Il tono era stato così perentorio e solenne che il tramonto rimase sconvolto, in un impulso di paura o forse di pudore, simulò di fermarsi, e magari lo fece davvero.”

Troppo barocco questo?

“Il tono era stato così perentorio e solenne che il tramonto rimase sconvolto. In un impulso di paura o, forse, di pudore, simulò di fermarsi; e magari lo fece davvero.”


“Nel dubbio”, tra due virgole?

“Il vento era girato intorno circospetto, nell’ansia di capire chi fosse stato in grado di sconvolgere l’ordine universale, e nel dubbio sospirò inquieto, infastidito da quell’ardire.”


Un punto e virgola dopo “testimoniare”? E perché qui non anche una virgola dopo “avvolgeva”, seguita da quella “e”?

“Cercai di non far caso ai segni, ma i segni erano là a testimoniare, l’inquietudine mi avvolgeva e mi sosteneva solo l’attesa del prossimo sorso di rum, la bocca arsa dal verme di un nuovo abisso.”


un punto e vorgola (o un punto e basta), dopo “cielo”?
“Le nuvole inquiete si scontravano, e combattevano, per riprendersi il dominio del cielo, una luna impaurita sorgeva dal mare in un tremolio d’improvvisa e inaspettata solitudine.”


Virgola piglia tutto? Manzoni è risorto e si è suicidato, sappilo!

“Adesso la vedevo, la scimmia era nuda, maligna la sua esistenza, i suoi passi di samba erano il terremoto estremo che sconvolgeva la terra, divorava le foreste, inacidiva il mare.”

Che ne pensi di:

“Adesso la vedevo: la scimmia era nuda, maligna la sua esistenza; i suoi passi di samba erano il terremoto estremo che sconvolgeva la terra, divorava le foreste, inacidiva il mare.”


C’è poi un periodo pieno di virgole. Eppure io dico che ne mancando due, intorno ai piedi:

“il tremito della sabbia(,) sotto i nostri piedi(,) aggrovigliarsi nella contorta preghiera antica”


Qui:
“Non vedemmo proprio niente, ma Eloic si fermò e si inginocchiò, si segnò il petto e si rovesciò il rum addosso, come in battesimo blasfemo.”

intanto: “come in un battesimo blasfemo”. Poi metterei almeno un punto e virgola prima del “ma”. Perché sì, e basta.
Di passaggio: ve l'ho detto che sono disgrafico e che, ai miei tempi, manco si sapeva cosa fosse, la disgrafia? Questo forse vi spiega il perché di tanta pignoleria e di tanto odio verso i professori di lettere (per non parlare dei maestri delle elementari, con le loro lettere che dovevano essere tutte uguali...)

[*]
F.U.C.K. B(abbano) p.r. - perché recidivo, o una cosa del genere. Comunque, quel cane di un gatto saccente se lo merita. A prescindere!
(Seguono novanta minuti di applausi, soprattutto da parte di chi avesse preso recensioni poco favorevoli o avesse letto tutto questo commento, nota compresa, per il “click bait” iniziale)
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Alberto Marcolli
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Accidenti A Il_Babbano - chissà se un giorno meriterò anch'io un simile commento. Magari...

“boccale:« Ovvio…” manca lo spazio.
“« Le donne…” spazio
“affollate ,e mi…” spazio

Come sai io segnalo. Valutare, stabilire, trascurare, ignorare ecc. non è affar mio.

Proposta
L’incipit è chiaramente intenzionale, tuttavia a me suona meglio:
Oggi Bora Bora è un paradiso per turisti con le tasche gonfie, ma quand’ero ragazzo...

vocabolo ripetuto
“della vastità degli spazi marini… gli spazi vuoti”

proposte
“un atollo disabitato,»”
“disabitata del mondo,»”
“«Qualche volta,»”
“io mi chiamo Gaetano,»”
Seguono altri casi analoghi, chiaramente intenzionali. Non credo possano essere sviste, non nel tuo caso! Io la virgola la metterei, tu hai scelto di non metterla. Punti di vista e nulla più.

Proposta

“dove mettere le mani, e così, senza dirmi niente…”

vocabolo ripetuto
“anello di palme e sabbia lungo un paio di chilometri: luce e mare trasparente, boschi di palme… palme … palme

Proposta
“una birra gelata dopo una giornata di mare» mi disse, e la tracannò d’un sorso,

proposta
“Il lato della casa, che confinava con la spiaggia, sembrava…”

vocabolo ripetuto
“al suo fusto da tempi troppo lontani per poterli ricordare. Non vidi sedie diverse da altri fusti d’olio…” fusto … fusti

Conclusione
Ho riscontrato un’abbondanza forse eccessiva di aggettivi. La bellezza del posto direi che l’hai spiegata molto bene, io lascerei anche al lettore il piacere di fantasticare sul mare e sul cielo polinesiano.

Mi piacerebbe sapere come cavolo hai tirato fuori un racconto del genere! Soprattutto il pezzo finale, diciamo da “Ero uno di quelli, ma mi guardai bene dall’ammetterlo.” in poi.

I pochissimi siciliani che conosco amano tutti la terra ferma!

Voto 5
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Racconto stupendo, emozionante, misurato, l'autore mostra grande padronanza dello stille e della lingua dando prova di poter asportare il lettore dove vuole, facendolo immergere nel paesaggio e immedesimare nei personaggi. Che dire, spero un giorno anch'io di imparare a scrivere così. Naturalmente voto 5.
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Il_Babbano
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Re: Commento La passe

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Alberto Marcolli ha scritto: 03/09/2023, 15:34 Accidenti A Il_Babbano - chissà se un giorno meriterò anch'io un simile commento. Magari...

Caro Alberto, ti ho già detto che ho molto rispetto delle tue reviews? Con Namio, però, avevo un debito.

Proposta
L’incipit è chiaramente intenzionale, tuttavia a me suona meglio:
Oggi Bora Bora è un paradiso per turisti con le tasche gonfie, ma quand’ero ragazzo...
Ti dico una cosa: avevo in realtà iniziato ieri, ma stamattina mi sono accorto di non aver salvato il file. Però ora ricordo che ieri avevo fatto una proposta per l'incipit che, come ottimamente segnalato da te, claudica.

Comunque, di quella birra, gliel'ho detto, eh? Non è che, a un certo punto, hai skippato?

A prescindere, e come direbbero i giovani: "Stima, bro".
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Innanzitutto grazie per la revisione a entrambi, sia ad Alberto che a Il Babbano.
So quanto costi in termini di impegno e di tempo metter mano agli scritti altrui.
Con Il Babbano ci siamo incontrati scontrati in sede di Officina, era marzo mi pare, dove avevo cominciato da non tanto tempo. Non sono stato molto cortese in quelle circostanze, perché convinto che il tuo fosse l'ennesima versione di un nick con cui da mesi avevo avuto discussioni. Max, in quel frangente, mi ha tranquillizzato e io mi scuso con te in ritardo.
In seguito ti ho seguito su NASF e BA: il tono sardonico e scanzonato, il linguaggio fresco e giovanile (ma ho l'impressione che tanto giovane tu non sia), le battute sempre pronte, le revisioni dei testi, che, ahimè, si fermano alla punteggiatura, e quindi a una certa consistenza esteriore del tessuto narrativo.
Eppure, giorni addietro, quando hai iniziato a recensire i racconti dell'antologia, ho visto anche dell'altro. La revisione dei testi era più approfondita: sintassi, lessico, logica informale. E mi sono detto, quanto è bravo Il Babbano. Quasi quasi gli lancio un guanto di sfida.
Non hai perso tempo.
Ecco, quando Gaetano incontra Eloic sa benissimo di trovarsi davanti a un marinaio. Perché un marinaio si riconosce per due ordini di elementi. Quelli fisici: pelle bruciata, mani callose, capelli incrostati di sale, piedi che sembrano mani, l'andatura dinoccolata e trasognante di chi è abituato a mantenere l'equilibrio sul ponte beccheggiante di una imbarcazione che non sulla solida terraferma. E quelli caratteriali: un certo modo di vedere il mondo e di rapportarsi alle persone, una sensibilità e una profondità non anodina. E anche Eloic, quando incontra Gaetano, nei suoi occhi vede il mare. Non sa chi abbia davanti, ma in un certo modo intravede la sua essenza. Così Gaetano lancia la sua sfida ad Eloic, che la raccoglie. Di questo il lettore non sospetta nulla, lo scoprirà piano piano. Il denaro (i miseri franchi CFP che valgono niente) non conta nulla. Ciò che conta è l'incontro scontro tra i due. Eloic è alla ricerca di un omologo, che possa capirlo, comprenderlo, con cui, nel finale, potersi confessare. Gaetano è, in fondo, il suo alter ego giovane. E in Eloic vede il suo futuro. Tu ti sei correttamente posto il problema della logica dell'incontro e della richiesta di denaro tra Eloic e Gaetano, giungendo alla conclusione, corretta, che un povero turista poteva essere gabbato e un marinaio no. Per questo Eloic doveva chiedere molto più denaro per quanto aveva detto che avrebbe fatto. Molto bene, questa è una revisione logica, di causa ed effetti, del testo. Mi è piaciuta.
Ma basta con le analogie.
Ecco, io in realtà ho cercato un omologo, qualcuno che, oltre al buon Alberto, sappia come fare la revisione di un testo, capisca dove mettere le mani per farlo funzionare, per renderlo più leggibile. E l'ho trovato.
Non sempre sono in grado di far respirare il narrato con le pause giuste e non sempre sono in grado di collegare le pause al corretto segno di interpunzione. Beh, tu ci riesci. Hai ragione quando scrivi che a volte un gerundio ci vuole, la sua eliminazione tout court ha un che di assiomatico, e ogni regola pretende eccezioni. Ma non sempre i due punti indicano una specificazione. Io li adopero per pause più lunghe della virgola e meno importanti del punto e virgola.
Hai trovato il refuso, è vero, quel punto fermo al posto dei due punti.
Ma quella ripetizione, quel tutti tutti, l'ho lasciata apposta. L'hai risolta egregiamente.
Insomma, la tua revisione mi è piaciuta e l'incontro anche. Seguirò le tue indicazioni al 98%.
Alla prossima, e grazie ancora.
Ultima modifica di Namio Intile il 04/09/2023, 16:12, modificato 1 volta in totale.
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Re: Commento La passe

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Alberto Marcolli ha scritto: 03/09/2023, 15:34 Accidenti A Il_Babbano - chissà se un giorno meriterò anch'io un simile commento. Magari...

“boccale:« Ovvio…” manca lo spazio.
“« Le donne…” spazio
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Come sai io segnalo. Valutare, stabilire, trascurare, ignorare ecc. non è affar mio.

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Seguono altri casi analoghi, chiaramente intenzionali. Non credo possano essere sviste, non nel tuo caso! Io la virgola la metterei, tu hai scelto di non metterla. Punti di vista e nulla più.

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“dove mettere le mani, e così, senza dirmi niente…”

vocabolo ripetuto
“anello di palme e sabbia lungo un paio di chilometri: luce e mare trasparente, boschi di palme… palme … palme

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Conclusione
Ho riscontrato un’abbondanza forse eccessiva di aggettivi. La bellezza del posto direi che l’hai spiegata molto bene, io lascerei anche al lettore il piacere di fantasticare sul mare e sul cielo polinesiano.

Mi piacerebbe sapere come cavolo hai tirato fuori un racconto del genere! Soprattutto il pezzo finale, diciamo da “Ero uno di quelli, ma mi guardai bene dall’ammetterlo.” in poi.

I pochissimi siciliani che conosco amano tutti la terra ferma!

Voto 5
Ciao, Alberto.
Grazie per la recensione e la revisione. L'apprezzo molto. Su palme e fusti hai ragione, me ne ero accorto, ma la pigrizia mi ha frenato. Sposterò anche quell'oggi. Ti ringrazio. I siciliani sono abbastanza terragni, è vero. Amano il mare, ma come sfondo o come luogo per nuotate. Sarà perché la malaria infestava le coste fino agli anni Cinquanta e, a parte le città, la gente viveva per lo più nei centri sui monti e all'interno. Sarà perché il nostro mare è stato sempre infestato dai pirati, almeno fino alla fine dell'Ottocento. Ma non per tutti è uguale. Io il richiamo dell'Aperto l'ho sempre sentito.
Mio nonno era un capitano della marina mercantile e ha passato in mare tutta la vita, ha fatto il giro del mondo cento volte e si è fatto pure due guerre mondiali, la prima con le motosiluranti in Adriatico. Non ne poteva più di mare, ed è morto in campagna mentre raccoglieva le olive. Le leggende familiari narrano anche che un mio bis bis bisavolo si fosse convertito all'Islam e battesse le coste meridionali della Sicilia al comando di una nave barbaresca.
In quel pezzo finale, caro Alberto, ci sono io, o almeno una parte di me.
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Re: Commento

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Merceds Cortani ha scritto: 03/09/2023, 20:01 Racconto stupendo, emozionante, misurato, l'autore mostra grande padronanza dello stille e della lingua dando prova di poter asportare il lettore dove vuole, facendolo immergere nel paesaggio e immedesimare nei personaggi. Che dire, spero un giorno anch'io di imparare a scrivere così. Naturalmente voto 5.
Innanzitutto, benvenuta. Grazie per la lettura, e il passaggio. Ho letto il tuo racconto, scrivi bene già così: altre tecniche si possono sempre apprendere.
Un caro saluto
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Re: La passe

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Diciamo le cose come stanno, però: sono stato io a mordere in "Officina" e non sei tu quello che doveva delle scuse. Ecco perché, seppur tardivamente, ho approfittato del guanto lanciato per fare qualcosa per te, anche per scusarmi (appunto: toccava a me).
Lieto che tu abbia apprezzato il lavoro del "giovane vecchio correttore (infame) di bozze".
Alla prossima.
Namio Intile
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Re: La passe

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L'ho apprezzato molto. Correttore di bozze infame non è male. Peccato, perché verrai promosso prima o poi.
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Re: La passe

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Namio Intile ha scritto: 04/09/2023, 16:13 Correttore di bozze infame non è male. Peccato, perché verrai promosso prima o poi.
:D
Vedrai che mi guadagnerò un titolo aggettivato anche più incisivo di questo - tipo: "Verme Piatto".
Per quanto, magari non verrò mai promosso, chissà.
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È sempre urgente, quando vedo che Namio Intile scrive, andare a godermi un suo racconto. Anche in questo non manca quella cifra, la sua, di “mestiere” elegante. Ogni parola è studiata e voluta, sempre perfetta a volte a scapito della scorrevolezza quando si è poco predisposti a una lettura attenta. Le sue figure sono sempre dettagliate, stimolano immagini precise e se vuole l’autore sono anche chiarificatrici. Le sue citazioni sono colte, alcune che riconosco e altre che mi invitano a fare ricerche sul santo net. Altri prima di me sono stati abili a trovare incertezze sulla punteggiatura o su altri aspetti della scrittura, o pronti a consigliare come avrebbero scritto le sue frasi. Non sono così bravo, o forse sono poco attirato dalla ricerca così tecnica. Preferisco godermi certi passaggi, come l’intuito che sussurra, gli sfiati dei delfini che imitano una benedizione, l’atollo come impronta della fantasia di Dio nella Creazione, solo per citare i primi. Questo racconto parla di malinconia per una vita che potrebbe essere e che non è stata, o quantomeno non è stata respirata: “ In Bretagna sono tutti marinai… Io sono un medico, ero un medico come tutti quelli della mia famiglia (…) ho assecondato il demone del mare (…) Poi, trascinato dal rimorso (…) trovai lavoro a Parigi…” per poi raccontare di una vita a rotoli e di una decisione coraggiosa che l’ha portato a ritrovare il mare. Eppure, anche questa nuova vita è intrisa di rimpianti, di dubbi, di disfacimento e di tombe in prospettiva. Sembrerebbe che Gaetano e Eloic siano la stessa persona, il primo che rappresenta la parte razionale alla ricerca della spiritualità “animale”, il secondo che racconta che non può esistere un ideale di vita, qualsiasi cosa si faccia prima o poi chiederà il conto: quello di far morire ogni sogno, in attesa della morte.
Grazie Gaetano – Eloic per raccontarci un poco di te.
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Xarabass ha scritto: 07/09/2023, 13:51 Il racconto è davvero scritto benissimo ti invidio molto.
Trovo la storia molto lenta e noisa per i miei gusti.
Sembra più un esercizio di stile e non è per nulla accattivante.
Non mi dà alcun sentimento positivo o negativo, sono quelle letture dove dici: letto, ora passiamo ad altro.
A giudicare da quanto scrivi: storia noiosa e lenta, per nulla accattivante e incapace di suscitare alcun sentimento, letto e passiamo ad altro, faresti bene a non invidiarmi. Date le conseguenze, la premessa è priva di senso.
Mi scuso pertanto per averti annoiato e fatto perdere tempo, ma non credo che riuscirò a migliorarmi, ormai sono vecchio.
Posso chiedere qual è il tuo tipo ideale di lettura?
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Namio Intile
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Re: Commento

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Marcello Rizza ha scritto: 07/09/2023, 9:53 È sempre urgente, quando vedo che Namio Intile scrive, andare a godermi un suo racconto. Anche in questo non manca quella cifra, la sua, di “mestiere” elegante. Ogni parola è studiata e voluta, sempre perfetta a volte a scapito della scorrevolezza quando si è poco predisposti a una lettura attenta. Le sue figure sono sempre dettagliate, stimolano immagini precise e se vuole l’autore sono anche chiarificatrici. Le sue citazioni sono colte, alcune che riconosco e altre che mi invitano a fare ricerche sul santo net. Altri prima di me sono stati abili a trovare incertezze sulla punteggiatura o su altri aspetti della scrittura, o pronti a consigliare come avrebbero scritto le sue frasi. Non sono così bravo, o forse sono poco attirato dalla ricerca così tecnica. Preferisco godermi certi passaggi, come l’intuito che sussurra, gli sfiati dei delfini che imitano una benedizione, l’atollo come impronta della fantasia di Dio nella Creazione, solo per citare i primi. Questo racconto parla di malinconia per una vita che potrebbe essere e che non è stata, o quantomeno non è stata respirata: “ In Bretagna sono tutti marinai… Io sono un medico, ero un medico come tutti quelli della mia famiglia (…) ho assecondato il demone del mare (…) Poi, trascinato dal rimorso (…) trovai lavoro a Parigi…” per poi raccontare di una vita a rotoli e di una decisione coraggiosa che l’ha portato a ritrovare il mare. Eppure, anche questa nuova vita è intrisa di rimpianti, di dubbi, di disfacimento e di tombe in prospettiva. Sembrerebbe che Gaetano e Eloic siano la stessa persona, il primo che rappresenta la parte razionale alla ricerca della spiritualità “animale”, il secondo che racconta che non può esistere un ideale di vita, qualsiasi cosa si faccia prima o poi chiederà il conto: quello di far morire ogni sogno, in attesa della morte.
Grazie Gaetano – Eloic per raccontarci un poco di te.
Ehi, Marcello. Ogni tanto ripassi ed è sempre un piacere ritrovarti. Ho visto un tuo racconto, né dentro né fuori la gara. Per quel poco che ti conosco non sembra casuale. Ti vengo a fare visita prima che scompaia. Io, come vedi invece, ci tengo sempre a farmi vivisezionare. Ma ho fatto una bella scoperta: Il Babbano, un vivisezionatore di quelli in gamba.
È vero quanto scrivi, e forse vi ho accennato in una delle risposte ai commenti. Il centro della narrazione è l'incontro scontro tra Gaetano ed Eloic: due figure contrapposte, che si scontrano, ma anche equivalenti, che si incontrano. Sono forse l'uno la memoria dell'altro e l'altro l'immagine prospettica del primo, dove il presente dell'uno è per l'altro il passato o il futuro. Il racconto si nutre di questa contrapposizione, a prescindere dalle immagini, dall'ambientazione, e dal finale, che prova a lanciare uno sguardo più alto.
Insomma, ci provo a scrivere. Ci provo, ci provo, ci provo... e non mi consumo.
Se fossi un esperto di misture alcooliche ti direi che scrivere è: per il quaranta per cento tecnica, quindi razionalità, per il quaranta per cento emozioni, quindi empatia, per il dieci per cento esperienza, e quindi vita vissuta, e per il rimanente talento, ossia pura fortuna.
E bisogna anche dargli una mezza mescolata. Non accortezza, però.
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Messaggio da leggere da Il_Babbano »

Xarabass ha scritto: 07/09/2023, 13:51
Trovo la storia molto lenta e noisa per i miei gusti.
Sembra più un esercizio di stile e non è per nulla accattivante.
Non mi dà alcun sentimento positivo o negativo, sono quelle letture dove dici: letto, ora passiamo ad altro.

Sul serio? Forse è un po' lungo, ma accorciarlo sarebbe un delitto. Magari lo hai letto che eri un po' stanco? A volte, fa tutta la differenza.
Selene Barblan
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Messaggio da leggere da Selene Barblan »

Ciao Namio, ho iniziato a scrivere il commento al tuo racconto più volte e più volte mi sono arenata, è un periodo un po’ pieno, mi spiace… adesso è troppo tardi ai fini della gara, ma vedo che hai ottenuto un meritato primo posto e mi consolo. È un racconto molto bello, in tanti momenti mi sono immedesimata nei personaggi e ho visto perfettamente i luoghi che descrivi, come se ci fossi stata di persona. Ho letto diverse volte il finale, non è stato per me di immediata comprensione, ora credo di aver colto almeno in parte il senso. Sicuramente tutta la scrittura racchiude una miriade di riferimenti che io non so cogliere, ed è un mio limite che sto tentando di colmare, gradualmente. Ho messo un 5 fuori gara, cercherò di essere più presente la prossima volta, in ogni caso davvero un bellissimo lavoro.
Namio Intile
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Re: La passe

Messaggio da leggere da Namio Intile »

Ciao, Selene. Peccato non aver letto qualcosa di tuo a questo giro. Per il voto, non ti preoccupare. Ciò che mi preme è riuscire a raggiungere il lettore; credo che sia il desiderio di riconoscimento ciò che mi spinge a continuare a partecipare. Certo, il voto fa parte di quel meccanismo, ma nel caso degli autori che da un po' seguo, e mi seguono, e a cui va la mia stima, le parole contano più del mero voto.
Quanto al finale... Moitessier e Tabarly, sono due autentiche icone per chi va per mare a vela. Non tanto per la bravura, indiscussa, ma per la scelta di vivere, e morire, in un certo modo. La sfida continua con se stessi e con la Natura, il desiderio di solitudine e di immensità. Delle divinità. Ma di questi dei, come ogni autentico Dio rivelato, il mio protagonista ne comprende la lontananza, l'indifferenza, la noncuranza. Ecco, la noncuranza. Mi ritorna sempre questo sostantivo in mente. E alla fine cosa rimane? Nulla, dopo aver compreso la noncuranza degli dei, di Dio, non rimane nulla se non quell'ultimo appuntamento, che ci attende sin dal nostro primo vagito. In fondo noi siamo in mezzo a due nulla.
Se è il disiderio di riconoscimento a condurmi per le impervie vie della gara, non è certo quello che mi spinge a scrivere. Creare, costruire racconti, entrare dentro la mente dei lettori e nei meandri del linguaggio, è un modo per sfuggire al nulla, per ingannarlo, ahimè.

Spero di leggerti in gara.
Un caro saluto.
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Re: La passe

Messaggio da leggere da Selene Barblan »

Grazie, ho colto meglio il significato del racconto ora e mi ci ritrovo anche, sotto diversi punti di vista. Avrei voluto partecipare ma non ho concluso… nulla, vediamo se ce la farò, prima che il rosso ceda il passaggio al bianco. A presto!
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