La prima ora della notte

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'autunno 2023.

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Namio Intile
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La prima ora della notte

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Giunse l’ora in cui il Signore lasciò il suo servo andar via, affinché seguisse la Sua parola.



Si accostò alla finestra poggiando la testa sulla tenda di lino candido: inspirò a lungo, e il profumo della lavanda le riportò indietro la mamma, mentre la sera invadeva la via, e s’allungavano, tra le palazzine spoglie, i colori del tramonto.
I bambini giocavano per strada, attardandosi: Luce a rincorrer Sandro, Lia e Livia, rapide a fuggir in bicicletta, i più grandi a tirar calci alla palla, a valle d’una porta immaginaria. Di quei figli, dei prospetti cogli intonaci malmessi, delle ringhiere invariabilmente rugginose, degli androni senza ascensori funzionanti, sapeva di ciascuno il nome, e delle loro famiglie la quotidiana fatica.
Tirò via la tenda, per aprire le imposte, e la sentì arrivare: la prima ora della notte.
Lanciò un grido abbasso, per chiamare a raccolta i fratelli, mentre le note malinconiche di Io che amo solo te si diffondevano nella casa. Suo padre la metteva sempre quando tornava dal lavoro, e si concedeva una doccia calda prima della cena.
Mi ricorda Elena, si scusava sempre.
Aveva soltanto ventidue anni Adele, ed era rimasta, dopo la morte della mamma, a far da madre ai suoi fratelli più piccoli, Enrico ed Elisa, e ad aiutare il papà.
Che lavorava tutto il santo giorno per permettere loro una vita dignitosa.
A un certo punto le domandò perché ancora non fossero rincasati.
Adele smorzò un sorriso e scrollò le spalle. «Aspettano te per essere recuperati.»
Si guardò in giro, a passare in rivista gli oggetti della piccola sala.
Alcuni, lo ricordava, li aveva comprati assieme alla mamma, alla fiera del sabato a Monte San Giuliano.
Prese una pezza, mentre si domandava da dove potesse arrivare tanta polvere.
E pensò a quanto fosse strano, in quegli anni il non aver mai pensato di potersene separare: al contrario, a volte le pareva quasi di appartener lei a quella casa e a quanto si trovava dentro.
«Novità?» Chiese il papà.
E iniziò a darle una mano in cucina, mentre i piccoli si lavavano in bagno continuando le loro allegre chiassate.
«Il professor Maccagnano finalmente mi ha fatto una proposta: a dicembre si apre una finestra. Dovrei completare i due esami per la magistrale a Helsinki e rimanere là per il dottorato.»
«Helsinki? Helsinki... È lontanissimo» rimuginò il papà, con un fil di voce, e al tempo stesso un sorriso fiero gli illuminava il volto.
«Ma hanno uno dei migliori dipartimenti di paleo antropologia d’Europa. Quando mi capiterà un’occasione del genere?»
«E allora vai. Pensa al tuo futuro. Sei la prima della famiglia ad essere arrivata alla laurea. La mamma sarebbe fiera di te. Noi ce la caveremo, non stare a preoccuparti.»
«E come? Come ve la caverete? Chi baderà ai bambini, chi li prenderà da scuola, chi gli farà fare i compiti, chi preparerà loro da mangiare?»
«In qualche modo ci arrangeremo. E poi c’è la signora Carla, lo sai, muore dalla voglia di poterli avere tutti per sé. Tu invece devi pensare solo a te stessa, e al tuo futuro.»
«E poi all’inizio, non so là fino a che punto potrei essere indipendente. Non voglio pesarvi.»
Abbassò lo sguardo, sconfortata. E lui le si avvicinò per zittirla.
L’abbracciò, la rincuorò, le sussurrò a un orecchio di non stare a preoccuparsi, le fece coraggio, la rassicurò dicendole che ce l’avrebbero fatta, e quel distacco, per quanto doloroso, lo avrebbe dovuto compiere, prima o poi.
Furono interrotti dai bambini, il loro ingresso in cucina simile a un’irruzione, lesti ad avvinghiarsi a loro in un soffocante abbraccio.
E la piccolina, afferrata la sorella per il collo, faceva la voce grossa per esser tirata su, e giù, e poi di nuovo su, e ancora.
«Sei la vita mia» le sussurrò Adele, con una lacrima calda a scivolarle dal viso.
Non li aveva solo visti, ma fatti crescere, erano loro la sua famiglia. Ma, tutto deve cambiare.
Gliel’aveva ripetuto anche Serena, la sua migliore amica e unica confidente, sino alla sera avanti.

Le aveva detto di doversi rassegnare a questo genere di cambiamento, perché le cose non potevano rimanere sempre eguali, e lei doveva farsi forza per crescere, e andar avanti da sola, colle sue sole forze, sulle proprie gambe.
«Adele, che aspetti? A tavola è pronto» la chiamava il papà, destandola dai suoi rimorsi.
E si disse che Serena aveva ragione.
Di quella vita, in fondo, lei s’era stancata. Ogni giorno a dover badare ai bambini, a svegliarli e preparare loro la colazione, ad accompagnarli a scuola. E poi correre all’università, e ancor più di fretta tornare, prima la metro e poi col bus, e far la spesa, rassettare casa, inventarsi la cena. Ogni santo dì dell’anno.
Senza mai un momento per sé.
Eccetto i pomeriggi dei fine settimana, in cui aveva trovato lavoro nella boutique della signora Elisa, per poter avere qualcosa da spendere in più per i libri, non certo per divertirsi colle amiche. Un’esistenza ingessata, a volte soffocante; ma ora, proprio adesso, mentre s’apprestava a lasciarla, non la trovava poi del tutto indesiderabile.
Provò a farsi forza e pensò alla vita di Serena: usciva quasi ogni sera lei, e viveva con leggerezza, gliela si poteva leggere in faccia la sua felicità.
Tutti hanno diritto alla felicità, non è così che si dice? Non è forse un mio diritto?
Ogni sera a domandarsi quando sarebbe mai iniziata la sua vita.
Quando avrò il tempo di frequentare un ragazzo, l’opportunità di svagarmi un po’; quando inizierò a pensare solo, e finalmente, a me stessa?
Ma si può pensare solo a se stessi? E non bisognerebbe invece prendersi cura di tutto ciò che ci circonda?
Ad Helsinki, ne aveva la certezza, avrebbe potuto esplorare un altro modo di vivere. E approfondire quegli studi da cui si era sempre sentita attratta, fin da ragazzina: con la prospettiva di un dottorato di ricerca, e magari, in futuro, di una cattedra universitaria: ciò significava indipendenza economica, una casa tutta sua, di conseguenza prestigio sociale e quindi il rispetto.
Prima di quelle degli altri vengono le mie esigenze.
Oltre la soglia intravedeva la possibilità di pensare solo a sé, e le sere libere, le infinite probabilità: di conoscere qualcuno e di potersi costruire una vita propria, indipendente, piena, felice.
Ecco, devo inseguire la mia felicità, i miei sogni.
Era questo il punto dirimente? L’esser sciolta da ogni incombenza se non quella di pensare a sé sola?
E tuttavia, come faccio con papà, coi piccoli?
Quale sorte toccherebbe loro? La mia felicità potrebbe causare la loro infelicità, accrescere le loro difficoltà. Sono già orfani e papà a casa non c’è mai.
Sarebbero rimasti a Torre Angela?
I fratellini di certo, ma senza più il mio conforto, il mio aiuto.
C’era la signora Carla, è vero.
E papà, papà chissà quali salti mortali sarà costretto a fare; ma lui è forte, una roccia.
E lui l’aveva rassicurata più volte, nei giorni precedenti, le aveva ripetuto, sino alla nausea, di non preoccuparsi dei fratelli.
Le aveva detto che non era la responsabilità di una figlia quella, ma di un padre, e aveva ragione.
È la sua croce, non la mia.
Quante volte pure lei se l’era ripetuto, per farsi forza.
Dopo cena aveva messo a letto i bambini, come ogni sera non ne volevano sapere di staccarsi dalle sue braccia, soprattutto dal giorno in cui la mamma era fuggita via. Suo padre, era crollato sul divano, davanti allo schermo acceso. Lo svegliò.
Le diede un bacio sulla fronte e l’abbracciò. Pareva preoccupato, ma contento.
Ogni mattina si alzava alle quattro per arrivare puntuale in fabbrica alle sette.
Sgombrato il tavolo Adele iniziava a studiare. A notte fonda, quando si sentì troppo stanca per continuare, si fermò ad ascoltare la casa avvolta dal silenzio.
E per un attimo a rammemorarsi di quel giorno, di sua madre ancora viva: tutti e cinque usciti per una gita al mare, al promontorio di Sant’Arcadio. Lei col cappello della mamma, per far ridere i bambini, suo padre a portarli in acqua, sul materassino gonfiabile.
Tutti i loro visi, sorridenti e perfetti, li avrebbe portati per sempre nel cuore.
Non saremo mai più tutti insieme felici, ma ognuno per conto proprio.
Era questo il dazio da pagare alla propria indipendenza.
Si appoggiò colla testa alla tenda di lino, e di nuovo la lavanda le ricondusse la mamma vicino.
Quante volte aveva cercato di dimenticare, per non soffrire. Quante volte aveva tentato di nascondere il ricordo di lei, di celarlo agli occhi e alle orecchie.
Ma estirpare il ricordo di qualcuno non equivale forse a farlo morire un’altra volta?
Nel silenzio della notte, perduto tra il sibilo del vento e il latrare dei cani, affiorava, lontanissimo, un motivo suonato da una chitarra. Lo riconobbe.
L’aveva sentito quando aveva fatta la promessa a sua madre: di occuparsi della famiglia, dei bambini, del papà, il più a lungo possibile.
Rivide la mamma sul letto di morte, e si sentì soffocare.
All’ombra della sua vita sono cresciute le mie insicurezze. La tua è stata una vita banale, fatta di sacrifici banali, spentasi dopo una banale malattia. Non voglio questo per me! E con quale diritto mi hai chiesto di rimanere il più a lungo possibile? Per continuare con la mia vita l’inutilità della tua?
Si allontanò dalla tenda, dal suo ricordo, livida di furore.
Devo andar via! E fuggire, fuggire da questa esistenza asfissiante. A Helsinki troverò la vita.
E lei voleva vivere, intensamente, e vuole amare, fino a rimaner senza respiro.
Io, a differenza di mia madre, mi salverò.

Alla fine il giorno della partenza giunse, e si trovò in mezzo alla folla ondeggiante del Terminal B, come un naufrago in mezzo ai flutti.
Il papà le stringeva la mano e ostentava un sorriso dietro cui celava la fierezza per quella figlia capace di farsi valere nel mondo. I piccoli li aveva affidati alla signora Carla, per evitare scene strazianti di addio in pubblico, consumate, invece, nel privato di quattro mura. Ma, a modo loro, avevano saputo incoraggiare la sorella maggiore, come fossero loro gli adulti, e non dei pulcini senza ali.
Quando il papà sciolse la mano di lei dal suo intreccio, Adele si avviò a larghi passi verso i controlli di sicurezza, sola.
Mostrata la carta di imbarco, posizionato sui rulli il bagaglio a mano, oltrepassò il metal detector.
È fatta, riuscì a pensare.
Quando si voltò, a salutare il papà per l’ultima volta, ne incrociò gli occhi: in lui non v’era odio, né risentimento, ma solo orgoglio e infinito amore.
E quest’amore fu lesto a riannodare i sensi di colpa.
Devo fuggire, devo fuggire, che ci sto a fare qui?
Il ritornello cominciò a martellarle la testa, per metter a tacere la colpa.
La mia vita è al di là di quel cancello d’imbarco. Devo solo oltrepassare la soglia. E poi, il biglietto già fatto, i bagagli imbarcati.
Quanti sacrifici, dietro quel biglietto, quanto studio la notte, quante corse.
Da un altoparlante correvano le note di Sergio Endrigo, cantate da una voce femminile.
Bastarono quelle vibrazioni per chiudere tutti i cieli, mentre, nella gigantesca sala, una marea di umanità indifferente iniziava a girarle intorno: si afferrò con tutte le sue forze alla maniglia del trolley, per non cadere.
Non lo sentiva più il desiderio di fuggire, di realizzarsi altrove: non vuole più tenere per sé la propria vita.
Si scoprì a rimontare la marea, per tornare indietro, a quegli occhi incapaci di abbandonarla e al mondo a cui appartengono.
E solo allora comprese di averla varcata da un pezzo quella soglia. Perché la prima ora della notte era quella già trascorsa.
Ultima modifica di Namio Intile il 05/12/2023, 16:51, modificato 2 volte in totale.
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Non ci sarebbe neanche bisogno di commentare, ormai, sei una garanzia! Ma ci tengo a precisare che l'ho letto 3 volte e ogni volta mi emoziona, mi scuote e non resisto, la lacrimuccia scende comunque.
La trama è intrisa di veridicità, storie che in piccola parte viviamo tutti noi (chi direttamente chi, per sentito dire), colmata poi dalla tua capacità di scrittura che è invidiabile. Ci hai regalato un piccolo gioiello da tenere nella memoria e rileggere "all'infinito".
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Maria Spanu ha scritto: 17/10/2023, 19:14 Non ci sarebbe neanche bisogno di commentare, ormai, sei una garanzia! Ma ci tengo a precisare che l'ho letto 3 volte e ogni volta mi emoziona, mi scuote e non resisto, la lacrimuccia scende comunque.
La trama è intrisa di veridicità, storie che in piccola parte viviamo tutti noi (chi direttamente chi, per sentito dire), colmata poi dalla tua capacità di scrittura che è invidiabile. Ci hai regalato un piccolo gioiello da tenere nella memoria e rileggere "all'infinito".
Voto 5
Ciao, Maria. Grazie per la recensione, quando sono spregiudicatamente positive mi imbarazzano. Speriamo di rinnovarla nel tempo questa garanzia.
Sono alla ricerca di volontari per l'Officina. Mesi fa ti eri avvicinata, se ritieni di avere tempo e voglia per entrare dentro i meccanismi della narrazione fammelo sapere.
A presto.
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Re: La prima ora della notte

Messaggio da leggere da Maria Spanu »

Non ti devi imbarazzare, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare.
Lo so Namio, avevo iniziato ma tra lavoro, casa e bimbo non ho neanche il tempo di respirare. Cercherò di rimettermi anche perché sono una che odia lasciare in sospeso le cose, per quello rimango male quando si cerca di fare una discussione serie che, invece, tra capricci e malafede poi, si chiude con nulla di fatto... Pazienza😌
Ci vediamo in officina!!
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La protagonista Adele è di fronte a una scelta di vita e a un dilemma etico: dare maggiore importanza alla proprie scelte, oppure non abbandonare la famiglia, che ha bisogno di lei? Le note di una canzone di Sergio Endrigo (anche se non la sua voce), presumo struggente come di solito, la aiutano nella decisione: non sarà un'esule, almeno per ora. Un racconto delicato, da molti punti di vista: il primo è più importante, poiché parla dei legami affettivi in un nucleo familiare (mentre i media fanno a gara a presentarli come una schiavitù dalla quale tenersi alla larga). Un altro aspetto è che qui la figura femminile si vuole realizzare come sostituta di quella materna, nei confronti dei fratellini, mentre trascura l'ambizione personale: un atto assolutamente folle, dal punto di vista del politicamente corretto :)
Avrei una curiosità: nella frase "Non lo sentiva più il desiderio di fuggire, di realizzarsi altrove: non vuole più tenere per sé la propria vita.", vuole è al presente e non al passato: è una svista, o è una scelta?
Saluti, e complimenti consueti
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Re: La prima ora della notte

Messaggio da leggere da Franco Giori »

Non ho parole, per cui ti dico solo: bravissimo.
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Namio, il mio voto non è valido senza un commento più lungo. Almeno credo. È solo per questo che metto in evidenza qualche particolare che forse va corretto, poi mi rimetto al giudizio tuo. Sul contenuto e sull'esposizione non ho che da imparare, come sto cercando di fare nelle visite all' Officina. Ci sono alcune "d" eufoniche di troppo, qua e là. "Ad essere", "Ad Helsinki". Sono sviste, ovviamente. La frase "prima la metro, poi col bus" secondo me si potrebbe riallineare: con la metro e col bus, oppure la metro e il bus. A un certo punto c'è la frase: Lo svegliò. Poi: Le diede un bacio sulla fronte. Secondo me andrebbe messo il soggetto, anche se è chiaro che è il papà a dare il bacio sulla fronte. Infine. L' aveva sentita quando fece la promessa... Forse: l' aveva sentita quando aveva fatto la promessa. Non sono sicuro. Il tutto (la rompicoglionatura grammaticale che ho fatto) per rendere valido il voto. Ciao. :)
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Andr60 ha scritto: 30/10/2023, 17:07 La protagonista Adele è di fronte a una scelta di vita e a un dilemma etico: dare maggiore importanza alla proprie scelte, oppure non abbandonare la famiglia, che ha bisogno di lei? Le note di una canzone di Sergio Endrigo (anche se non la sua voce), presumo struggente come di solito, la aiutano nella decisione: non sarà un'esule, almeno per ora. Un racconto delicato, da molti punti di vista: il primo è più importante, poiché parla dei legami affettivi in un nucleo familiare (mentre i media fanno a gara a presentarli come una schiavitù dalla quale tenersi alla larga). Un altro aspetto è che qui la figura femminile si vuole realizzare come sostituta di quella materna, nei confronti dei fratellini, mentre trascura l'ambizione personale: un atto assolutamente folle, dal punto di vista del politicamente corretto :)
Avrei una curiosità: nella frase "Non lo sentiva più il desiderio di fuggire, di realizzarsi altrove: non vuole più tenere per sé la propria vita.", vuole è al presente e non al passato: è una svista, o è una scelta?
Saluti, e complimenti consueti
Ciao, Andr. Sì, il racconto è centrato sul dilemma etico a cui accenni. Che ha anche dei risvolti sociali. Adele deve scegliere se dare la precedenza a se stessa o alla cura di chi le sta intorno e di quanti lei ha a cuore. Non ne faccio una questione di genere, maschile o femminile, non è quello il punto. In un paese normale la scelta sarebbe più facile, perché le famiglie sarebbero agevolate in tutti i modi. In Francia le famiglie con due figli non pagano IRPEF: si chiama quoziente familiare. Qui da anni (aveva cominciato Prodi nel '96, se non sbaglio) si parla di taglio del cuneo fiscale, per partorire un meno uno o due per cento per l'anno in corso. In questo nostro paese impoverito da una classe dirigente cieca ed egoista le scelte tendono a essere drammatiche ed estreme, come quelle di Adele. Si parla tanto di denatalità, ma non si aiuta in nessun modo chi si fa carico dell'onere di procreare. Le statistiche dell'ISTAT a proposito parlano chiaro. Tra poco non ci troveremo di fronte alla solita curva discendente, come i TG mainstream accennano, ma a un muro, a uno sprofondo, basta fare un salto nel sito ISTAT. Soprattutto al Sud. Palermo aveva, nel 1991, settecentomila abitanti. Oggi ne ha meno di seicento ventimila. Le proiezioni danno al 2040 poco più di cinquecentomila. La stessa popolazione di fine XIX secolo. In egual modo la Sicilia nel suo complesso. Trecentomila abitanti in meno negli ultimi venti anni. I giovani qui vanno tutti via, e procreano altrove. E temo pure che le proiezioni siano ottimistiche, perché a fare due conti alla femminina viene il sangue freddo. Se nascono trecentomila bambini ogni anno, quanti abitanti ci saranno tra cento anni? Erano oltre un milione nel 1961.
Altro punto, il lavoro. Da decenni le politiche neoliberiste messe in movimento da questo paese per seguire i diktat e gli ultimatum di Bruxelles hanno fatto piazza pulita. In primis di una pubblica amministrazione, non dico funzionante, ma esistente. In Sicilia gli Ispettori del Lavoro disponibili per le ispezioni esterne sono due, dicasi due, al giorno. La conseguenza è il dilagare del lavoro nero del tutto o di quello mascherato. La struttura produttiva di questo paese è basata al 95% da aziende con meno di dieci dipendenti. Le quali, per sopravvivere, fanno l'unica cosa che le è consentita: sfruttare i lavoratori. Non c'è neanche bisogno di CCNL stipulati con sigle sindacali fittizie o altro, quello lo fanno al Nord. Le buste paga al Sud sono tutte al netto. Significa che lavoratore e datore di lavoro concordano tra loro un netto in barba a qualsiasi contrattazione. E poi il consulente del lavoro, all'atto della redazione delle buste paga, inserirà assenze e permessi in modo da ridurre le ore lavorate al netto concordato. Lo fanno tutti qui, nel privato. Grandi e piccoli. In questo modo si aggira l'obbligo di bonifico della busta paga e la firma della stessa da parte del lavoratore. Perché busta paga e bonifico sono corretti e allineati alla busta paga. Quella che non è corretta è la quantità di lavoro prestata, e la qualità, nel senso di inquadramento, che è sempre al ribasso, il minimo disponibile per qualsiasi mansione. Tutto questo accade perché si è distrutto l'organo preposto al controllo, e lo si è fatto scientemente. Perché non si vuole alcun controllo. L'importante è onorare gli impegni e pagare quei cento miliardi di euro di interessi l'anno ai proprietari del debito, ossia i veri padroni del paese. Quando arrivò Monti, salvatore della patria, sul finire del 2011, il debito ammontava a 1831 miliardi di euro. Adesso sfiora i tremila. Va beh, scusa lo sfogo, lasciamo perdere.
Quanto al racconto, spero che la contrapposizione abbia centrato l'obiettivo.
Per quel cambio di tempo: è voluto. Ho visto questa tecnica negli ultimi romanzi di Kundera: quelli scritti in francese. La voce narrante passa dal passato al presente. Il senso è, secondo me, quello di sottolineare alcuni concetti, e quasi come se fosse l'autore stesso a ribadirlo. O, a volte, come se intervenisse direttamente il protagonista con un suo pensiero, a eclissare il narratore. È per me quindi una cosa nuova, una sorta di esperimento, e sono contento che tu l'abbia notato. A te che effetto ha fatto?
Un caro saluto.
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Re: La prima ora della notte

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Franco Giori ha scritto: 31/10/2023, 8:40 Namio, il mio voto non è valido senza un commento più lungo. Almeno credo. È solo per questo che metto in evidenza qualche particolare che forse va corretto, poi mi rimetto al giudizio tuo. Sul contenuto e sull'esposizione non ho che da imparare, come sto cercando di fare nelle visite all' Officina. Ci sono alcune "d" eufoniche di troppo, qua e là. "Ad essere", "Ad Helsinki". Sono sviste, ovviamente. La frase "prima la metro, poi col bus" secondo me si potrebbe riallineare: con la metro e col bus, oppure la metro e il bus. A un certo punto c'è la frase: Lo svegliò. Poi: Le diede un bacio sulla fronte. Secondo me andrebbe messo il soggetto, anche se è chiaro che è il papà a dare il bacio sulla fronte. Infine. L' aveva sentita quando fece la promessa... Forse: l' aveva sentita quando aveva fatto la promessa. Non sono sicuro. Il tutto (la rompicoglionatura grammaticale che ho fatto) per rendere valido il voto. Ciao. :)
Ciao, Franco. Sì, sulle esigenze eufoniche io non metto mai becco in sede di commento. E infatti, in Officina, mi pare che non ne parlo o comunque ne parlo in breve. Nel senso che non è un errore lasciare la consonante. Eufonia significa cercare ciò che suona bene, e non male. E si parla di esigenze, non di regole. Di solito tendo ad evitare l'incontro consonante vocale, ma a volte mi piace proprio l'effetto sonoro che produce il loro incontro. Ma è soggettivo, capisco se a te, invece, dia fastidio. Su quel soggetto forse hai ragione: avrei potuto esplicitarlo.
E invece sul verbo hai pienamente ragione: è un errore. Vado a metterci una pezza. Grazie per la segnalazione.
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Re: La prima ora della notte

Messaggio da leggere da Andr60 »

Caro Namio, conoscendo la tua attenzione ai tempi verbali, lì per lì sono rimasto perplesso, poi mi sono chiesto se fosse davvero una svista o no, e tu mi hai dato la risposta. Sì, effettivamente il verbo al presente è un rafforzativo anche se, secondo me, si dovrebbe usare con parsimonia (come in questo racconto :) ).
Il crollo delle nascite in Italia è causato da tutti i fattori che hai menzionato, concordo in pieno; probabilmente ci sarà anche in Francia, prossimamente, se il loro welfare subirà gli stessi tagli, anche a causa della fine della mungitura delle loro ex colonie in Africa.
La verità è che la UE è una debitocrazia, e i suoi cittadini sono tutti schiavi di un debito che, per definizione, non potrà mai essere ripagato, per la felicità dei nostri cravattari. Per quanto riguarda l'Officina di scrittura, sarebbe un'esperienza davvero interessante e stimolante per me. Ho rinunciato in partenza poiché quando rientro dal lavoro sono esausto e totalmente incapace di concentrarmi: cena veloce e un'ora di ipnosi davanti alla tv, poi a nanna.
Cari saluti
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bla bla

Messaggio da leggere da Franco Giori »

No, no, le d eufoniche non mi fanno fastidio. :) :).
Ultima modifica di Franco Giori il 06/11/2023, 11:33, modificato 1 volta in totale.
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Re: La prima ora della notte

Messaggio da leggere da Namio Intile »

Andr60 ha scritto: 31/10/2023, 11:30 Sì, effettivamente il verbo al presente è un rafforzativo anche se, secondo me, si dovrebbe usare con parsimonia (come in questo racconto :) ).
I
La stessa cosa ho pensato io. Ma, ne l'Identità, ad esempio, Kundera adopera questo espediente ampiamente. Ho cercato qualche saggio o articolo sull'argomento, ma invano. Eppure, come giustamente sostieni, andrebbe adoperato con parsimonia. Perché ne l'Identità alle volte è ridondante e disorientante, perché fa sorgere il dubbio che sia proprio la voce narrante a parlare. Di sicuro ha creato l'espediente per una ragione: rafforzare alcuni argomenti, è probabile, e disorientare il lettore, forse. E forse in francese l'effetto è diverso, il suono, la musicalità. O forse la traduzione non è stata all'altezza. Anche se lui le traduzioni in italiano le controllava personalmente e ci lavorava insieme al traduttore.
I suoi romanzi sono comunque quanto di più perfetto si possa trovare nel panorama letterario di questi ultimi decenni. Trovare autori decenti oggi è un'impresa.
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Messaggio da leggere da Marirosa »

Ho letto, con tutta l'attenzione che merita, il racconto. Lo stile è molto accattivante, mi piace, a mio avviso avrei spezzato, o alleggerito alcune frasi, ma non è certo una critica, solo un gusto mio personale, come per esempio anche mettere il verbo al presente in una fase, cosa che ho trovato azzeccatissima in questo racconto, non è una cosa che mi piace o entusiasma molto. Nel complesso direi che è proprio il tipo di scritto che invoglia ad una seconda o addirittura terza lettura. È anche molto attuale, sebbene controcorrente, per la scelta finale della protagonista. Adele è un personaggio molto ben caratterizzato, che mi piace molto, e in cui molte persone potrebbero riconoscersi. Attraverso il racconto emerge bene il conflitto interno della ragazza, mentre cerca di fare la scelta "giusta". Mi ripeto, ma questo racconto è scritto davvero molto bene, è molto bello, si lascia leggere perché è scorrevole e mi è davvero piaciuto.
Jacopo Serafinelli
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Messaggio da leggere da Jacopo Serafinelli »

Difficile scelta… certo… e Adele, alla fine, ha fatto quella sbagliata perché è veramente difficile liberarsi di certe catene e liberare invece un sano egoismo che salverebbe la propria esistenza.
Tutto ben scritto, veramente, c'è fluenza prosastica.
Jacopo
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Laura Traverso
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Ciao Namio, la tua storia è emotivamente assai avvincente e triste. La scrittura è come sempre benissimo esposta. Devo dirti che il finale non mi è piaciuto perché mi ha addolorata. Speravo che Adele, che già aveva dato tanto, tantissimo, alla famiglia sacrificando se stessa oltre ogni dire, avesse finalmente la forza di riscattarsi da quella vita, anche se ammirevole, troppo ingiusta nei suoi confronti. Purtroppo casi del genere ce ne sono veramente. Io provo infinita tristezza per le tante Adele che hanno dovuto rinunciare al loro progetto di vita, trattenute dal rimorso verso chi avrebbero dovuto abbandonare. Certo, la decisione opposta, di andare via, sarebbe stata certamente dolorosa e difficile, ma secondo me andava fatta... Voto 5
Cristina Flati
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È stato se fossi stata nascosa nell'angolino della stanza che hai descritto e sentire il quadro familiare parlare dal vivo.
Mi sono ricordata del momento che amo di più quando torno a casa: cenare tutti insieme e parlare.
La storia è toccante e dal punto di vista tecnico, il rapporto narrazione-dialogo è geniale. Complimenti!
Namio Intile
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Marirosa ha scritto: 01/11/2023, 15:07 Ho letto, con tutta l'attenzione che merita, il racconto. Lo stile è molto accattivante, mi piace, a mio avviso avrei spezzato, o alleggerito alcune frasi, ma non è certo una critica, solo un gusto mio personale, come per esempio anche mettere il verbo al presente in una fase, cosa che ho trovato azzeccatissima in questo racconto, non è una cosa che mi piace o entusiasma molto. Nel complesso direi che è proprio il tipo di scritto che invoglia ad una seconda o addirittura terza lettura. È anche molto attuale, sebbene controcorrente, per la scelta finale della protagonista. Adele è un personaggio molto ben caratterizzato, che mi piace molto, e in cui molte persone potrebbero riconoscersi. Attraverso il racconto emerge bene il conflitto interno della ragazza, mentre cerca di fare la scelta "giusta". Mi ripeto, ma questo racconto è scritto davvero molto bene, è molto bello, si lascia leggere perché è scorrevole e mi è davvero piaciuto.
Ciao, Marirosa
Grazie per le letture.
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Jacopo Serafinelli ha scritto: 01/11/2023, 15:49 Difficile scelta… certo… e Adele, alla fine, ha fatto quella sbagliata perché è veramente difficile liberarsi di certe catene e liberare invece un sano egoismo che salverebbe la propria esistenza.
Tutto ben scritto, veramente, c'è fluenza prosastica.
Jacopo
Ciao, Jacopo
Credo che sia la prima volta che ci incrociamo. Fluenza prosastica non l'avevo mai sentito, ma va bene così.
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Laura Traverso ha scritto: 03/11/2023, 22:57 Ciao Namio, la tua storia è emotivamente assai avvincente e triste. La scrittura è come sempre benissimo esposta. Devo dirti che il finale non mi è piaciuto perché mi ha addolorata. Speravo che Adele, che già aveva dato tanto, tantissimo, alla famiglia sacrificando se stessa oltre ogni dire, avesse finalmente la forza di riscattarsi da quella vita, anche se ammirevole, troppo ingiusta nei suoi confronti. Purtroppo casi del genere ce ne sono veramente. Io provo infinita tristezza per le tante Adele che hanno dovuto rinunciare al loro progetto di vita, trattenute dal rimorso verso chi avrebbero dovuto abbandonare. Certo, la decisione opposta, di andare via, sarebbe stata certamente dolorosa e difficile, ma secondo me andava fatta... Voto 5
Ciao, Laura.
Sì, Adele ha già dato tanto. Ma un sano egoismo, come scrive Jacopo nel post precedente, può non essere l'unica scelta di una persona. I dubbi di Adele sono i nostri, ma non sempre possono essere risolti pensando a se stessi. Se i due bambini, anziché essere i fratelli fossero stati i figli, saresti stata del medesimo avviso?
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Cristina Flati ha scritto: 07/11/2023, 19:16 È stato se fossi stata nascosa nell'angolino della stanza che hai descritto e sentire il quadro familiare parlare dal vivo.
Mi sono ricordata del momento che amo di più quando torno a casa: cenare tutti insieme e parlare.
La storia è toccante e dal punto di vista tecnico, il rapporto narrazione-dialogo è geniale. Complimenti!
Ciao, Cristina.
Anche con te è la prima volta che ci incrociamo.
Grazie per il geniale. Ma sono tutt'altro che un genio, e non ho neanche la lampada.
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Un racconto molto bello e delicato che mi da l'impressione di un periodo passato, forse sono condizionato dal film C'è ancora domani, dove i tre figli erano una ragazza grande e due piccoli (anche se quella era un'altro tipo di storia). Penso che la scelta di Adele sia stata giusta perchè quel genere di distacco nel tempo si sarebbe rivelato difficile da sopportare. L'unico dubbio è il ruolo della Signora Carla, che è molto presente e non so se è anziana o se, magari, potrebbe diventare una di famiglia.
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Buongiorno, Gaetano

il tuo racconto parte con un incipit chiaro fin da subito, lasciare andare qualcuno a cui si tiene perchè questo possa vivere meglio o realizzarsi. Nel tuo racconto ho trovato delle analogie con "La linea d'ombra" di Conrad, la protagonista alla fine ha varcato questa linea con il solito umore pesante del neo capitano di Conrad, se la storia dovesse continuare le auguro soltanto di trovare meno difficoltà. Ma una linea d'ombra la passa anche suo padre rimanendo fermo, facendo lo sforzo di lasciare andare sua figlia in un posto lontano sapendola sola.
Che dire, complimenti, nient'altro da aggiungere
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Ciao Namio, spero di non diventare scontata o ripetitiva nei miei commenti, ma quando leggo i tuoi racconti ci vedo sempre quella marcia in più che non mi permette di dare un voto inferiore al 5. Mi è piaciuta molto la descrizione dei luoghi, non come “posti” inanimati, ma legati alla gente che ci vive. E trovo molto approfondita e realistica la descrizione della lotta interiore della protagonista. Se confronto questo agli altri tuoi racconti devo dire che quelli che hanno più sapore di mare mi coinvolgono di più. Forse questo, essendo molto “carico”, mi ha entusiasmato meno, ma rimane come dicevo un’opera molto bella. Anche io ho notato la particolarità dei tempi verbali, e forse permettono un’immersione maggiore. Anche alcune espressioni che sono vicine alla cultura dei luoghi descritti, della gente.
Voto 5.
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Athosg ha scritto: 10/11/2023, 23:55 Un racconto molto bello e delicato che mi da l'impressione di un periodo passato, forse sono condizionato dal film C'è ancora domani, dove i tre figli erano una ragazza grande e due piccoli (anche se quella era un'altro tipo di storia). Penso che la scelta di Adele sia stata giusta perchè quel genere di distacco nel tempo si sarebbe rivelato difficile da sopportare. L'unico dubbio è il ruolo della Signora Carla, che è molto presente e non so se è anziana o se, magari, potrebbe diventare una di famiglia.
Ciao, Athos.
Sì, l'ho visto il film della Cortellesi, un paio di sabati fa. Mia moglie era entusiasta, a me, confesso, non è piaciuto granché. Forse perché era tutto al femminile, e faccio ammenda per questo. Soprattutto, mi è parso troppo didascalico, la regia troppo indaffarata a trasmettere messaggi: contro la violenza alle donne, sulla necessità di una parità (sacrosanta) sul lavoro e a casa (altrettanto sacrosanta), sulla valenza del voto a prescindere. Ma sul voto, ad esempio, io da anni non voto. Perché ritengo la scelta finta. Certo finta non era nel 1946 e si capisce perché tutti si precipitavano alle urne. Ma oggi? Tra la Meloni e la Schlein (due donne) c'è davvero differenza? Il mio voto vale qualcosa come per decidere tra Repubblica e Monarchia) Ciò su cui nessuno si è soffermato, mi pare, è un altro messaggio che traspare, questa volta in modo non didascalico (e perciò, ritengo, non volontario) dalla pellicola. Come nel caso di Adele, la Cortellesi è una di quelle persone che passa la propria vita a prendersi cura del prossimo, e dà se stessa per gli altri. Per il marito violento a matola, per i figli zucconi ed egoisti, per i vari datori di lavoro buoni solo a sfruttarla perché tanto è donna, anche per il suocero disgraziato e fradicio. Ma anche per la figlia, che è un'egoista tale e quale agli altri. Pronta a sposarsi il buon partito per scappare via e tentare la sorte.
No, lei rimane. Non ci pensa neanche a fuggire colla fiamma di un tempo. Non vuole cambiare le cose andandosene, ma rimanendo. Ferma e salda come una roccia. Alla fine è questo il punto che fa riflettere, almeno me. In Sicilia si dice: cu nesci arrinesci. Chi va via riesce. Perché qui non c'è speranza, è la percezione generale, da sempre. Ma se chi vuole cambiare, e ha la forza per combattere, va via le cose non cambieranno mai sul serio. Eh, ma qui il discorso sarebbe davvero complicato.
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Giovanni p ha scritto: 14/11/2023, 8:53 Buongiorno, Gaetano

il tuo racconto parte con un incipit chiaro fin da subito, lasciare andare qualcuno a cui si tiene perchè questo possa vivere meglio o realizzarsi. Nel tuo racconto ho trovato delle analogie con "La linea d'ombra" di Conrad, la protagonista alla fine ha varcato questa linea con il solito umore pesante del neo capitano di Conrad, se la storia dovesse continuare le auguro soltanto di trovare meno difficoltà. Ma una linea d'ombra la passa anche suo padre rimanendo fermo, facendo lo sforzo di lasciare andare sua figlia in un posto lontano sapendola sola.
Che dire, complimenti, nient'altro da aggiungere
Ciao, Giovanni
Grazie per la visita. E per avermi riportato alla mente La linea d'ombra. L'ho letto molto tempo fa, e ci sono delle analogie, hai ragione. Amo molto Conrad, Lord Jim è uno dei romanzi che ogni tanto riprendo in mano. La linea d'ombra è quella zona di confine tra l'età adulta e la giovinezza che il protagonista supera, con una incerta consapevolezza, in un certo momento della sua vita. Forse qualcosa alla fine rimane dentro delle letture fatte e riaffiora. Spetta anche al lettore l'onere di metterlo in luce. Bravo.
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Selene Barblan ha scritto: 21/11/2023, 12:53 Ciao Namio, spero di non diventare scontata o ripetitiva nei miei commenti, ma quando leggo i tuoi racconti ci vedo sempre quella marcia in più che non mi permette di dare un voto inferiore al 5. Mi è piaciuta molto la descrizione dei luoghi, non come “posti” inanimati, ma legati alla gente che ci vive. E trovo molto approfondita e realistica la descrizione della lotta interiore della protagonista. Se confronto questo agli altri tuoi racconti devo dire che quelli che hanno più sapore di mare mi coinvolgono di più. Forse questo, essendo molto “carico”, mi ha entusiasmato meno, ma rimane come dicevo un’opera molto bella. Anche io ho notato la particolarità dei tempi verbali, e forse permettono un’immersione maggiore. Anche alcune espressioni che sono vicine alla cultura dei luoghi descritti, della gente.
Voto 5.
Ciao, Selene.
Hai colto uno dei miei tentativi: la descrizione dei luoghi. Le sequenze descrittive sono sempre lente, e rallentano il ritmo della narrazione. Spesso sono adoperate per questo motivo e alternate alle narrazioni o ai dialoghi. Spesso, però, annoiano il lettore. Ma se le descrizioni delle cose sono legate alle persone, come hai notato, e ho provato a fare, o alle azioni che queste compiono, le cose cambiano.
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Questo racconto mi ha trascinato nei ricordi di un'infanzia lontana, facendomi rivivere intense emozioni. La bravura di un autore, al di là della trama è proprio quella di far vivere emozioni. Credo che tu ci sia riuscito alla grande, complimenti!
Ultima modifica di Pietro Castellazzi il 02/12/2023, 20:02, modificato 1 volta in totale.
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Re: La prima ora della notte

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Ciao, grazie per la bella recensione. Sei riuscito a squarciare il velo della trama. Per Adele non si tratta di scegliere tra le proprie ambizioni e le costrizioni familiari o sociali. Esiste una lettura più profonda, hai rivelato correttamente, ed è quella dell'identità (da Joyce a Kundera) associata a un luogo, a delle persone, a un contesto familiare. Oggi le persone vanno via dal luogo natale e si trasferiscono con molta facilità, segno che l'identità non è più dettata da quei parametri indicati nel racconto: la famiglia, il luogo di nascita, le persone che hai sempre frequentato. Siamo delle monadi nomadi direbbe un filosofo, ovvero la società pretende oggi questo da noi. L'americano che si trasferisce da uno stato all'altro, con l'appendice legata all'auto in cui è contentuta tutta la sua vita, è diventato un topos letterario prima che cinematografico (vedi Steinbeck). È il motivo per cui la scelta di Adele ai più appare anacronistica e inaccettabile. Ma Adele questa scelta già l'ha fatta prima ancora di pensare di farla. In lei agiscono delle forze potenti, ancestrali, di cui non è minimamente consapevole. Né lo è la maggior parte delle persone. Lei deve rimanere per la medesima ragione per cui gli altri facilmente vanno via.
Grazie per la lettura, un caro saluto.
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Messaggio da leggere da Maya Mazzaggio »

Partirei col farti i miei più sinceri complimenti! Premetto che questo genere di racconti non sia tra i miei preferiti, ma devo ammettere che il racconto, una volta iniziato, coinvolge e tiene incollato il lettore fino all'epilogo. E' impossibile non immedesimarsi nella protagonista, fare un tuffo nel passato tra le occasioni sfumate, quelle lasciate e perse, per dare spazio a qualcosa di più importante. Spesso l'altruismo ci distrae dai nostri obiettivi.
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Data la fama dell'autore e la mia inesperienza, ho aspettato un po' prima di leggere questo racconto, mentre le aspettative salivano. Che bello anche un po' di emozione del "prima di leggere".

Bello l'effetto di nominare Elena, la mamma che ormai non c'è più.
Tutti i personaggi di fatto hanno un nome, non solo i fratellini che non fanno nulla, anche i ragazzini che giocano in strada, ma il papà no. Perché il papà no? E' voluto? Indipendentemente da ciò, l'elenco di nomi propri all'inzio può sembrare un po' fuorviante.

Il padre è la figura che più mi ha affascinata: sa che senza l'aiuto della figlia tutto sarebbe ancora più difficile, ma sa anche che ce la farebbe lo stesso. Faticherebbe di più, ma ce la farebbe. Una figura paterna invidiabile, ancora di più se in tempi da tende di lino. Un padre che lascia partire una figlia da sola, per andare a vivere lontano. Un padre che quando l'accompagna alla partenza, ha in viso solo amore e orgoglio. Una figura ben delineata e piacevole.

Ma il fatto Adele che sul momento di partire capisce che il suo ruolo (a più di 22 anni?????) è quello di tornare indietro ad accudire la famiglia, proprio non m'è andata giù. La ragazza sembra voler tornare indietro per un senso di colpa che lei stessa si convince sia un desiderio: o almeno, questo è il messaggio che ne ho colto e mi è parso anacronistico. Forse cedere la posizione di aiuto-padre al secondo figlio/a non sarebbe stato altrettanto poetico, ma...

Comunque è piacevolissimo da leggere.

Credo ci sia una svista qui: "E poi c’è la signora Carla, la sai" => credo volessi dire "lo sai".

Randagia, che è figlia unica e si vede
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