Cinquanta sfumature di Rosa
Cinquanta sfumature di Rosa
“Piacere, Andrea.”
Andrea strinse la mano alla donna e subito un flusso di pensieri lo investì, come tanti piccoli flash a rischiarare la sua vita.
A quattordici anni era entrato in seminario spinto da sua madre, a sua volta condizionata dalle parole di Suor Anna, una cugina di terzo grado che viveva nel monastero di L. situato nel sud della Francia.
Andrea a quei tempi era solo un timido chierichetto serio e puntiglioso durante la celebrazione delle messe. Sua madre cominciò a parlarne con lui, introducendo l’argomento poco alla volta, per consigliargli di iscriversi al seminario dove avrebbe potuto studiare teologia e iniziare una nuova vita. Lui, così piccolo e ingenuo, aveva ascoltato alcuni racconti della cugina durante una sua visita.
Erano anche stati in Francia, tra le mura di quel monastero perso tra gli ulivi, dove il sole scendeva lento la sera, nascondendosi dietro la foresta in un silenzio irreale. Finì per seguire il consiglio materno e dopo un’estate passata tra i boy scout, a settembre entrò in seminario.
Non gli ci volle molto per capire che quello non era il suo posto. Non tanto per le rigide regole di convivenza che ivi regnavano ma per quella terribile uguaglianza che sentiva sin dentro le ossa, per quegli sguardi che pesavano molto più delle parole, per le occhiate striscianti e indagatrici che lo ossessionavano a tal punto da non riuscire più a mangiare e dormire.
Un mondo chiuso tra quattro mura, dove la legge del Divino era gestita da uomini essi stessi prigionieri della loro volontà.
In quel posto senza aria era dimagrito di quattro chili, che nell'età dello sviluppo erano veramente tanti. Sua madre, rimasta vedova tre anni prima, ammise l’errore e lo fece rientrare a casa. Non sentì più la cugina suora e decise di iscrivere il figlio alla vicina scuola per geometri.
Andrea si diplomò a ventuno anni, e subito dopo cominciò a cercare lavoro. Il periodo della grande crisi non era passato, e il ragazzo s’industriò come rider a consegnare centinaia di pizze ogni giorno. Poi fu la volta dei call center, dove ripeteva le identiche frasi a migliaia di utenti annoiati. Si sentiva un automa, rigido come un pezzo di legno dei tanti ulivi visti in seminario. Nel frattempo continuava a inviare curriculum.
Qui finivano le fotografie della sua vita e iniziava la presa diretta.
Quel giorno, all'alba dei suoi trent'anni, per presentarsi alla sua nuova direttrice si era vestito in giacca e cravatta, sbarbato e pettinato il giusto.
Rosa Acunzi, un’elegante signora sulla cinquantina alta e magra, lo accolse con un bel sorriso.
“Andrea, da oggi comincerai a lavorare con noi per sei mesi. Il contratto è a tempo determinato e ti permetterà di fare esperienza. Poi, al termine, se ti sarai ben inserito e se noi avremo ancora bisogno del tuo contributo, sarai assunto a tempo indeterminato.”
“Grazie” le rispose Andrea.
“Ti presento il tuo nuovo collega. Conosce tutte le procedure e quando avrai bisogno, chiedi pure a lui, è la nostra memoria storica. Non è vero Ernesto?”
L’uomo era sopraggiunto improvviso alle spalle e assentì. Aveva circa cinquantacinque anni e sembrava il classico impiegato indispensabile nelle procedure aziendali.
“Forza Andrea, vedrai che ti troverai bene.”
“Grazie” rispose nuovamente il ragazzo, intimorito e stimolato da quel nuovo posto di lavoro.
Durante i primi giorni Ernesto lo istruì sui programmi che avrebbe utilizzato, mostrandogli i codici dei prodotti e le operazioni di registrazione a magazzino.
Andrea cominciò a inserirsi nel sistema. La sua scrivania era posta in un grande salone, dove lavoravano dieci donne e due uomini, lui ed Ernesto. Le colleghe avevano un’età compresa tra i trenta e i cinquant'anni. Erano gentili, perlopiù tutte madri di famiglia che abitavano nella zona. Ernesto era il miglior collega che avrebbe potuto sperare di trovare. Sempre disponibile e attento nei consigli. Dopo qualche giorno erano già colleghi affiatati.
“Vedo che guardi le gambe di Rosa!” Gli disse un giorno Ernesto.
“In che senso? Lavoro come un matto che non ho neanche il tempo di andare in bagno” rispose Andrea.
“Eh, sei un bel furbetto” gli rispose il maturo collega, battendogli un pugno leggero sulla testa; Andrea fece finta di nulla.
La sua scrivania era parallela a quella della direttrice. Un divisorio in vetro li separava, e lui osservava spesso Rosa quando nei giorni che portava la gonna, accavallava le gambe o si girava per recuperare una cartella dal cassetto.
Rosa Acunzi era magra come un chiodo, sempre vestita attillata e con i capelli cortissimi. In azienda gli uomini la chiamavano la flaca, dalla celebre canzone di Jarabe de Palo, mentre le donne, più perfidamente, la smilza. Era comunque, agli occhi di Andrea, una donna abbastanza carina, curatissima e con un certo appeal felino e androgino.
“Dove abita?” Chiese a Ernesto.
“Fuori Milano, vicino a Lodi. Prende il treno tutti i giorni per venire a lavoro.”
“È tanto che lavora qui?”
“Una decina d’anni. Arriva da Roma. Ora mi chiederai se è sposata. Te lo dico subito: sì. Ha anche un figlio di quattordici anni. Per il resto non si sa molto altro perché è molto riservata. Come vedi è gentile ma di sé non racconta mai nulla.”
Istintivamente guardò verso di lei mentre era al telefono che si passava una mano sulla coscia.
Andrea giorno dopo giorno diventava sempre più veloce nelle registrazioni. Erano migliaia i prodotti trattati, ma con l’aiuto di Ernesto aveva trovato il sistema di ordinare i documenti, in modo tale da facilitarne l’inserimento nel sistema. Di solito registrava dal lunedì al giovedì pomeriggio. Poi stampava il tabulato del magazzino, lo controllava e il venerdì a mezzogiorno come uno scolaro preparato lo consegnava a Rosa.
Era passato solo un mese e aveva già preso pieno possesso delle sue mansioni.
Un venerdì entrò nell'ufficio di Rosa alle tre del pomeriggio.
“Va bene il tabulato?” Le chiese.
“Lo sto leggendo. Mi sembra che sia a posto. Bravo.”
Lo guardò seria.
“Andrea ti piace lavorare qui?” Gli chiese mentre il telefono cominciò a squillare.
Lei prese il ricevitore e rispose. Andrea attese che finisse la conversazione, non smettendo mai di osservarle le labbra.
Erano rosa, come il suo nome. Il colpo di rossetto disegnava perfettamente il profilo sottile. Continuò a guardarle sempre più assorto nei suoi pensieri. Rosa parlava, mentre lo sguardo scorreva tutte le linee piene di numeri del tabulato. Ogni tanto si fermava, alzava gli occhi e trovava quelli di Andrea fissi sulle sue labbra. Riabbassava lo sguardo, per poi rialzarlo. Andrea era sempre lì, incollato ai movimenti della bocca fino a quando terminò la telefonata.
“Ti stavo chiedendo se ti piace il lavoro? Ti trovi bene qui?”
“Sì, mi trovo bene con tutti e con le registrazioni mi sembra di andare spedito” le rispose.
“Bene, tra qualche tempo prevediamo un picco di ordini in entrata. È una fortuna per te, perché avrai la possibilità di metterti in mostra. Se tutto va bene, alla scadenza dei sei mesi proporrò il rinnovo a Guglielmi.”
“Scusi, chi è il signor Guglielmi?” Chiese Andrea.
“Il direttore generale. Lavora nella sede di Torino e ti capiterà di vederlo ogni tanto. Non viene spesso qui. Comunque sono contenta che ti trovi bene. Se hai qualche problema non esitare a confidarmelo, mi raccomando.”
Andrea le sorrise, e fissandole le labbra si congedò.
Un giorno andò a pranzare con i colleghi in un ristorante vicino all'ufficio. C’erano Rosa Acunzi, Ernesto, Franca e Claudia.
“Sei sposato?” Gli chiese Rosa.
“No, neanche fidanzato.”
“È libero lui, un ragazzo veramente libero” ironizzò subito Claudia, accarezzandogli un braccio. Andrea arrossì un poco, non sapendo cosa rispondere e Rosa corse subito in suo aiuto.
“Fa bene, è ancora giovane. Senti, ti pongo una domanda: ti piace fare sport?”
“Mi piace andare in piscina e camminare nei parchi. E a lei?”
“A me piace cavalcare, vorrei avere un cavallo ma costa troppo mantenerlo. Allora mi sono iscritta a un circolo di equitazione.”
Prima di rientrare al lavoro, brindarono alla futura fidanzata di Andrea. L’atmosfera era buona e lui si sentiva completamente a suo agio.
La sera si ritrovò in birreria con Marco, uno dei suoi migliori amici.
“Ciao frate, come va il lavoro?” Gli chiese.
“Bene, sono contento. Ho una direttrice che mi controlla!” Gli rispose Andrea.
“Com'è?”
“Devi vederla Marco. È alta, magra e sinuosa. Mi guarda in una maniera particolare, non saprei spiegarti. L’altra sera mi ha detto che lavoro bene, che sto ingranando. Mi ha dato un secondo magazzino da gestire. Ora aumenteranno le registrazioni, dovrò fare degli straordinari. Comunque me li pagheranno, e non è male, non credi?”
“Dai, va bene, un po’ di soldi in più fanno comodo” gli disse scherzando Marco.
“Sì, e poi più ho le redini in mano e maggiori sono le speranze che mi confermino il contratto. In settimana devo correre” continuò “poi il venerdì dalle sei alle sette devo vedere con lei tutti i tabulati. Quasi non mi dispiace, mi è simpatica questa donna.”
“Fai il bravo frate!” Gli rispose Marco alzando il boccale pieno di birra.
La settimana successiva fu molto intensa. Era l’inizio del mese e l’azienda aveva acquistato grosse quantità di merce, in modo tale che avrebbe potuto dilazionare i pagamenti. Andrea aveva registrato a tutta velocità il primo magazzino e poi aveva cominciato a lavorare per il secondo. Finì tutti i giorni alle sette e mezzo. Rosa alle sette e cinque minuti spaccate tutte le sere usciva dall'ufficio per tornare a casa. Passava davanti alla sua scrivania, poi scivolava alle sue spalle e gli accarezzava il collo amichevolmente.
“Bravo ragazzo, io vado perché altrimenti perdo il treno. Buona serata.”
Andrea arrossiva al contatto e inconsciamente spingeva il corpo all'indietro per sentire meglio la pressione delle sue dita fresche e delicate.
Aveva lavorato duro quei giorni e il venerdì sera entrò trafelato nell'ufficio di Rosa. Lei indossava un tailleur nero con un foulard rosa intorno al collo. Le mise sulla scrivania il tabulato. Era molto più corposo del solito.
“Accidenti, ho capito perché questa settimana hai fatto tanti straordinari!” Gli disse sorridendo.
Lui continuava a guardare fisso le sue labbra. Non vedeva l’ora di poterle osservare da vicino.
Lei cominciò a scorrere le pagine del tabulato.
”Mmhh, qui forse c’è un errore. Il codice HGVC2 ha quantità zero.”
“Vediamo, può essere che abbia sbagliato l’inserimento. Il sistema però non avrebbe dovuto accettare una quantità nulla.”
“È vero” gli disse Rosa “potrebbe essere un errore del programma. Se non ricordo male, ci sono alcuni codici che sfuggono alla regola.”
“Aspetti, vado a prendere il documento."
Si mosse agile e troppo veloce. Urtò una penna che cadde per terra. Si piegò, la raccolse e vide con sorpresa che Rosa si era messa a piedi nudi, con le scarpe rovesciate poco vicino.
Andrea ritornò nel salone a recuperare la bolla di consegna.
“Quantità due, signora” le disse.
“Perché non mi dai del tu come fanno tutti?”
“Con lei sono abituato così, mi viene spontaneo. Poi penso che sia più facile nei dialoghi.”
“Come vuoi Andrea.”
Rosa si tolse gli occhiali e passò le mani sul viso, coprendosi gli occhi.
“Oggi sono proprio stanca. Dovevo uscire con delle amiche ma credo che mi riposerò guardando un po’ di tv.”
“Ma sì, signora. Ci sono sabato e domenica da organizzare.”
“Hai ragione. Qualcosa troverò da fare. Mah. Vediamo intanto il documento.”
Andrea si mise di fianco. Rosa s’inserì nella procedura e gli fece vedere l’errore del programma. Sentiva il suo profumo arrivargli alla testa. Si sporse in avanti per vedere meglio lo schermo e sentì il suo gomito urtargli la gamba, una leggera pressione che non diminuiva e non si staccava. Lui rimase fermo. Il gomito si mosse piano e delicato.
Era sceso il silenzio nell'ufficio, il video lampeggiava e Andrea era sempre fermo a fianco della poltrona, dove era seduta Rosa. Il gomito continuava a strusciare sui pantaloni. Sapeva dove voleva arrivare, e come un ragno che tesse la ragnatela, raggiunse il suo scopo. Lo toccò lì, e lui subito alzò gli occhi al cielo. Sentiva il calore arrivargli sino alle tempie e una forza improvvisa scuotergli tutto il corpo. Le guardò la testa, ferma e rivolta in modo indifferente verso il video. Si spostò leggermente, ma la pressione non accennava a diminuire. Fece un passo indietro e ritornò a sedersi nella poltroncina davanti alla scrivania.
Rosa lo guardò. Negli occhi aveva una luce strana, un bagliore che non aveva mai colto prima.
“Possiamo smettere qui Andrea. Hai fatto un buon lavoro. Buona domenica. Prepariamoci a una settimana molto intensa” gli disse.
Lui ricambiò lo sguardo, la salutò e uscì dall'ufficio.
Come tutti i venerdì sera si sarebbe incontrato con Marco in birreria. Era stanco però quel giorno, la settimana era stata pesantissima e voleva riposarsi. Telefonò all'amico per rinviare l’incontro. Non voleva raccontare nulla di quanto successo poco prima, nella confusione non sapeva dove finiva la verità e dove iniziava l’impervio percorse dell’immaginazione.
Il lunedì si presentò al lavoro alle otto e trenta in punto. Rosa era già alla sua scrivania. Appena lo vide si diresse verso di lui.
“Ciao Andrea, senti, siamo un po’ incasinati. Ti devo dare una parte del terzo magazzino, perché Claudia è ammalata. Sarà assente tutta settimana. Diamoci dentro il più possibile, ti aiuterò anch'io. Poi venerdì ci troviamo e controlliamo i tabulati. Sai quando si corre troppo, è possibile commettere errori.”
“Va bene Rosa, comincerò con il primo, poi seguirà il secondo e poi vedremo per il terzo.”
“Sì. Ernesto, fai vedere come registrare il terzo magazzino” sorrise compostamente e ritornò in ufficio.
Ernesto sghignazzava in maniera scomposta.
“Minchia, ti ha preso di mira. È vero che sei veloce, ma in vent'anni che lavoro qui non ho mai visto nessuno essere caricato di lavoro come te. E poi il venerdì sera, ciliegina sulla torta, ti ritrovi a controllare tutto. Che palle! Ma sei giovane, ce la farai” gli disse.
“Che cosa devo fare… dire di no?” Gli chiese preoccupato Andrea. “Comunque, tu mi spiegherai e poi ci penso io.”
“Mi fa ridere l’idea che poi ti darà una mano. I suoi, caro mio, sono solo ordini. Agli ordini, signora mantide!”
“Ernesto, sei il miglior collega che potessi desiderare. E mi fai anche morire dal ridere!
Non aveva mai lavorato così. Anche sua madre gli chiedeva spesso se era soddisfatto di quel lavoro. In fondo era contenta, perché alla fine del mese la busta paga era buona e pensava che quando avesse voluto formare una famiglia, Andrea avrebbe avuto un po’ di soldi da parte.
La settimana era partita con l’acceleratore a chiodo. Undici ore al giorno d’immissione dati fino a giovedì mattina, dove aveva completato i due magazzini. Ernesto gli fece vedere le registrazioni riguardanti il terzo magazzino, che aveva alcune peculiarità particolari. Andrea era sveglio e capì subito. Ci dette dentro altre dodici ore e il venerdì alle cinque entrò trafelato nell'ufficio di Rosa. Lei indossava una gonna attillata e una camicetta bianca, abbellita dal solito foulard rosa. Gli altri colleghi poco alla volta avevano abbandonato l’ufficio per il week end.
“Settimana dura eh, mio caro Andrea?” Esordì.
“Abbastanza Rosa, spero di aver fatto pochi errori.”
Lei lo guardò rassicurante e prese il tabulato che le aveva passato. Anche qui trovò una quantità a zero. Forse era il solito errore del programma. Come il venerdì precedente Andrea andò sulla sua scrivania a prendere il documento in questione. Ritornò nell'ufficio e si mise al suo fianco.
“Vedi” gli disse indicando una tabella sul video “questo è l’errore che i programmatori non riescono a eliminare.”
“Il codice è sempre quello, possiamo controllarlo personalmente e non dovrebbero esserci problemi” le disse Andrea.
Rosa non disse nulla. Poco alla volta spostò all'indietro il gomito fino a toccargli i pantaloni.
Cominciò a muoverlo su e giù, con una pressione più forte della volta precedente. Andrea non si mosse. Lei arrivò dove voleva arrivare, il punto desiderato e cominciò a massaggiare. Il sangue cominciò ad andargli alla testa, mentre la donna era sempre seduta a guardare il video. Sembrava indifferente.
Nel silenzio della stanza Rosa con tutta calma si girò e lo guardò negli occhi e Andrea rivide la stessa strana luce. Senza staccare lo sguardo Rosa cominciò a massaggiarlo con le mani, lentamente, quindi prese la fibbia della cintura e la slacciò tirando giù la cerniera.
Spostò la poltrona con forza fino a farla finire contro la vetrata. Andrea temette di vederla andare in frantumi ma incredibilmente resse all'urto.
Ora si trovava con i pantaloni abbassati e le dita delle mani che trattenevano la camicia. Era quasi paralizzato. Rosa era inginocchiata, in ammirazione di quell'erezione imponente.
“Che bel cazzo che hai, duro e giovane” sospirò.
Glielo prese con le mani, mentre il ragazzo le osservava la testa dall'alto.
La sua direttrice ora era lì, eccitata ai suoi piedi. Il tabulato aperto a metà giaceva sulla scrivania. Il codice a zero lampeggiava sullo schermo.
Lei muoveva la testa con movimenti lenti. Si era aggrappata languidamente, quando sollevò uno sguardo lascivo e disse con voce roca: “È tutto mio.”
Quelle parole dette in quel modo colpirono Andrea nell'intimo più profondo. Una sensazione di prigionia già sperimentata, si sentì straziato da quella frase che gli ricordava antiche storie. Rimase in quella posizione ancora qualche secondo, poi fece uno scatto all'indietro.
“No, tutto no.” Le urlò.
Si rivestì in fretta e scappò dall'ufficio, lasciando socchiusa la porta.
Il lunedì si presentò al lavoro in leggero ritardo. Non aveva dormito bene quella notte e si era alzato venti minuti più tardi del solito. Rosa era già alla sua scrivania e appena lo vide gli fece un bellissimo sorriso. Si alzò e si diresse verso di lui.
“Ciao Andrea, senti, siamo sempre più incasinati. Ti devo dare una parte del quarto magazzino, perché Claudia è sempre ammalata e per di più Lorena questa settimana ha preso tre giorni di ferie perché ha il figlio con la febbre. Diamoci dentro il più possibile, ti aiuterò anch'io che siamo in emergenza. Poi venerdì ci troviamo e controlliamo i tabulati. Sai quando si corre troppo, è possibile commettere errori.”
“Va bene Rosa, allora comincio con il primo, il secondo e il terzo, poi vedremo per il quarto. E venerdì verrò nel suo ufficio a controllare il tabulato. Magari troviamo ancora quel codice la cui quantità rimane sempre a zero” le rispose Andrea.
“Come la volta scorsa” gli rispose la direttrice sorridendo.
Ernesto, nella scrivania vicino diede due colpi di tosse, si alzò e andò a prendersi un caffè.
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Re: Cinquanta sfumature di Rosa
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si lascia leggere nonostante alcuni refusi. discrete le descrizioni scenografiche, buone quelle a livello emozionale.
certo, forse è un po' lungo e si potrebbe asciugare, ma nel complesso non è male
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Re: Cinquanta sfumature di Rosa
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Mi sono piaciuti il tono leggero ed il modo in cui viene presentata Rosa.
Non mi è piaciuto affatto tutto il preambolo (per me riuovibile) sulla vita pregressa di andrea. Poi, ci sono aclune seguenze lavorative che potrebbero essere snellite.
Bello anche il personaggio del "decano" Ernesto.
Tirando le somme, buono ma migliorabile.
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Mi piace la scrittura, fluida e corretta, mi piace l'ambientazione nel mondo del lavoro, credo frutto di esperienza diretta, mi piace meno l'indecisione tra racconto "hard" e raccontino rosa, con il flirt tra il giovane impiegato e la matura capoufficio. Nel complesso credo sia un buon lavoro ma da ripensare in alcune sue parti, soprattutto in quella finale.
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Re: Cinquanta sfumature di Rosa
Il racconto procede senza intoppi dall'inizio alla fine, ben caratterizzati i personaggi che si muovono a proprio agio.
I vari ingredienti narrativi sono amalgamati con equilibrio.
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La Gara 49 - La contrapposizione
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Dieci
antologia di opere ispirate dal numero dieci, in omaggio al decimo compleanno dell'associazione culturale BraviAutori.it
Non amiamo l'auto-celebrazione, tuttavia ci è piaciuto festeggiare il nostro decimo compleanno invitando gli autori a partecipare alla composizione di un'antologia di opere di genere libero che avessero come traccia il numero 10. Ventidue autori hanno accettato l'invito e ciò che ci hanno regalato è stato confezionato in queste pagine.
Con la presente antologia abbiamo voluto ringraziare tutti i collaboratori, gli autori e i visitatori che hanno contribuito a rendere BraviAutori.it ciò che è oggi, e che continuerà a essere finché potrà.
A cura di Massimo Baglione.
Copertina di Giuseppe Gallato.
Contiene opere di: Ferruccio Frontini, Giuseppe Gallato, Mirta D, Salvatore Stefanelli, Gabriella Pison, Alberto Tivoli, Massimo Tivoli, Francesca Gabriel, Francesca Santucci, Enrico Teodorani, Gabriele Ludovici, Martina Del Negro, Alessandro Borghesi, Cristina Giuntini, Umberto Pasqui, Marezia Ori, Fausto Scatoli, Arcangelo Galante, Giorgio Leone, Fabio Maltese, Selene Barblan, Marco Bertoli.
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Downgrade
Riduzione di complessità - il libro Downpunk
è probabilmente il primo libro del genere Downpunk, ma forse è meglio dire che il genere Downpunk è nato con questo libro. Sam L. Basie, autore ingiustamente sconosciuto, presenta una visione dell'immediato futuro che ci lascerà a bocca aperta. In un futuro dove l'individuo è perennemente connesso alla globalità tanto da renderlo succube grazie alla sua immediatezza, è l'Umanità intera a operare su se stessa una "riduzione di complessità", operazione resa necessaria per riportare l'Uomo a una condizione di vita più semplice, più naturale e più... umana. Nel libro, l'autore afferma che "anche solo una volta all'anno, l'Essere umano ha bisogno di arrangiarsi, per sentirsi vivo e per dare un senso alla propria vita", ma in un mondo dove tutto ciò gli è negato dall'estremo benessere e dall'estrema tecnologia, le menti si sviluppano in maniera assai precaria e desolante, e qualsiasi inconveniente possa capitare diventerà un dramma esistenziale.
Di Sam L. Basie
A cura di Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.