Il fiore amaro dell'ailanto
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Il fiore amaro dell'ailanto
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Re: Il fiore amaro dell'ailanto
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Ciò può dare libero sfogo alle ossessioni; don Raimondo cerca di scappare da quell'ambiente, partecipando alla vita sociale, ma inevitabilmente finisce per ritornare alla situazione di prima, ancora più insoddisfatto e infelice. E infine, come per una coazione a ripetere, ritorna l'incesto: forse perché l'unica donna degna di congiungersi al principe non può che essere la propria sorella?
La corruzione (anche) del sangue è uno dei temi del romanzo "I viceré" di F. De Roberto, e l'atmosfera di questo racconto mi ha fatto pensare a quella vicenda, più che al Gattopardo o ai racconti di Camilleri.
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Re: Il fiore amaro dell'ailanto
Questo passato che schiaccia il presente è ben rappresentato nel romanzo "I Viceré" di De Roberto, che non so quanti conoscano. Lì si narravano le vicende catanesi della nobile famiglia Uzeda (realmente esistita come i Montecateno e che ha dato qualche viceré alla Sicilia), qui invece anche se siamo a Palermo è sempre la parzialità catalana la protagonista con una rotta analoga a quella degli Uzeda.
Bella riflessione e dotta e azzeccata citazione.
Un caro saluto.
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E' un dettagliato ed eloquente affresco dell'epoca narrata, con interessanti accenni di storia, di costume e anche di psicologia umana sulla quale non si può non riflettere.
L'efficacia delle descrizioni mi ha permesso di visualizzare le varie scene, insomma ho apprezzato la tua maestria nell'arte della scrittura che io definirei quasi "in 3D".
Dal mio "non piedistallo" di apprendista scrittrice, ti dico "bravo!".
Ciao.
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Il racconto è una finestra aperta su quella Sicilia che ho imparato a conoscere, coi suoi misteri senza tempo, le sue glorie ingloriose, e un'eterna tensione tra forma ed essenza che la dilania tutta, il tutto ben custodito e tenuto sotto silenzio dietro gli occhi, dentro l'anima di ciascuno di voi.
Un turista oggi, un'epoca di massa, potrebbe forse non percepire le contraddizioni ancora evidenti quando visitavo l'isola fino a venticinque fa, non lo so, ma per me Sicilia era questo: bellezza senza misura e timori innominabili, gloria e storia delle più alte e totale mancanza di un pensiero futuro, orgoglio e rassegnazione, amicizie che nascevano forti come catene d'acciaio con persone che avrebbero voluto spaccarmi la faccia fino a un istante prima, per motivi tanto ridicoli come l'essere nati appena due giorni prima o dopo...
Sicilia era vivere per due settimane in una dependance del paradiso, dove solo l'anima conta, persino in una ridicola pensione che faceva litigare i miei genitori per tutto il tempo della permanenza (ma loro erano già nel XXI secolo...).
Dove voglio arrivare? Che qui, Namio, hai narrato di una famiglia nobile, in tal modo solo acuendo il contrappasso tra i nobili natali e il "folle" sentimento e la "folle" storia, ma credo che avresti potuto ambientarla in qualunque altra famiglia dell'isola senza fargli perdere neanche un pizzico della sua essenza.
Io non credo di avere tutto il registro emozionale per decifrare tutto quello che tu ci hai messo, ma quel poco che fa risuonare in me è opera lirica, è bellezza che (mi) fa piangere, e di questo ti ringrazio.
Ciò detto, il racconto così com'è presentato è poco coerente, al principio: introduci dapprima il protagonista dopo un dialogo col giardiniere (due paragrafi), un terzo paragrafo è un excursus sulla partita a scacchi dove il punto principale non verrà poi collegato in maniera palese col resto, e infine parte il racconto vero e proprio. Queste incoerenze fanno pensare a un lavoro di riedizione (magari per i limiti delle gare?). Se hai il lavoro completo, ti prego, dove lo trovo?
Senz'altro il mio voto è il massimo.
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Re: Commento
Ciao, Francesco. Grazie del passaggio. Beh io provo sempre a rispondere e un'idea mia personale di quello che siamo e stiamo diventando me la sono fatta. Ora mi fazzu 'nanticchia r'acqua e zammù, puru si su l'otto di matina.Francesco Pino ha scritto: ↑29/06/2022, 23:03 Raimondo è un personaggio apparentemente ambiguo, a me sembra deluso da tutto, eternamente insoddisfatto di sé e di ciò che lo circonda. Non del tutto rassegnato a quel destino che sembra un marchio di famiglia, tuttavia anche lui lo subisce.
Racconto particolare, arricchito da quelle riflessioni sul popolo siciliano. Io alla domanda "perché siamo così?" ancora non so rispondere.
Zammu' è una parola difficile per chi non è siciliano, senza internet non sarebbe facile capire cos'è
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Re: Commento
Hanno fatto un film dai Viceré? Per il Gattopardo c'è voluto Visconti, per il Viceré, a mio avviso qualcuno di meglio, chi è il regista?FraFree ha scritto: ↑02/07/2022, 17:17 Ti consiglierei una potata nipponica Scherzo! I tuoi lunghi sono sempre un piacere e sempre riusciti. Qui, non c’è nulla di superfluo, ogni passo è di ausilio alla storia e tutto viene contestualizzato. L’ambientazione storico-culturale, mai mancante nei tuoi scritti, inserita con perizia e conoscenza, dà, oltre a una cornice, una maggiore connotazione alla storia, nella quale ci ho trovato quel lasso decadente che si protrae fino all’epoca del fascismo. Don Raimondo e la sua famiglia hanno portato pure me a “I Viceré”, ma al film, perché il romanzo non l’ho letto.
Ci ho visto, nella follia e nell'incesto, anche una sorta di maledizione che si perpetua tra generazioni. Bello il finale e i dialoghi dialettali sono una chicca. Bravo, Namio, un brano efficace.
Grazie per sopportare i miei lunghi oltre che i brevi. Non ti manca niente.
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Re: Commento
Grazie, Eleonora. Se non li ho già tirati fuori talento e stile personale, vuol dire che non li posseggo.Eleonora2 ha scritto: ↑05/07/2022, 13:52 Il racconto, come al solito, è ben scritto. Si respira aria di Sicilia. Hai dimostrato di saperti esprimere in ogni genere. Ho dato 4. Convinta che tu possa tirar fuori talento e stile personale, che qui non vedo ancora. Non ho niente da dire sul testo e sei bravo.Alla prossima
Un caro saluto
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Re: Commento
Sono contento di essere riuscito a far riflettere il lettore. L'immagine della scrittura in 3D mi arriva per la prima volta, ma non è male.Maria Cristina Tacchini ha scritto: ↑09/07/2022, 16:35 Il racconto è decisamente coinvolgente e denota, dal mio modesto punto di vista, grande capacità nello scrivere.
E' un dettagliato ed eloquente affresco dell'epoca narrata, con interessanti accenni di storia, di costume e anche di psicologia umana sulla quale non si può non riflettere.
L'efficacia delle descrizioni mi ha permesso di visualizzare le varie scene, insomma ho apprezzato la tua maestria nell'arte della scrittura che io definirei quasi "in 3D".
Dal mio "non piedistallo" di apprendista scrittrice, ti dico "bravo!".
Ciao.
Mi prendo il bravo e ti ringrazio.
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Re: Commento
A mio avviso i Siciliani, come popolo, non certo presi individualmente hanno una deriva psicotica nel loro carattere. Ce l'hanno da sempre e ben evidente. Ma sempre a mio modestissimissimo avviso causata non dalla tensione tra forma ed essenza, come tu scrivi, ma da quella sorta di faglia trascorrente tra l'essere ciò che sono siamo e il dover essere ciò che gli altri, gli stranieri, le magnifiche dominazioni, vogliono che noi siamo.Marino Maiorino ha scritto: ↑09/07/2022, 18:07 <3
Il racconto è una finestra aperta su quella Sicilia che ho imparato a conoscere, coi suoi misteri senza tempo, le sue glorie ingloriose, e un'eterna tensione tra forma ed essenza che la dilania tutta, il tutto ben custodito e tenuto sotto silenzio dietro gli occhi, dentro l'anima di ciascuno di voi.
Un turista oggi, un'epoca di massa, potrebbe forse non percepire le contraddizioni ancora evidenti quando visitavo l'isola fino a venticinque fa, non lo so, ma per me Sicilia era questo: bellezza senza misura e timori innominabili, gloria e storia delle più alte e totale mancanza di un pensiero futuro, orgoglio e rassegnazione, amicizie che nascevano forti come catene d'acciaio con persone che avrebbero voluto spaccarmi la faccia fino a un istante prima, per motivi tanto ridicoli come l'essere nati appena due giorni prima o dopo...
Sicilia era vivere per due settimane in una dependance del paradiso, dove solo l'anima conta, persino in una ridicola pensione che faceva litigare i miei genitori per tutto il tempo della permanenza (ma loro erano già nel XXI secolo...).
Dove voglio arrivare? Che qui, Namio, hai narrato di una famiglia nobile, in tal modo solo acuendo il contrappasso tra i nobili natali e il "folle" sentimento e la "folle" storia, ma credo che avresti potuto ambientarla in qualunque altra famiglia dell'isola senza fargli perdere neanche un pizzico della sua essenza.
Io non credo di avere tutto il registro emozionale per decifrare tutto quello che tu ci hai messo, ma quel poco che fa risuonare in me è opera lirica, è bellezza che (mi) fa piangere, e di questo ti ringrazio.
Ciò detto, il racconto così com'è presentato è poco coerente, al principio: introduci dapprima il protagonista dopo un dialogo col giardiniere (due paragrafi), un terzo paragrafo è un excursus sulla partita a scacchi dove il punto principale non verrà poi collegato in maniera palese col resto, e infine parte il racconto vero e proprio. Queste incoerenze fanno pensare a un lavoro di riedizione (magari per i limiti delle gare?). Se hai il lavoro completo, ti prego, dove lo trovo?
Senz'altro il mio voto è il massimo.
Tra il produrre la storia, l'essere l'artefice del proprio destino e il subirlo.
Quando i francesi arrivarono a Napoli, non ricodo se nel 1806, il vecchio Borbone Ferdinando scappò a Palermo protetto dalla flotta britannica, che garantì l'indipendenza del Regno di Sicilia da quello di Napoli fino a quando Napoleone non venne fatto fuori (e lasciamo perdere gli inglesi prima e gli americani dopo abbiano fatto con Palermo e Napoli prima e poi Roma lo stesso giochetto di cui nessuno sembra darsi conto).
La permanenza di Ferdinando a Palermo come re del solo Regno di Sicilia durò circa un decennio. Decennio in cui la nobiltà palermitana, nella speranza che dopo la cacciata dei francesi la capitale del Regno unificato rimanesse a Palermo, costruirono palazzine di caccia in tutta l'isola per il re cacciatore, palazzine cinesi e via discorrendo, organizzarono feste e sollazzi ogni giorno, fecero di tutto per imbonire e portare dalla loro parte quel re che sentivano lontano. Per il trastullo del re e della sua corte vennero impiegate a fondo le già scarse risorse di un'isola in guerra.
Terminato il pericolo il re fuggì da Palermo e sul vascello che lo riportava in patria, a Napoli, all'indirizzo dei siciliani disse: "Cannibali".
E questo noi siamo, cannibali, perché non si sopravvive a migliaia di anni di magnifiche dominazioni straniere per caso, ha un preciso significato: noi non combattiamo mai chi ci invade, ma lo accogliamo come un liberatore dal giogo di quella che fino al momento prima era una magnifica dominazione: lo ospitiamo, lo facciamo diventare il nostro migliore amico pure se un momento prima era nostro nemico, gli apriamo le case, gli apparecchiamo la tavola, lo sfamiamo e lo viziamo, migliaia di anni di tradizione gli sono serviti in tavola, gli offriamo le nostre figlie, certi che il nemico diventerà amico se non un nostro stesso familiare. Noi digeriamo, assimiliamo, gli stranieri dopo averli mangiati, e ci dicono pure grazie per quanto avete fatto. Non tutti, alcuni, come re Ferdinando, hanno la percezione del pericolo, se non la esatta consapevolezza; così scappano, vanno via odiandoci a morte per sempre come il peggior nemico, quello che non si può combattere.
Noi siamo cannibali, cannibali sorridenti, si capisce, e pure riflessivi, a volte colti, nobili e lazzaroni, ricchi borghesi e popolani. E quindi hai ragione, io ho ambientato il racconto in un certo contesto, ma la descrizione dei caratteri appartiene in potenza a qualunque famiglia isolana.
Forse anche tu sei stato mangiato, e digerito senza essertene accorto.
E forse in questa chiave capirai anche la resistenza dei siciliani alla modernità, come fardello anche quello da digerire, pure se se la maggior parte dei giovani oggi va via proprio perché qui non si può essere moderni, non si può costruire la propria storia, perché anche la modernità è una materia assimiliata e fatta propria e quindi mutata secondo le nostre esigenze.
Quanto alla coerenza del racconto. I tre paragrafi incoerenti, come tu scrivi, servono a mettere in luce il personaggio Raimondo. Ma il nucleo della storia, hai ragione, è altrove e si dipana con le due donne di casa. Racconto che ho tentato di far diventare un romanzo senza riuscirci, da cui le edizioni per le gare qui e là di dimesioni sempre diverse.
Da alcune settimane sto provando di metter mano ad alcuni miei romanzi incompiuti nel tentativo di metter una parola fine almeno là. Il fiore amaro è tra questi. Se riesco nell'impresa sarai il primo a saperlo.
Un caro saluto, e chiedo perdono per la verbosità, come dicono in molti ormai.
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Re: Il fiore amaro dell'ailanto
Intendevo infatti la "forma" come i costumi di volta in volta imposti come "accettabili" dall'esterno (oggi, la modernità), e come "essenza" ciò che non potete estirparvi dalle viscere, I vostri costumi, il vostro sentire, la vostra peculiare (grecamente sacra, e quindi a un tempo sentita e formale) ospitalità.
Non viviamo in bei tempi: tutto ciò che non è managerialmente ed economicamente quantificabile viene visto quanto meno con sospetto, quando non esplicitamente cassato per far posto ad altro, lucrativo. Ma io aspiro invece a un mondo dove le ragioni dell'anima siano ascoltate e messe alla pari con quelle della pancia. In quel mondo, in quel tempo, il siciliano, il napoletano, le parole di luoghi diversamente ricchi, saranno come l'italiano nel campo dell'opera.
Sul cannibalizato: un milione di volte, mi farei cannibalizare così!
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Non sono d'accordo, naturalmente- Tu sai scrivere e hai molte qualità. Talento e stile sono in te. Li tirerai fuori. Non sono infallibile e il mio parere di lettrice vale davvero poco ma ho la certezza che tu stia cercando ancora; il modo di esprimersi non si trova schioccando le dita e continua a guardarti intorno. Sono misteriosa? Alla prossima.Namio Intile ha scritto: ↑10/07/2022, 8:45 Grazie, Eleonora. Se non li ho già tirati fuori talento e stile personale, vuol dire che non li posseggo.
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commento Il fiore amaro dell'ailanto
In quegli anni la Salerno Reggio Calabria era un incubo come pure il traghetto. Le finali erano a Catania. Ricordo ancora le parole dei vigili urbani: “il palazzetto è in Corso Indipendenza ma non posteggi lì, a meno che lo voglia fare a suo rischio e pericolo.”
Per la cronaca tutto andò bene, ma Varese non ce la fece e vinse Bologna.
Caos ce n’è da tutte le parti, quindi lungi da me meravigliarmi per queste cose.
Speriamo che i recenti filmini pubblicitari sulla Sicilia siano veritieri.
Anche questo racconto, infatti, non lesina critiche alla società siciliana, anche se esse si riferiscono a un tempo storico remoto.
Veniamo alla scrittura. Molto buona come al solito. Ci sono un paio di spazi mancanti, ma sarà dovuto al programma di videoscrittura (infine,non -- silenziosa;socchiudeva)
-- una cupa costruzione spogliata, dal trascorrere del tempo e dal disinteresse degli uomini, dei segni dell’antico splendore. – Nulla da eccepire sulla forma, ma questa frase per me potrebbe scorrere meglio.
Ci sono dei periodi in cui l’uso del “che” abbonda.
-- differenza degli altri europei» -- io dopo europei ci vedrei bene una virgola.
-- almeno per un’altra generazione, un’altra ancora, il nome illustre dei Montecateno
-- mi chiedo; la ripetizione è voluta?
Qualche commento che tutto vuole essere, fuorché impertinente. Mi limito a segnalare le mie impressioni, magari sbagliate, durante la lettura (o meglio le tante letture).
Grazie a donne viziate e arroganti … ricamate dalle nobili mani … donna Teresa aveva tenuto in piedi la famiglia … --- non credo, ma potrei sbagliare, che dei lavori fatti amatorialmente da due donne potessero permettere a don Raimondo le assidue frequentazioni di bordelli, oltre al mantenimento del palazzo di famiglia e del grande giardino.
Avevo già intuito il finale della storia fin da quando ci è stato detto come era stata concepita la sorella Marianna, ovvero della possibilità di essere il frutto di una relazione incestuosa tra donna Teresa e il fratello. Quando poi don Raimondo mai si decideva a trovare una signora del suo rango, non poteva che finire così.
voto 4 - soprattutto per l'abilità dello scrittore.
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Re: Il fiore amaro dell'ailanto
Le nobili dame si facevano pagare e non lesinavano al rampollo, il quale ne approfittava.
Quanto al finale, sì non poteva che finire così, ma non ho scritto un giallo un noir o un thriller e quindi che tu abbia intuito dove volevo andare a parare in anticipo non toglie nulla al contenuto in sé. Il mio non è un racconto di genere legato all'intreccio, per farmi capire.
Io conosco bene la Lombardia e Milano, ci sono capitato, ma di proposito, parecchie volte. Sono sceso a Linate e poi via in taxi, non ho fatto la Salerno Reggio Calabria. Ho persino un paio di cari cugini molto al top (come dite voi) che hanno preso un mega appartamento alle spalle del Palazzo Reale e quando li sento (spesso ti confesso, perché seppure in giro per il mondo la nostalgia li azzanna) rintraccio in loro, nel leggere tra le righe delle loro dotte disquisizioni da AD e da Senior Partner, la classica spocchia acidula del milanese doc. Boh, sarà colpa dell'acqua che si beve colà o dell'eccesso di sushi di nell'aria.
Se ricapiti in Sicilia, non per caso ma per scelta precisa, prendi l'aereo, Alberto: abbiamo degli splendidi aeroporti a Palermo, a Catania, a Trapani, a Comiso, e un paio persino nelle isole. I traghetti fanno sempre schifo, per questo forse il Ponte sullo Stretto è un tabù, per scoraggiare l'ingresso in auto ed evitare l'inquinamento. Si tratta in realtà di un raro esempio di economia green ante litteram. La Greta di Stoccolma sarebbe al settimo cielo.
Negli alberghi hanno imparato a dialogare in italiano, e anche inglese o francese persino tedesco, e pure nei negozi, certe volte per strada, e da quando siamo entrati nella UE adottiamo financo l'Euro come moneta di scambio, un po' come la Bosnia Erzegovina insomma.
Dicono che siamo tutti italiani, ma non ci crede nessuno, neanche a Malta.
Troverai mare, sole, diecimila anni di storia sparpagliati in terra e gratis da vedere, cibo, vino, olio, tradizione e beni monumentali a iosa, ma speriamo che almeno la pubblicità dica il vero.
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Re: Il fiore amaro dell'ailanto
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Ti faccio i miei sinceri complimenti per la digressione iniziale su quelle che sarebbero, secondo Don Raimondo, le cause degli insuccessi dei siciliani e che già, di per sé, vale il costo del biglietto… Spiegazione che suona al contempo come un alibi. Però mi chiedo: a chi si riferisce nello specifico Don Raimondo? Al siciliano medio, oltre che ovviamente a sé stesso? Secondo me fino a un certo punto. Mi spiego meglio, però prima avrei bisogno di prenderla un po’ larga, e basarmi, nel ragionarci sopra, a qualche mia esperienza lavorativa personale (scusa, passo dal contesto storico a quello aziendale, ma si tratta di una mia deformazione professionale). Per alcuni anni ho lavorato per un’azienda che aveva tre stabilimenti (e ha tuttora), presso i quali, con cadenza mensile, partecipavo alle riunioni di fabbrica, durante le quali si presentavano le performance delle linee di produzione. Nel primo stabilimento, situato a Verona, la riunione, causa una sorta di quarto d’ora accademico non scritta, non cominciava mai prima di 15 / 20 minuti dall’ora ufficiale d’inizio della stessa. In quello di Varone, invece, si spaccava il minuto, a volte qualcuno arrivava con un ritardo di due o tre minuti, ma questo non era considerato un problema. Ad Arco, infine, venivano guardati male quelli che non si presentavano almeno 5 minuti prima dell’ora di inizio della riunione. Io, ovviamente, mi adeguavo alle diverse prassi indicate sopra. Evidentemente la puntualità tipica dei trentini costituiva un potenziale vantaggio competitivo per il secondo e il terzo stabilimento. Ma era davvero determinante? No. Perché l’elemento decisivo era dato dalle modalità con cui i direttori di stabilimento portavano avanti la gestione delle fabbriche poste sotto la loro responsabilità. Quello che voglio dire è che di sicuro le caratteristiche degli individui che costituiscono un popolo (o un organico aziendale) sono molto importanti nell’indirizzare il suo destino futuro, però, alla fin fine, quello che incide veramente sono le scelte della classe dirigente. Paragonando una nazione a un essere vivente, il popolo è dato dai muscoli, dai tendini, dal cuore, dal cervello ma solo per la parte irrazionale, quell’amigdala che è sede delle nostre risposte istintive agli eventi della vita. Ma il cervello, per la parte razionale, quella della corteccia prefrontale, dovrebbe essere dato dalla classe politica, che dovrebbe (continuo a parlare al condizionale) essere in grado di far funzionare al meglio l’organismo. Ma se proprio quella classe dirigente, impersonata da Don Raimondo, si mostra irrazionale (quando Don Raimondo mostra i suoi attributi alla dolce signora, mi fa pensare ai contadini siciliani che accolsero Pisacane come un delinquente e i garibaldini come dei liberatori, probabilmente in entrambi i casi la reazione dei siciliani fu fuori luogo…), allora non c’è davvero più speranza…
Con un po’ di campanilismo, devo dire che, professionalmente parlando, ho avuto brutte esperienze con delle società olandesi e tedesche che, a mio modesto parere, non reggono il confronto con alcune realtà aziendali italiane (ovviamente si tratta di una mia opinione personale e, oltretutto, i pochi casi di cui parlo non hanno alcun valore statistico). E allora mi chiedo: com’è possibile che negli ultimi decenni le economie di Olanda e Germania sono state delle locomotive mentre noi poveri italiani abbiamo sempre arrancato? Mi sono dato questa risposta: la nostra palla al piede (non l’unica) è stata la classe politica (non dico che ogni popolo ha la classe politica che si merita, altrimenti il ragionamento crolla…). Scusa se ho divagato tanto, vorrei solo capire un po’ meglio qual è la tua opinione al riguardo.
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Re: Il fiore amaro dell'ailanto
Grazie del passaggio e delle domande, tante.
Proverò a dire la mia, e spero a rispondere.
Innanzitutto l'autore, cioé io, e il narratore, qui non sempre coincidono, come nella maggior parte dei miei racconti. Ci sono degli spunti, ma il narratore deve essere al servizio del personaggio e l'autore lo deve assecondare.
Qui c'è un antico detto: Cu nesci arrinesci, ossia chi va via da casa, e la casa in senso lato è la Sicilia, comunque riesce a raggiungere una posizione. Non importa il dove o il come, l'importante è irisinni, andare via. E davvero ai siciliani basta andare via per affermarsi, segno che non mancano loro le capacità complessive compresa quella di progettare un avvenire per loro, ma al contrario è rimanendo che queste capacità vengono meno. È il genius loci, il destino di un popolo, ossia, dico io, il contesto generale.
Il contesto non è sempre uguale: la SIcilia era l'America del mondo greco, le sue città più grandi, ricche e splendide di quelle greche e Siracusa sconfiggeva Atene in battaglia durante la guerra del Peloponneso. Lo slogan se vuoi vedere la Grecia vieni in Sicilia non è fasullo. E la Sicilia è stata grande e ha avuto una grande storia almeno fino alla Guerra del Vespro. Cento anni di guerra ininterrotta hanno schiantato l'economia e la demografia dell'isola forse per sempre.
Come scrivevo a Marino chi rimane, rimane in un contesto difficile. Dove si lavora più che nel resto d'Italia per meno e in condizioni peggiori. Ecco perché chi nesci arrinesci, perché le condizioni di base altrove sono migliori e quindi è più facile darsi da fare.
Ogni volta che un siciliano emigra si meraviglia di quanto sia facile questo o quello, perché qui è tutto difficile, arduo, duro, impossibile.
Da cosa dipende? Dal contesto generale, il quale è a sua volta il portato di secoli di storia. Storia che i siciliani vedono in Sicilia come preclusa, riallacciandosi forse, come dice don Raimondo, a un sentimento legato a un passato mediterraneo in cui il tempo non è diacronico, ma ciclico. Una sorta di regressione forse alle più antiche tradizioni che in Sicilia e in molte parti del Mediterraneo vengono conservate e faticano a morire. Penso al culto apotropaico dei Giganti, ad esempio, che dura in tutto il bacino del Mediterraneo.
E quindi le vicende storiche degli ultimi secoli hanno giocato un ruolo non indifferente nel formare il cittadino tipo. Quando tu consideri l'opposizione/composizione popolo elites testa piedi hai in parte ragione. Garibaldi e non Pisacane perché, come ti ho scritto altrove, fu ordinato ai siciliani di quel tempo di accogliere l'uno e non l'altro, di acclamare come liberatore l'uno e non l'altro, perché all'aristocrazia isolana allora l'uno e non l'altro convenivano.
Ma sia il popolo che la sue elites si misurano e si confrontano in un contesto sociale, economico, giuridico interno ed esterno da cui non possono prescindere e che irrimediabilmente ne condiziona le scelte.
Che il popolo siciliano sia capace di rivolte e non di rivoluzioni lo dice la Storia. La rivolta del Vespro, la rivolta di d'Alessi, quella del Sette e mezzo, il movimento dei Fasci, sono movimenti che partono dal basso e non dall'alto, da un sentimento di insofferenza e stanchezza che esplode appunto in rivolte violentissime, ma che non trova in alto risposte se non di tipo repressivo.
Se il Mezzogiorno è stato lasciato ai margini dello sviluppo del paese e adoperato solo come serbatoio di manodopera a basso prezzo o di consenso elettorale, ciò è dipeso dall'assetto economico e sociale che è stato imposto al Sud negli anni immediatamente successivi all'unificazione. È inutile starci a girare su, se dopo quasi due secoli di storia comune il Sud arranca un motivo deve esserci, specie se, come tu scrivi, il capo dirige la testa.
L'unificazione ha funzionato come un vortice in cui le risorse e le energie dell'intero paese sono state concentrate in alcuni luoghi soltanto, tra le regioni del nord e la capitale.
E forse l'identica destino accade oggi con l'Europa, dove le risorse dell'intero continente vengono concentrate il alcuni luoghi e zone tra Francia e Germania per lasciare le altre in brache di tela. È il prezzo che l'Italia paga all'unificazione europea, dove per evidenti motivi geografici anche il nord si trova questa volta in vantaggio.
Negli Stati Uniti avviene da sempre la medesima cosa. La Nuova Inghilterra e la California oltre alcune altre città attirano popolazione e investimenti, mentre gli altri stanno a guardare. Gli stati più poveri dell'Unione sono ancora oggi quelli della vecchia confederazione, soprattutto Mississippi e Missouri i più poveri tra i poveri, come se le vecchie idee abbiano la forza di tenere lontana la modernità.
Perché il contesto creato da decisioni prese a suo tempo per motivi a volte contingenti segnano e indirizzano il futuro.
In quella specie di piccolo saggio sulla Palermo musulmana spiego come Palermo, da città sempre di terza categoria, per una serie di vicende contingenti abbia sottratto il ruolo di metropoli isolana a Siracusa, che lo deteneva storicamente. Così segnando il futuro dell'una e dell'altra.
E il contesto alle volte è dettato dalla testa, come tu affermi, altre volte dal caso.
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Re: Il fiore amaro dell'ailanto
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Commento
Bello il linguaggio, sia nelle battute in siciliano, sia nel resto della narrazione, un linguaggio capace di esprimere in modo esplicito ma elegante anche le situazioni più scabrose. Interessante la riflessione sull'uomo e sulla sicilianità. Complimenti!
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COMMENTO
Una società chiusa in una scatola, con i suoi sogni e le sue utopie, le sue regole e le sue eccezioni e ovviamente anche le sue perversioni. Personaggi sempre pregni di caratteristiche peculiari e "tipiche" della società in cui si muovono. Affascinatissimo.
In bocca al lupo. Mauro.
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Re: Commento
Ciao, Lucia.Lucia De Falco ha scritto: ↑22/08/2022, 17:00 Questo racconto è veramente bellissimo, nulla da dire. L'ho letto tutto d'un fiato senza alcuna stanchezza o noia, nonostante la lunghezza. È perfetto. Belle le descrizioni, accurate nei dettagli. Si può immaginare la grande casa in cui vivono, come una triste prigione, con le sue grandi stanze semivuote e il senso di solitudine che emana.
Bello il linguaggio, sia nelle battute in siciliano, sia nel resto della narrazione, un linguaggio capace di esprimere in modo esplicito ma elegante anche le situazioni più scabrose. Interessante la riflessione sull'uomo e sulla sicilianità. Complimenti!
Sono contento che il racconto abbia colto nel segno. E ti ringrazio per quell'esplicito ma elegante. Quel dire e non dire che sembra facile da realizzare, ma non lo è mai.
Grazie
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Re: COMMENTO
Ciao, Mauro.Mauro Conti ha scritto: ↑23/08/2022, 16:49 Ciao Namio. Fin dai primi giorni in cui ero iscritto ho potuto apprezzare i tuoi racconti. E anche questa volta è un pezzo degno del tuo stile profondamente elegante nella scrittura e assolutamente impeccabile come fluidità. Vado matto poi per quei racconti ambientati in "mondi decadenti", ingessati, senza uscita, come spesso tu dipingi, a torto o a ragione, la tua Sicilia.
Una società chiusa in una scatola, con i suoi sogni e le sue utopie, le sue regole e le sue eccezioni e ovviamente anche le sue perversioni. Personaggi sempre pregni di caratteristiche peculiari e "tipiche" della società in cui si muovono. Affascinatissimo.
In bocca al lupo. Mauro.
Contento di rileggerti dopo tanto tempo.
Alla fine BA non è un cattivo posto dove rimanere.
Tutto vero quel che scrivi del Fiore Amaro. Dopo aver terminato una corposa lettura filosofica di quelle mie ho ripensato al racconto e al finale e a quanto mi hai scritto. Mondi decadenti e senza via d'usita e quel perversioni finali. Ossia l'incesto. Dove l'incesto sembra appunto una regressione conseguenza di quella mancanza di via d'uscita.
Epperò, se invece fosse proprio l'incesto la soluzione?
Se Raimondo Montecateno fosse appunto incatenato (nomen omen) a quella vita non da una mancanza di prospettive o una incapacità di guardare oltre, ma dalla impossibilità di uno scambio, di una ambivalenza con il mondo intorno legato all'equivalenza del valore, del denaro, del potere, del fallo, e così via.
E solo invece nell'incesto abbia trovato, sia l'uno che l'altra, il modo di donarsi e di riceversi?
L'ho buttata lì, grazie della visita.
Spero di rileggerti presto.
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Re: Il fiore amaro dell'ailanto
Ma qui sovviene un'altra domanda, l'ambiente circostante in cui è immerso Don Raimondo QUANTO l'abbia condizionato e spinto a fare quello che ha fatto. Anche qui non lo sapremo mai.
È un racconto che lascia alla fine diverse domande. E non domande semplici ma forse quelle più complicate a cui rispondere per un uomo; domande che implicano la sfera morale e della coscienza.
Pertanto è un racconto che "ti lascia" qualcosa, non finisce dove hai messo l'ultimo punto.
Bello! Bravo, complimenti ancora.
Mauro
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Re: Il fiore amaro dell'ailanto
Ciao Namio, certo che hai risposto, grazie mille per l'accurata ed esaustiva analisi. Sì, è vero, alla fine testa e resto del corpo sono un tutt'uno, influenzandosi a vicenda. E spesso, anche i singoli esseri umani basano i loro comportamenti più in base al mal di pancia che altro... Però la domanda resta: allora ci meritiamo i politici che abbiamo? Almeno in parte probabilmente sì... (accidenti!).Namio Intile ha scritto: ↑21/08/2022, 10:14 Ciao, Messedaglia.
Grazie del passaggio e delle domande, tante.
Proverò a dire la mia, e spero a rispondere.
Innanzitutto l'autore, cioé io, e il narratore, qui non sempre coincidono, come nella maggior parte dei miei racconti. Ci sono degli spunti, ma il narratore deve essere al servizio del personaggio e l'autore lo deve assecondare.
Qui c'è un antico detto: Cu nesci arrinesci, ossia chi va via da casa, e la casa in senso lato è la Sicilia, comunque riesce a raggiungere una posizione. Non importa il dove o il come, l'importante è irisinni, andare via. E davvero ai siciliani basta andare via per affermarsi, segno che non mancano loro le capacità complessive compresa quella di progettare un avvenire per loro, ma al contrario è rimanendo che queste capacità vengono meno. È il genius loci, il destino di un popolo, ossia, dico io, il contesto generale.
Il contesto non è sempre uguale: la SIcilia era l'America del mondo greco, le sue città più grandi, ricche e splendide di quelle greche e Siracusa sconfiggeva Atene in battaglia durante la guerra del Peloponneso. Lo slogan se vuoi vedere la Grecia vieni in Sicilia non è fasullo. E la Sicilia è stata grande e ha avuto una grande storia almeno fino alla Guerra del Vespro. Cento anni di guerra ininterrotta hanno schiantato l'economia e la demografia dell'isola forse per sempre.
Come scrivevo a Marino chi rimane, rimane in un contesto difficile. Dove si lavora più che nel resto d'Italia per meno e in condizioni peggiori. Ecco perché chi nesci arrinesci, perché le condizioni di base altrove sono migliori e quindi è più facile darsi da fare.
Ogni volta che un siciliano emigra si meraviglia di quanto sia facile questo o quello, perché qui è tutto difficile, arduo, duro, impossibile.
Da cosa dipende? Dal contesto generale, il quale è a sua volta il portato di secoli di storia. Storia che i siciliani vedono in Sicilia come preclusa, riallacciandosi forse, come dice don Raimondo, a un sentimento legato a un passato mediterraneo in cui il tempo non è diacronico, ma ciclico. Una sorta di regressione forse alle più antiche tradizioni che in Sicilia e in molte parti del Mediterraneo vengono conservate e faticano a morire. Penso al culto apotropaico dei Giganti, ad esempio, che dura in tutto il bacino del Mediterraneo.
E quindi le vicende storiche degli ultimi secoli hanno giocato un ruolo non indifferente nel formare il cittadino tipo. Quando tu consideri l'opposizione/composizione popolo elites testa piedi hai in parte ragione. Garibaldi e non Pisacane perché, come ti ho scritto altrove, fu ordinato ai siciliani di quel tempo di accogliere l'uno e non l'altro, di acclamare come liberatore l'uno e non l'altro, perché all'aristocrazia isolana allora l'uno e non l'altro convenivano.
Ma sia il popolo che la sue elites si misurano e si confrontano in un contesto sociale, economico, giuridico interno ed esterno da cui non possono prescindere e che irrimediabilmente ne condiziona le scelte.
Che il popolo siciliano sia capace di rivolte e non di rivoluzioni lo dice la Storia. La rivolta del Vespro, la rivolta di d'Alessi, quella del Sette e mezzo, il movimento dei Fasci, sono movimenti che partono dal basso e non dall'alto, da un sentimento di insofferenza e stanchezza che esplode appunto in rivolte violentissime, ma che non trova in alto risposte se non di tipo repressivo.
Se il Mezzogiorno è stato lasciato ai margini dello sviluppo del paese e adoperato solo come serbatoio di manodopera a basso prezzo o di consenso elettorale, ciò è dipeso dall'assetto economico e sociale che è stato imposto al Sud negli anni immediatamente successivi all'unificazione. È inutile starci a girare su, se dopo quasi due secoli di storia comune il Sud arranca un motivo deve esserci, specie se, come tu scrivi, il capo dirige la testa.
L'unificazione ha funzionato come un vortice in cui le risorse e le energie dell'intero paese sono state concentrate in alcuni luoghi soltanto, tra le regioni del nord e la capitale.
E forse l'identica destino accade oggi con l'Europa, dove le risorse dell'intero continente vengono concentrate il alcuni luoghi e zone tra Francia e Germania per lasciare le altre in brache di tela. È il prezzo che l'Italia paga all'unificazione europea, dove per evidenti motivi geografici anche il nord si trova questa volta in vantaggio.
Negli Stati Uniti avviene da sempre la medesima cosa. La Nuova Inghilterra e la California oltre alcune altre città attirano popolazione e investimenti, mentre gli altri stanno a guardare. Gli stati più poveri dell'Unione sono ancora oggi quelli della vecchia confederazione, soprattutto Mississippi e Missouri i più poveri tra i poveri, come se le vecchie idee abbiano la forza di tenere lontana la modernità.
Perché il contesto creato da decisioni prese a suo tempo per motivi a volte contingenti segnano e indirizzano il futuro.
In quella specie di piccolo saggio sulla Palermo musulmana spiego come Palermo, da città sempre di terza categoria, per una serie di vicende contingenti abbia sottratto il ruolo di metropoli isolana a Siracusa, che lo deteneva storicamente. Così segnando il futuro dell'una e dell'altra.
E il contesto alle volte è dettato dalla testa, come tu affermi, altre volte dal caso.
Hai tirato poi fuori l'intervento del caso: innegabile quanto la fortuna (o la sfortuna) incida sui singoli eventi della vita di uomini e di interi popoli. Forse di più nel breve termine, meno nel lungo. Tanto per contraddirmi, al riguardo mi viene in mente un interessante libro di Kyle Harper, "Il destino di Roma", in cui l'autore sostiene che l'ascesa e la caduta di Roma, al di là delle tradizionali motivazioni di natura politica, sociale, militare etc. etc., (che comunque non vengono completamente rigettate) siano da ascrivere principalmente all'andamento del clima (cui si aggiungono le epidemie nella fase di declino), sostenendo questa tesi con argomentazioni valide e efficaci. Chissà, questo potrebbe essere lo spunto per una futura discussione...
Ancora grazie e ciao
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In un altro romanzo scritto da un illustrissimo siciliano che ho nel cuore si faceva un ragionamento simile su Roma, dal passato unico e irripetibile, trasformata in acquasantiera dai papi e poi in posacenere dagli italiani.
I tuoi racconti, complessi e bellissimi, offrono spunti di riflessione che vanno al di là della storia.
Voto 5, e per me miglior racconto in gara.
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Re: Il fiore amaro dell'ailanto
Un caro saluto
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Il fallimento del suo ultimo e forse risolutivo proposito, quello di trovare una moglie e affrancarsi dalla dipendenza materna, quale bamboccione qualsiasi, certifica il declino suo personale e quello della casata, declino suggellato dall'incesto che, come letteratura insegna, produce figli con coda di maiale e crepuscoli di dinastie.
Tralascio le considerazioni storiche e sociali che questa storia suggerisce; le avete approfondite nei commenti molto meglio di come potrei azzardare io, mi limito a dirti che questo racconto conferma la tua abilità di narratore e che meriterebbe un respiro più ampio, come hai detto sopra conto che tu ci pensi seriamente.
Ottimo, Namio, un caro saluto.
https://chiacchieredistintivorb.blogspot.com/
Intervista su BraviAutori.it: https://www.braviautori.it/forum/viewto ... =76&t=5384
Autore presente nei seguenti ebook di BraviAutori.it:
Autore presente nei seguenti libri di BraviAutori.it:
A modo mio
antologia AA.VV. di opere ispirate a storie famose, ma rimaneggiate dai nostri autori
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Susanna Boccalari, Remo Badoer, Franco Giori, Ida Daneri, Enrico Teodorani, Il Babbano, Florindo Di Monaco, Xarabass, Andrea Perina, Stefania Paganelli, Mike Vignali, Mario Malgieri, Nicolandrea Riccio, Francesco Cau, Eliana Farotto.
Vedi ANTEPRIMA (1,22 MB scaricato 30 volte).
Rosso permissivo
Una bambina e alcune persone subiscono una crudele e folle violenza. Cosa potrebbe fare una donna per vendicarsi e scongiurare la possibilità che anche sua figlia cada vittima dei carnefici? Lo scopriremo in questo racconto, dato che il rosso ce lo permette.
Copertina di Roberta Guardascione
A cura di Massimo Baglione.
Vedi ANTEPRIMA (1,48 MB scaricato 226 volte).
Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
La spina infinita
"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
Di Mario Stallone
A cura di Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
La Gara 29 - Storie parallele
A cura di Ser Stefano.
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Gara di primavera 2019 - La contessa, e gli altri racconti
A cura di Massimo Baglione.
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Gara d'Autunno 2018 - Lettera a Giovanni, e gli altri racconti
A cura di Massimo Baglione e Laura Ruggeri.
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