End of the World, Route 66

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'autunno 2023.

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Sondaggio concluso il 23/12/2023, 23:00

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Pietro Castellazzi
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End of the World, Route 66

Messaggio da leggere da Pietro Castellazzi »

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Conobbi Jasmine ai tempi del college e durante una delle innumerevoli feste, me ne innamorai perdutamente. Bei tempi: eravamo giovani, spensierati e senza troppe responsabilità. La sposai, e dopo quasi dieci anni di matrimonio, la nostra relazione precipitò drasticamente. Infatti, da anni ormai, la mia consorte non perdeva occasione per scaricare le sue insensate frustrazioni su di me.
Una sera, dopo l’ennesima discussione, mia moglie ghignò a denti stretti: «Stammi bene a sentire Aaron, non crederai di uscire coi tuoi amici anche questa sera?» Poi, incalzò: «Sei uno scansafatiche e non ti permetto di trattarmi da serva!» Rimasi allibito, in fondo non ero certo il tipo di uomo che passava il tempo davanti alla TV o che non dava una mano per le faccende domestiche. Fu così, che non le diedi nemmeno la soddisfazione di una risposta, e senza degnarla di uno sguardo, presi la giacca, le chiavi dell’auto e uscii, sbattendo la porta. Non ne potevo più, ero saturo. Quella donna non era più la ragazza timida, dolce e aggraziata che conobbi, si era trasformata in una strega.
Accesi la mia fiammante Mustang, consapevole che questa volta, i sensi di colpa non mi avrebbero fatto cambiare idea.
Mi diressi verso Chicago, sulla U.S. Route 66 in cerca di una stazione di servizio. Dovevo fare rifornimento all’auto e, senza dubbio, avevo bisogno di bere qualcosa di forte. Dopo qualche miglio, scorsi il posto adatto ed accostai.
“End of the world Route 66”, sorrisi pensando alla fantasia del gestore nella scelta del nome per la sua attività, decisamente originale, poi senza tergiversare, spinsi la porta ed entrai. Il locale era piuttosto accogliente e, malgrado le mie aspettative non lo avrebbero certo previsto, colmo di gente. Della musica country rendeva gradevole l’atmosfera, anche se le persone all’apparenza, sembravano indaffarate in questioni personali. I clienti non sembravano del posto, e a dirla tutta, nonostante molti di loro sedevano allo stesso tavolo, avrei giurato che fossero perfetti sconosciuti. Sensazioni. Mi avvicinai al bancone per ordinare un whisky on the rocks. La cameriera forzò un sorriso e me lo servì in un batter d’occhio.
La musica cessò improvvisamente. Non mi era mai piaciuto il country. Colsi l’occasione per avvicinarmi ad uno splendido jukebox, che mi invitò a selezionare qualcosa del mio genere. Pensai immediatamente al classico rock’n’roll degli ACDC, ma non appena intravidi Elvis, beh, non potei far altro che optare per la famosa “Jailhouse Rock”. Introdussi la moneta e il disco venne selezionato. Le note armoniose del Re del Rock si diffusero nel salone, tanto da trasformare l’ambiente lugubre, in una sala da ballo. Mi voltai e incredulo stropicciai gli occhi nel vedere gli stessi individui persi nei loro affari, coinvolti in una ballata rock, sorridenti e fieri, come se si fossero svegliati da un letargo decennale.
Una bellissima ragazza, abbigliata come Daisy Duke di Hazard, mi prese per mano e mi trascinò in quella bolgia. Non avevo intenzione di tradire mia moglie: non certo per una qualche paranoia di tipo etico, non più almeno, non me ne fregava più nulla. Avevo semplicemente paura di essere scoperto. Da settimane, ormai, il mio pensiero fisso era uno e uno soltanto, il divorzio, e non potevo permettermi scivoloni che potessero trascinarmi dalla parte del torto. Inoltre, una volta ottenuto il divorzio, avrei potuto fare ciò che volevo: era solo questione di aspettare un po’ di tempo. Però, al diavolo, in quel locale tutti stavano ballando con tutti, senza dubbio avrei iniziato a ballare con quella ragazza, e in pochi minuti, in quella bolgia, mi sarei ritrovato come damigella un biker muscoloso e tatuato dalla barba chilometrica. Così mi lasciai andare. Non sono mai stato capace di ballare ma poco importava, a quanto pare. In pochi istanti i passi di danza avevano lasciato il posto a brindisi virili, capaci di crepare i boccali, trenini conga sconclusionati, gente che semplicemente ondeggiava spalle e bacino, rigorosamente in piedi sui tavoli. In mezzo a tutto quel caos mi colpì un uomo, lo vidi solo per qualche frazione di secondo, tra una schiena e l’altra: “Ma quello è un pirata!” pensai, e quell’immagine mi strappò un sorriso. Avrà avuto una settantina d’anni, capelli lunghi e bianchi, una maglia a righe orizzontali e le dita delle mani coperte di anelli dorati. Personaggi singolari ce n’erano in quel bar, ma quel tizio li batteva tutti. Niente di che, continuai a ballare e di quando in quando, facevo in modo di approdare al bancone urlando: «Whiskey!», giusto per fare rifornimento.
Andò avanti così per circa mezz''ora, poi la musica finì e tutti tornarono a sedersi, ridendo e asciugandosi il sudore. Qualcuno si complimentava con qualcun altro per chissà quale motivo e io tornai al bancone.
«Una bottiglietta d’acqua, ghiacciata per favore».«Qui nessuno beve acqua», mi rispose una voce roca, di fianco a me. Era il pirata. «Eh, immagino e anzi, sono d’accordo», replicai ridendo, «ma dopo quattro whiskey e tutto questo movimento un goccio ci sta, o no?» «No», ribadì serio il pirata. «Qui nessuno beve acqua». «Vuoi qualcosa di fresco? Fagli un Hell on the Road, Dolores» esclamò, rivolgendosi alla barista. E se ne andò. Rimasi interdetto, ma compiaciuto e divertito e scolai tutto d’un fiato quella che doveva essere la specialità della casa. Una specie di succo di frutta, molto ma molto zuccherato. Buono ma leggero. «Fammene un altro, Dolores». Mi sedetti su uno sgabello, con i gomiti appoggiati al bancone, a bere con calma. Devo confessare due cose: la prima, cercai per un po’ la Daisy Duke che mi aveva introdotto alle danze, ma non la trovai più, come immaginavo. E per fortuna. Secondo, quella specie di succo dolciastro, specialità della casa, mi stava lentamente inebriando, ammetto di averlo sottovalutato. E con mio grande sgomento, mi resi conto che stava per iniziare la classica sbronza triste: erano ormai le 2.00 e, a momenti, sarei dovuto tornare nel mio inferno privato, con quella troia di mia moglie.
Guardavo fisso il bicchiere, quando sentii una voce roca e sottile: «Dammi il solito». La barista passò al mio vicino di sgabello un bicchiere lungo e sottile, una forma mai vista prima, e con la coda dell’occhio, vidi una cosa che mi sconvolse. Il cliente accanto a me, infilò in quella specie di tubo una lunga, lunghissima lingua, che riempì tutto il vetro, succhiando la bevanda al suo interno. “O mio dio” pensai, e rivolsi lo sguardo a quella cosa. Aveva un impermeabile beige e un cappello. Ma la sua faccia era, santi numi: la sua faccia era di un colore tra il grigio e il marroncino, squamata, la bocca un po’ allungata e due occhi enormi. Mi guardò. «Qui fanno la migliore tisana al melograno della contea. Certo, la qualità non giustifica un prezzo così alto ma cosa vuoi mai, tutto costa di più oggi… e meno male che con queste mani non posso guidare: vogliamo parlare dei prezzi del gasolio?»
Sgranai gli occhi, e mi allontanai con uno scatto repentino, quasi facendo cadere lo sgabello. Cosa diavolo era quella cosa? Lui, quel mostro, mi seguì con lo sguardo per pochi istanti, poi abbassò gli occhi, per bere un altro sorso di quella bevanda. Indietreggiando, sempre con gli occhi sgranati, urtavo e venivo sbattuto dalle decine di persone, ammucchiate in quel locale. Qualcuno si lamentò, intimandomi di stare attento a dove mettevo i piedi. Non sapevo cosa fare, nessuno sembrava badare a quella mostruosità, che io invece continuavo a fissare, allontanandomi sempre più dal bancone. Mi voltai, deciso a scappare, o forse per lanciare l’allarme e indicare a qualcuno, chiunque, quella cosa seduta al bar. Ma quando alzai lo sguardo, mi ritrovai faccia a faccia con una donna, giovane e molto molto carina. Almeno fino a quando non scansò la ciocca di lunghi capelli biondi, che le copriva metà del viso, mostrando l’occhio sinistro. O meglio, ciò che avrebbe dovuto essere l’occhio sinistro: dalla cavità oculare, incorniciata da pelle cadente e sanguinante, emergevano vermi e larve. Urlai e corsi per guadagnare l’uscita, ma… non vi era alcuna porta. Mi guardai intorno: lungo la parete in mattoni rossi potevo intravedere solo insegne al neon, gagliardetti e raccolte di fotografie. Bloccai la persona più vicina a me: «Scusi dov’è l’uscita?» L’uomo si voltò: nessuna lingua viscida e allungata, niente pelle sciolta e cadente. L’uomo appariva normale, certo un po’ pallido, ma non vi era nulla di strano. Iniziò a indicare la sua bocca con l’indice, facendomi alcuni segni con la mano, senza proferire una parola: «Non capisco, ho solo chiesto dov’è l’uscita?» domandai di nuovo, urlando per sovrastare il volume della musica che nel frattempo era ripartita a livelli assordanti. Alzando gli occhi al cielo, con fare spazientito, l’uomo abbassò il colletto del maglione: ok, evidentemente voleva dirmi che non poteva parlare, d’altra parte come avrebbe potuto con quello squarcio profondo e sanguinante che gli attraversava il collo?
Ero terrorizzato, confuso, la paura si mescolava alla sbornia. L’alcool. La specialità della casa… Hell on the Street, on the Road, come diavolo si chiamava. Corsi verso il bancone e inveii contro la barista: «Che diavolo c’era dentro a quella roba, mi avete drogato?!» La donna mi guardò con sufficienza, la testa leggermente piegata e il chewing gum masticato senza ritegno. «Sì, è la prima cosa a cui si pensa, arrivati qui». Mi voltai e inorridii… era quello che avevo soprannominato il pirata.
«Ancora niente, vero?»
«Ma di che diavolo stai parlando?»
«Vieni con me», mi disse.
Sconvolto iniziai a seguire quell’uomo attraverso il salone affollato, poi salimmo una rampa di scale e ci appoggiammo a un parapetto. Davanti ai nostri occhi decine e decine di figure, maschili e femminili, alcune di quelle le avevo già viste nel corso della serata, prima che si trasformassero, almeno. Qualcuno aveva una fessura nel cranio che non avevo notato fino a qualche minuto prima, qualcuno aveva il volto massacrato e sanguinante, molti (la maggioranza) avevano ossa rotte, che emergevano dalla pelle o dai vestiti. Ma non solo: c’erano figure che di umano non avevano nulla, come quell’essere che incontrai al bancone, ma dalle diverse fisionomie. Un uomo vestito di pelle nera, portava al guinzaglio un altro uomo, magrissimo, glabro, nudo, con le palpebre e la bocca cucite. Una donna strisciava leccando il pavimento, un uomo seduto in un angolo, con lo sguardo fisso e allucinato, masticava frammenti di vetro, mentre il sangue colava dalla sua bocca. Era un’orgia di distruzione, perversione e orrore.
«Qui è dove accogliamo le anime auto distrutte, qui è dove la consunzione del corpo e dello spirito soggiornano per l’eternità. Anni spesi ad arrendersi all’angoscia, attraverso scappatoie e vie di fuga, rifiutando qualsiasi sforzo o tentativo di alzarsi in piedi. Morti fuori e morti dentro: prima si danza in preda all’ebbrezza, poi l’entusiasmo si spegne e si torna al buio che ci compete e, davanti al quale, abbiamo chinato il capo. Questo è il deserto dell’essere, questo è il rifugio di chi odia la moglie, questa è la consolazione di chi sfoga la frustrazione, iniettandosi eroina o premendo sull’acceleratore, questo è il Midian della società, questo è il nulla eterno».
«Voi siete pazzi, questa è solo una festa in maschera, dove servite di nascosto droghe e merda del genere, io voglio andarmene».
«E nessuno te lo impedisce. Quella è l’uscita», disse il pirata, indicando una zona della parete, che credevo di aver controllato, senza trovare l’uscita.
Corsi via, più forte che potevo, salii sulla mia Mustang e partii diretto verso casa.
Ero decisamente ubriaco, ma volevo andarmene, in fretta e furia. L’orrore che avevo appena vissuto, era decisamente troppo, anche più di quella strega di mia moglie. Mentre mi avvicinavo all’isolato di casa, sentii numerose sirene, accompagnate dalle luci blu intermittenti di polizia e ambulanze. Stavano allontanando curiosi e vicini, mentre delimitavano una scena del crimine. Rimasi piuttosto perplesso e sbigottito. Il nostro quartiere era uno dei più tranquilli, e nel vicinato, non si erano mai verificati episodi significativi di criminalità.
Scesi dall’auto e mi avvicinai alla folla chiedendo spiegazioni, ma stranamente, nessuno sembrava vedermi né darmi ascolto. Poi, udii uno scambio di battute fra due persone poco distanti, che discutevano dell’accaduto. «Quella Jasmine sembrava una donna così educata e gentile, una donna per bene insomma». «Già, e chi diavolo si sarebbe immaginato che potesse fare a pezzi il marito?» «Poveraccio, non si meritava certo una fine simile. Ammazzato e fatto a pezzi, cosa da non credere!» I due parlavano di me, ma nonostante mi avvicinai e cercai di strattonarli per attirare la loro attenzione, per loro ero invisibile. Non potevano né vedermi, né sentire le mie urla; non riuscivo ad accettare la verità, non volevo credere. Tentai un nuovo disperato tentativo, per attirare l’attenzione. Urlai a squarciagola verso la folla circostante: «Ehi, che diavolo fate? Io sono qui, sono vivo, mi chiamo Aaron, Maledizione!» Piansi ed iniziai a disperarmi.
In preda al panico, mi rimisi al volante e cominciai a guidare, a velocità sempre più elevata. Il buio mi impediva di orientarmi, non sapevo dove fossi, non c’erano svincoli, non c’erano edifici. Fino a quando, scorsi nuovamente l’insegna dell’“End of the World”, il locale sulla Route 66. A quel punto, mi fermai e spensi la macchina. Il respiro pesante, intervallato dai singhiozzi, la testa tra le mani. Rassegnato, disperato, scesi dall’abitacolo e mi diressi verso l’unico edificio presente lungo quella buia strada di follia.
Il pirata fece un sorriso beffardo: «Bentornato Aaron. Fai un Hell on the Road al nostro nuovo amico, Dolores. Anzi, faglielo doppio: tanto avrà tutto il tempo di gustarlo. Qualcosa come... l’eternità».

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Ultima modifica di Pietro Castellazzi il 10/12/2023, 20:28, modificato 8 volte in totale.
Camilla Palzileri
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Messaggio da leggere da Camilla Palzileri »

Finalmente un racconto horror che si rispetti! Notevole la trama, stupefacente il finale. Hai una qualità nello scrivere al di sopra della media. Il racconto è scorrevole, intuitivo fino al colpo di scena conclusivo, Scrittura semplice ma molto efficace.
Pietro Castellazzi
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Messaggio da leggere da Pietro Castellazzi »

Grazie mille, sei la prima a commentare, e mi fa piacere leggere i tuoi complimenti. Grazie anche per il voto!
Ultima modifica di Pietro Castellazzi il 03/12/2023, 17:04, modificato 2 volte in totale.
Maya Mazzaggio
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Messaggio da leggere da Maya Mazzaggio »

Mi è piaciuto parecchio il finale, con l'effetto sorpresa che ha stravolto la trama. Nel complesso il racconto è fluido e scorre bene. Il mio personaggio preferito? Il pirata. Un Horror che sembra più un thriller nonostante la cura dei personaggi con dettagli macabri.
Pietro Castellazzi
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Messaggio da leggere da Pietro Castellazzi »

Ciao Xarabass, intanto ti chiedo la cortesia di mettere "commento" nel titolo, altrimenti non viene considerato valido nemmeno il voto. Per quanto riguarda Daisy Duke, beh...non lo sapevo! Grazie per il tuo contributo. Leggerò presto il tuo racconto.
Pietro Castellazzi
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Re: End of the World, Route 66

Messaggio da leggere da Pietro Castellazzi »

Grazie infinite...Ahah si, il Pirata è il "Personaggio"!
Marcello Monti
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Messaggio da leggere da Marcello Monti »

Un racconto emozionante, coinvolgente, che fluisce senza ostacoli, come la strada citata nel titolo. La trama appassionante ed il finale bellissimo dimostrano il talento innato di uno scrittore che si erge ad "esploratore" di zone oscure. Bravissino
Namio Intile
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Ciao, e benvenuto.
Il racconto, a mio avviso, presente alcuni problemi di punteggiatura, di concordanza dei tempi verbali, e altri, più seri, che poi ti dirò.
Provo a indicare i punti dove mi pare vi siano delle inesattezze.

Io e Jasmine ci conosciamo dai tempi del college e (qui metterei una virgola per chiudere l'inciso) durante una delle innumerevoli feste, ci siamo innamorati perdutamente. Bei tempi, eravamo giovani e spensierati e senza troppe responsabilità. Oggi siamo marito e moglie da quasi dieci anni e, almeno da parte mia (virgola per chiudere l'inciso) le cose sono cambiate, in peggio. Infatti, da anni ormai, la mia consorte non perde occasione per scaricare le sue insensate frustrazioni su di me.
(Qui comincia quella che in apparenza è un'analessi, ma in realtà è la voce interiore, e fantasmatica, del protagonisa. la voce narrante è apparentemente la stessa. Il tempo vira al passato) Una sera, dopo l’ennesima discussione, mia moglie ghignò a denti stretti:<< (l'uso di maggiore e minore per indicare le sequenze dialogiche è un errore. Trattini, virgolette o caporali. Per i caporali alt174 e 175 del tastierino numerico) stammi bene a sentire Aaron, non crederai di uscire coi tuoi amici anche questa sera?>> (dopo il punto di domanda non va la virgola e si ricomincia col maiuscolo), poi incalzò:<< sei uno scansafatiche e non ti permetto di trattarmi da serva!>>. (anche qui il punto è superfluo) Rimasi allibito, in fondo non ero certo il tipo di uomo che passava il tempo davanti alla TV o che non dava una mano per le faccende domestiche. Fu così, che non le diedi nemmeno la soddisfazione di una risposta, e senza degnarla di uno sguardo, presi la giacca, le chiavi dell’auto e uscii, sbattendo la porta. Non ne potevo più, ero saturo. Quella donna non era più la ragazza timida, dolce ed aggraziata che conobbi (avevo conosciuto), si era trasformata in una strega.
Accesi la mia fiammante Mustang, consapevole che (o metti una virgola qui o la successiva è un errore) questa volta, i sensi di colpa non mi avrebbero fatto cambiare idea.
Mi diressi verso Chicago sulla U.S. Route 66 in cerca di una stazione di servizio. Dovevo fare rifornimento all’auto e (vrigola?) senza dubbio, avevo bisogno di bere qualcosa di forte. Dopo qualche miglio, scorsi il posto adatto ed accostai.
“End of the world Route 66”, sorrisi pensando alla fantasia del gestore nella scelta del nome per la sua attività, decisamente originale, poi (virgola?) senza tergiversare, spinsi la porta ed entrai. Il locale era piuttosto accogliente e, malgrado le mie aspettative non lo avrebbero certo previsto, colmo di gente. Una (perché una? La o della) musica country rendeva gradevole l’atmosfera, anche se le persone (qui o metti una virgola o la successiva è un errore, come sopra, perché separi soggetto e predicato) all’apparenza, sembravano indaffarate in questioni personali. I clienti non sembravano del posto, e a dirla tutta, nonostante molti di loro sedevano allo stesso tavolo, avrei giurato che fossero perfetti sconosciuti. Sensazioni. Mi avvicinai al bancone per ordinare un whisky on the rocks. La cameriera forzò un sorriso e me lo servì in un batter d’occhio.
La musica cessò improvvisamente. Non mi era mai piaciuto il country. Colsi l’occasione per avvicinarmi ad uno splendido jukebox, che mi invitò a selezionare qualcosa del mio genere. Pensai immediatamente al classico Rock’n’roll degli ACDC ma non appena intravidi Elvis, beh, non potei far altro che optare per la famosa “Jailhouse Rock”. Introdussi la moneta e il disco venne selezionato. Le note armoniose del Re del Rock si diffusero nel salone, tanto da trasformare l’ambiente lugubre, (qui perché questa virgola?) in una sala da ballo. Mi voltai ed incredulo stropicciai gli occhi nel vedere gli stessi individui persi nei loro affari, coinvolti in una ballata rock sorridenti e fieri, come se si fossero svegliati da un letargo decennale.
Una bellissima ragazza, abbigliata come Daisy Duke di Hazard, mi prese per mano e mi trascinò in quella bolgia. Non avevo intenzione di tradire mia moglie: non certo per una qualche paranoia di tipo etico, non più almeno, non me ne fregava più nulla. Avevo semplicemente paura di essere scoperto. Da settimane, ormai, il mio pensiero fisso era uno e uno soltanto, il divorzio, e non potevo permettermi scivoloni che potessero trascinarmi dalla parte del torto. Inoltre, una volta ottenuto il divorzio avrei potuto fare ciò che volevo: era solo questione di aspettare un po’ di tempo. Però, al diavolo, in quel locale tutti stavano ballando con tutti, senza dubbio avrei iniziato a ballare con quella ragazza e in pochi minuti, in quella bolgia, mi sarei ritrovato come damigella un biker muscoloso e tatuato dalla barba chilometrica. Così mi lasciai andare. Non sono mai stato capace di ballare (virgola, avversativo) ma poco importava, a quanto pare (perché al presente? la locuzione ha comunque poco senso). In pochi istanti i passi di danza avevano lasciato il posto a brindisi virili, capaci di crepare i boccali, trenini conga sconclusionati, gente che semplicemente ondeggiava spalle e bacino, rigorosamente in piedi sui tavoli. In mezzo a tutto quel caos mi colpì un uomo, lo vidi solo per qualche frazione di secondo, tra una schiena e l’altra: “Ma quello è un pirata!”, pensai e quell’immagine mi strappò un sorriso. Avrà avuto una settantina d’anni, capelli lunghi e bianchi, una maglia a righe orizzontali e le dita delle mani coperte di anelli dorati. Personaggi singolari ce n’erano in quel bar, ma quel tizio li batteva tutti. Niente di che, continuai a ballare e di quando in quando facevo in modo di approdare al bancone urlando: “Whiskey!”, giusto per fare rifornimento.
Andò avanti così per circa mezz’ora poi la musica finì e tutti tornarono a sedersi ridendo e asciugandosi il sudore. Qualcuno si complimentava con qualcun altro per chissà quale motivo e io tornai al bancone. “Una bottiglietta d’acqua, ghiacciata per favore”. “Qui nessuno beve acqua” (qui sei passato alle virgolette per le sequenze dialogiche. Scelto un modo non si deve abbandonare strada facendo), mi rispose una voce roca, di fianco a me. Era il pirata. “Eh, immagino e anzi, sono d’accordo”, risposi ridendo, “ma dopo quattro whiskey e tutto questo movimento un goccio ci sta, o no?”. “No”, rispose serio il pirata. “Qui nessuno beve acqua”, rispose. “Vuoi qualcosa di fresco? Fagli un” Hell on the Road Jasmine” (se usi le virgolette per il discorso diretto poi ti devi arrangiare con altro per i virgolettati), disse rivolgendosi alla barista. E se ne andò. Rimasi interdetto, ma compiaciuto e divertito e scolai tutto d’un fiato quella che doveva essere la specialità della casa. Una specie di succo di frutta, molto ma molto zuccherato. Buono (virgola) ma leggero. “Fammene un altro (se ti rivolgi a una persona è un vocativo e va la virgola. Ma avevo capito che ti riferissi alla bevanda. Allora avresti dovuto scrivere Fammi un altro...) Jasmine”. Mi sedetti su uno sgabello, con i gomiti appoggiati al bancone a bere con calma. Devo confessare due cose: la prima, cercai per un po’ la Daisy Duke che mi aveva introdotto alle danze, ma non la trovai più, come immaginavo. E per fortuna. Secondo, quella specie di succo dolciastro, specialità della casa, mi stava lentamente inebriando, ammetto di averlo sottovalutato. E con mio grande sgomento mi resi conto che stava per iniziare la classica sbronza triste: erano ormai le 2.00 e tra un po’ sarei dovuto tornare nel mio inferno privato, con quella troia di mia moglie.
Guardavo fisso il bicchiere quando sentii una voce roca e sottile: “Dammi il solito”. (qui dovresti andare a capo. Come fa la voce narrante a sapere il nome che segue?) Dolores passò al mio vicino di sgabello un bicchiere lungo e sottile, una forma mai vista prima, e con la coda dell’occhio vidi una cosa che mi sconvolse. Il cliente accanto a me infilò in quella specie di tubo una lunga, lunghissima lingua che riempì tutto il vetro, succhiando la bevanda al suo interno. “O mio dio”, pensai e rivolsi lo sguardo a quella cosa. Aveva un impermeabile beige e un cappello. Ma la sua faccia era, santi numi: la sua faccia era di un colore tra il grigio e il marroncino, squamata, la bocca un po’ allungata e due occhi enormi. Mi guardò. “Qui fanno la migliore tisana al melograno della contea. Certo, la qualità non giustifica un prezzo così alto ma cosa vuoi mai, tutto costa di più oggi…e meno male che con queste mani non posso guidare: vogliamo parlare dei prezzi del gasolio?”.
Sgranai gli occhi e mi allontanai con uno scatto repentino, quasi facendo cadere lo sgabello. Cosa diavolo era quella cosa? Lui, quel mostro, mi seguì con lo sguardo per pochi istanti poi abbassò gli occhi per bere un altro sorso di quella bevanda. Indietreggiando, sempre con gli occhi sgranati, urtavo e venivo sbattuto dalle decine di persone ammucchiate in quel locale. Qualcuno si lamentò intimandomi di stare attento a dove mettevo i piedi. Non sapevo cosa fare, nessuno sembrava badare a quella mostruosità che io invece continuavo a fissare, allontanandomi sempre più dal bancone. Mi voltai, deciso a scappare, o forse per lanciare l’allarme e indicare a qualcuno, chiunque, quella cosa seduta al bar. Ma quando alzai lo sguardo mi ritrovai faccia a faccia con una donna, giovane e molto molto carina. Almeno fino a quando non scansò la ciocca di lunghi capelli biondi che le copriva metà del viso, mostrando l’occhio sinistro. O meglio, ciò che avrebbe dovuto essere l’occhio sinistro: dalla cavità oculare, incorniciata da pelle cadente e sanguinante, emergevano vermi e larve. Urlai e corsi per guadagnare l’uscita, ma…non vi era alcuna porta. Mi guardai intorno: lungo la parete in mattoni rossi potevo intravedere solo insegne al neon, gagliardetti e raccolte di fotografie. Bloccai la persona più vicina a me: “Scusi dov’è l’uscita?”. L’uomo si voltò: nessuna lingua viscida e allungata, niente pelle sciolta e cadente. L’uomo appariva normale, certo un po’ pallido, ma non vi era nulla di strano. Iniziò a indicare la sua bocca con l’indice, facendomi alcuni segni con la mano, senza proferire una parola: “Non capisco, ho solo chiesto dov’è l’uscita?”, domandai di nuovo, urlando per sovrastare il volume della musica che nel frattempo era ripartita a livelli assordanti. Alzando gli occhi al cielo, con fare spazientito, l’uomo abbassò il colletto del maglione: (qui metterei un punto fermo. Quell'ok che segue ha un che di giornalistico. Di solito si usa per rivolgersi direttamente al lettore. E, secondo me, in questo contesto è un errore) ok, evidentemente voleva dirmi che non poteva parlare, d’altra parte come avrebbe potuto con quello squarcio profondo e sanguinante che gli attraversava il collo?
Ero terrorizzato, confuso, la paura si mescolava alla sbornia. L’alcool. La specialità della casa… Hell on the Street, on the Road, come diavolo si chiamava. Corsi verso il bancone e inveii contro la barista: “Che diavolo c’era dentro a quella roba, mi avete drogato?!”. La donna mi guardò con sufficienza, la testa leggermente piegata e il chewing gum masticato senza ritegno. “Sì, è la prima cosa a cui si pensa, arrivati qui”. Mi voltai e inorridii… (spazio)era quello che avevo soprannominato “il pirata”.
“Ancora niente, vero?”. (punto superfluo)
“Ma di che diavolo stai parlando?”
“Vieni con me”, mi disse.
Sconvolto iniziai a seguire quell’uomo attraverso il salone affollato, poi salimmo una rampa di scale e ci appoggiammo a un parapetto. Davanti ai nostri occhi decine e decine di figure, maschili e femminili, alcune di quelle le avevo già viste nel corso della serata, prima che si trasformassero, almeno. Qualcuno aveva una fessura nel cranio che non avevo notato fino a qualche minuto prima, qualcuno aveva il volto massacrato e sanguinante, molti (la maggioranza) avevano ossa rotte che emergevano dalla pelle o dai vestiti. Ma non solo: c’erano figure che di umano non avevano nulla, come quell’essere che incontrai (avevo incontrato) al bancone, ma dalle diverse fisionomie. Un uomo vestito di pelle nera portava al guinzaglio un altro uomo, magrissimo, glabro, nudo, con le palpebre e la bocca cucite. Una donna strisciava leccando il pavimento, un uomo seduto in un angolo, con lo sguardo fisso e allucinato, masticava frammenti di vetro mentre il sangue colava dalla sua bocca. Era un’orgia di distruzione, perversione e orrore.
“Qui è dove accogliamo le anime auto distrutte, qui è dove la consunzione del corpo e dello spirito soggiornano per l’eternità. Anni spesi ad arrendersi all’angoscia attraverso scappatoie e vie di fuga, rifiutando qualsiasi sforzo o tentativo di alzarsi in piedi. Morti fuori e morti dentro: prima si danza in preda all’ebbrezza poi l’entusiasmo si spegne e si torna al buio che ci compete e davanti al quale abbiamo chinato il capo. Questo è il deserto dell’essere, questo è il rifugio di chi odia la moglie, questa è la consolazione di chi sfoga la frustrazione iniettandosi eroina o premendo sull’acceleratore, questo è il Midian della società, questo è il nulla eterno”.
“Voi siete pazzi, questa è solo una festa in maschera dove servite di nascosto droghe e merda del genere, io voglio andarmene”.
“E nessuno te lo impedisce. Quella è l’uscita”, disse il pirata, indicando una zona della parete che credevo di aver controllato, senza trovare l’uscita.
Corsi via, più forte che potevo, salii sulla mia Mustang e partii diretto verso casa.

(Qui dovresti forse tornare al presente dell'antefatto, altrimenti il cambio di tempi verbali non ha senso o è un errore) Ero decisamente ubriaco ma volevo andarmene, in fretta e furia. L’orrore che avevo appena vissuto era decisamente troppo, anche più di quella strega di mia moglie. Mentre mi avvicinavo all’isolato di casa, sentii numerose sirene accompagnate dalle luci blu intermittenti di polizia e ambulanze. Stavano allontanando curiosi e vicini mentre delimitavano una scena del crimine. Rimasi piuttosto perplesso e sbigottito. Il nostro quartiere era uno dei più tranquilli, e nel vicinato non si erano mai verificati episodi significativi di criminalità.
Scesi dall’auto e mi avvicinai alla folla chiedendo spiegazioni, ma stranamente, nessuno sembrava vedermi né darmi ascolto. Poi udii uno scambio di battute fra due persone poco distanti, che discutevano dell’accaduto. (qui torni ai maggiori o minori, forse per distinguere questi discorsi diretti da quelli) <<Quella Jasmine sembrava una donna così educata e gentile, una donna per bene insomma>>. <<Già, e chi diavolo si sarebbe immaginato che potesse fare a pezzi il marito?>> << Poveraccio, non si meritava certo una fine simile. Ammazzato e fatto a pezzi, cosa da non credere!>> I due parlavano di me, ma (ciò) nonostante mi avvicinai e cercai di strattonarli per attirare la loro attenzione, per loro ero invisibile. Non potevano né vedermi né sentire le mie urla; non riuscivo ad accettare la verità, non volevo credere. Tentai un nuovo disperato tentativo, per attirare l’attenzione. Urlai a squarciagola verso la folla circostante:<< Ehi, che diavolo fate? Io sono qui, sono vivo, mi chiamo Aaron, Maledizione! >>. (punto superfluo) Piansi ed iniziai a disperarmi.
In preda al panico mi rimisi al volante e cominciai a guidare, a velocità sempre più elevata. Il buio mi impediva di orientarmi, non sapevo dove fossi, non c’erano svincoli, non c’erano edifici. Fino a quando, scorsi nuovamente l’insegna dell’“End of the World”, il locale sulla Route 66. A quel punto, mi fermai e spensi la macchina. Il respiro pesante intervallato dai singhiozzi, la testa tra le mani. Rassegnato, disperato, scesi dall’abitacolo e mi diressi verso l’unico edificio presente lungo quella buia strada di follia.
Il pirata fece un sorriso beffardo: “Bentornato Aaron. Fai un Hell on the Road al nostro nuovo amico (virgola) Jasmine! Anzi, faglielo doppio: tanto avrà tutto il tempo di gustarlo. Qualcosa come...l’eternità”.

È un racconto che strizza l'occhio a certo genere cinematografico americano: le pellicole di Robert Rodriguez, ma anche il noto Ghost. Nella parte finale della seconda parte, quella nel locale, si tenta anche la via didascalica con tanto di ammonimento moraleggiante, ahimé fin troppo esplicito per risultare vero. Il finale mi pare confuso. Si prova il capovolgimento, si scopre che Jasmine è la moglie di Aaron e che lui è stato fatto a pezzi dalla moglie.
Però così non si capisce perché lui debba essere il cattivo, il colpevole, quando è comunque la vittima di un crimine abietto e violento. La seconda parte, alla luce di questo finale, potrebbe essere una gigantesca metafora, che io però, da lettore, non sono riuscito a cogliere.
Infine manca equilibrio tra la parte centrale, corposa, e le due appendici iniziale e finale.
Mi pare un racconto non perfettamente coerente ed equilibrato, da rivedere.
A rileggerti
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Pietro Castellazzi
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Re: End of the World, Route 66

Messaggio da leggere da Pietro Castellazzi »

Per cominciare ti ringrazio per aver commentato il mio racconto. Grazie per le dettagliate correzioni, confermo in toto le tue ragioni. Devi sapere che ho voluto sperimentare questo racconto che avevo scritto qualche tempo fa per il mio canale YouTube, quindi adattandolo ad una narrazione per un audio racconto. Sono sincero, la punteggiatura non l'ho controllata. Avendolo caricato per la curiosità di sapere se potesse piacere la storia, quindi ho copiato e incollato il testo e l'ho caricato. Sicuramente qui il livello è piuttosto alto, anche se ho trovato diversi errori e refusi in quasi tutti i racconti letti finora. In ogni caso, visto che per il voto finale vanno considerate la trama, la forma e i dettagli, accetto con piacere i tuoi consigli.
A presto
Giovanni p
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Messaggio da leggere da Giovanni p »

Un uomo racconta al lettore come ha conosciuto sua moglie, premettendo poi che il suo matrimonio si rivelerà un fallimento a causa dei continui litigi, Il protagonista, dopo aver lasciato a casa la moglie infuriata, si ferma in una stazione di servizio dove fare benzina e bere. All’interno della stazione salta subito all’occhio un jukebox, che dopo essere stato avviato coinvolgerà tutto il locale in un ballo sfrenato. Da lì a poco il protagonista scivolerà sempre più nell’assurdo, con bevute dolciastre sospette e visioni mostruose.

Buongiorno,

ho letto il tuo racconto e purtroppo non mi ha convinto. Ci sono diversi aspetti che secondo me andrebbero cambiati, per prima cosa il protagonista si rivolge al lettore al presente, ma la storia si sviluppa nel passato, questo crea parecchia confusione.
Il raccontato è veramente pesante, ci sono troppe parole per descrivere pochi eventi.
Il perno del tuo racconto è il surrealismo (genere che io apprezzo) ma ci sono poche descrizioni efficaci.

In bocca al lupo per il contest.
Andr60
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Il racconto mi ha "preso" parecchio e le descrizioni del cambiamento sconvolgente e repentino degli avventori del bar sono efficaci e ben inserite in un contesto horror. Altrettanto riuscita è la rivelazione finale, che però presenta (a mio avviso) un difetto di logica. Ossia, se tutti i partecipanti alla festa sono deceduti e mostrano le loro vere sembianze post-mortem, come si spiega che il protagonista invece sia integro, e non tagliato a pezzi, come pare da quello che dicono i vicini di casa?
Rimane comunque un buon testo nonostante i difetti già evidenziati in precedenza. P.S. : per le caporali, io faccio copia e incolla anche se per i dialoghi preferisco le lineette.
Cristina Flati
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Messaggio da leggere da Cristina Flati »

Me lo sono letto tutto d'un fiato. E per ben due volte!
Bravo... scorrevole e capaca di suscitere tante emozioni :)
Sebbene non sia nuovo il tema del luogo strambo in cui avvengono attvità fuori dalla norma, con individui un po' "Lovecraftiani" che spaventano il protagonista, avente invece una vita normale, penso che hai srotolato la narrazione un po' alla volta, svelando il giusto al momento giusto!
Ultima modifica di Cristina Flati il 10/12/2023, 12:44, modificato 1 volta in totale.
Pietro Castellazzi
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Re: End of the World, Route 66

Messaggio da leggere da Pietro Castellazzi »

Ciao e grazie. Ti chiedo solo la gentilezza di modificare il tuo commento aggiungendo alcune battute per arrivare a 200 caratteri, altrimenti (purtroppo) il tuo voto non sarà considerato. Sarebbe un vero peccato
Roby Urraci
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Messaggio da leggere da Roby Urraci »

Ciao, in primis concordo con alcuni commentatori sulla mancanza di un'adeguata punteggiatura, ma non posso che riconoscerti una trama stupefacente. Il racconto l'ho letto d'un fiato e mi ha entusiasmato. Bello e ricco di colpi di scena, compreso il finale. Bravo.
Voto 5
Pietro Castellazzi
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Re: End of the World, Route 66

Messaggio da leggere da Pietro Castellazzi »

Grazie mille
Selene Barblan
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Messaggio da leggere da Selene Barblan »

Ciao, trovo che questo tuo racconto abbia un potenziale che non è ancora stato espresso a dovere. L’idea è interessante e anche lo svolgimento cattura l’interesse, ma a mio avviso certi aspetti formali, che ti sono già stati segnalati da persone più competenti di me, lo penalizzano. Da come ho vissuto io il racconto l’introduzione e il finale sono le parti meno riuscite, mentre la parte centrale è più viva e coinvolgente. Al momento mi sento di dare come voto un 3, varrebbe sicuramente la pena sistemarlo un po’ perché ha potenzialità.
Pietro Castellazzi
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Re: End of the World, Route 66

Messaggio da leggere da Pietro Castellazzi »

Ciao e grazie per il commento. Ho sistemato l'inizio e alcuni errori. Spero di averlo sistemato almeno in parte. Devo aggiungere qualche virgola.
Grazie
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Maria Spanu
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Messaggio da leggere da Maria Spanu »

Ciao, Pietro. Ho letto con piacere il tuo racconto e devo dire che è ottimo a livello di struttura. Ha una buona trama e diversi colpi di scena. L'unica cosa che mi ha lasciato un po' di amaro in bocca è la descrizione dei personaggi: a proposito, se vorrai, ti invito in Officina del Racconto, che sull'argomento "show don't tell" ha una sezione molto interessante
( https://www.assonuoviautori.org/forum/v ... =45&t=5873 ).
Mostrare senza raccontare è molto difficile, ma in Officina ci sono degli spunti molto utili e da approfondire, per dare più morbidezza alle descrizioni e lasciar anche spazio all'immaginazione che è un'ottima amica quando si legge un racconto.
A presto!
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Paola Boni
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Messaggio da leggere da Paola Boni »

Un racconto che parte quasi come un thriller, ma con una svolta horror che spiazza il lettore, portandolo a voler proseguire la lettura per capire cosa stia succedendo davvero, e che riesce a trasmettere tutto il senso di angoscia e oppressione provato dal protagonista. Per quanto non perfetto a livello stilistico, è comunque scorrevole e accattivante a livello di struttura narrativa. Mi è davvero piaciuto.
Pietro Castellazzi
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Re: End of the World, Route 66

Messaggio da leggere da Pietro Castellazzi »

Ciao, ho cercato di sistemarlo come meglio potevo senza snaturare troppo la mia idea iniziale. Grazie
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Authors: Massimo Baglione and Alessandro Napolitano.
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