I Don't Need This Pressure On (Chant No. 1, Spandau Ballet, 1981)

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Macrelli Piero
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I Don't Need This Pressure On (Chant No. 1, Spandau Ballet, 1981)

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Quel venerdì sera eravamo in gran spolvero all'Isola in attesa di andare al concerto dei Neon Allo Slego. E quando dico in gran spolvero intendo in tenuta Goorkies con i nostri pantaloni a righe che era diventato oramai il nostro marchi di fabbrica, poi anfibi o All Star ai piedi, bretelle e basco o cappellino. Quella dello Slego al venerdì era una questione aperta e motivo di discussione continua sul fatto che il venerdì era più bello del sabato, succedevano cose più underground e poi c'erano i concerti, al venerdì.
-Io vorrei sapere chi cazzo sono questi Neon che bisogna andare assolutamente a vedere.
-Sei matto, non sai chi sono i Neon? Eppure mi sembra che “Information Of Death” ti piace da matti.
-Ho capito, ma a me piace la musica, non i musicisti. Dei musicisti non me ne frega un cazzo. È come dire che siccome mi piace la pizza, poi vado a farmi le seghe a guardare il pizzaiolo che me la prepara davanti al suo forno. Dammi una pizza buona senza rompermi i coglioni. Di come si chiami il pizzaiolo o di che faccia abbia non me ne frega un cazzo.
-A me piace andare ai concerti.
-A me invece no. Io immagino la musica che esca dall'etere e ti accompagna durante la vita, che ti faccia da guida, da cornice a quello che fai. Ci sono i dischi e tanto basta.
-Te lo abbiamo già detto tu esageri a credere troppo alle canzoni e ai film. Le canzoni sono solo canzoni e i film sono solo film. Finita la canzone è finita la canzone; finito il film è finito il film. Non puoi impostare la vita come una canzone o come un film, non può funzionare. Accontentati, godi il momento e poi riprendi a spalare merda come tutti.
-E poi domani dobbiamo andare a scuola e io devo prendere il treno alle 7.20 per andare a Cesena e siccome mi piace andare a Cesena che prendere il treno con gli amici è una gran figata. Non voglio distruggermi anche il venerdì sera.
-Poverino, la mamma ti sgrida se non vai a scuola?
-Voi non capite un cazzo. Se lo vuoi veramente puoi fare della tua vita come in una canzone o come in un film, li usi come modelli e se ti impegni abbastanza, e se ci credi fino in fondo...
-Mah, a me sembra una stronzata. Cosa c'è che non va nella tua vita, mi sembra che ci divertiamo abbastanza così e avere una vita normale dopo il divertimento non mi sembra un cattivo affare.
-Tu ce l'hai con il mondo, ecco cos'è. Devi darti pace.
-Io non ce l'ho con il mondo. Oramai è da tempo che mi sono messo in pace sul fatto che il mondo non riconosca il mio genio. Del resto non è colpa sua: la colpa è dei miei malvagi pseudo genitori che mi hanno intrappolato in un corpo imperfetto e mortale.
-Ah. Ah, ah. Buona questa scusa.
E la colpa è anche del destino che mi ha dato degli amici cialtroni come voi, senza un minimo di fede e fiducia in un radioso futuro.
Quella frase sui pseudo genitori malvagi non era mia ma presa a memoria da un racconto di Robert Sheckley, ma siccome nessuno leggeva Sheckley potevo benissimo spacciarla per mia. E poi mi piaceva fare l'istrione che lì all'isola ci si divertiva e avevo notato che una tipa ci stava a sentire e rideva alle mie battute e volevo tenerla d'occhio se fosse venuta anche lei al concerto, che come diceva del concerto non me ne fregava niente, ma se c'era la tipa avrei avuto altro a cui pensare.
Forse i miei amici avevano ragione sulla mia fissa sulle canzoni e sui film, ma sulla scuola avevo ragione io e cominciavo a preoccuparmi. Questo sarebbe stato l'ultimo anno e poi? Si apriva davanti a me il mondo dei grandi ed ero confuso, confuso e impaurito. Avrei tanto voluto che il tempo della scuola non finisse mai.
Se arrivavi presto allo Slego c'era poca gente, la luce era abbastanza alta, la pista non si era ancora trasformata in una palude e potevi ascoltare della buona musica da pre serata per scaldare l'ambiente senza entrare nel vivo della musica più scatenata. Potevano capitare qualcosa di cerebrale come gli A Certain Ratio, qualcosa di sofisticato come i Defunkt o Joe Jeckson, oppure qualcosa di leggerino come gli ABC, Haircut 100 e persino gli Spandau Ballet che con “Chant No. 1” facevano un gran pezzo anche per i palati fini dello Slego.
Poi si stava lì a cazzeggiare in attesa che succedesse qualcosa che qualcosa succedeva sempre.
Una volta a inizio serata, sempre con pochissima gente e pista vuota, stava suonando un po' di Ska, quando entrano due tipi stile Skin Head con un materasso, lo buttano in pista e cominciano a ballare come dei scemi un po' sopra un po' attorno al materasso. Dove avessero preso quel materasso nessuno lo sa, forse lo avevano trovato buttato accanto a un cassonetto dei rifiuti e gli era venuta l'idea. Succedeva così, nessuno ci faceva caso, nessuno si stupiva e nessuno interveniva. Loro volevano farlo e lo hanno fatto e tu che eri lì contento di averlo visto e che potevi dire, io quella sera dei due matti con il materasso c'ero.
Anche quel venerdì di cui vi racconto successe qualcosa. Un tipo era da solo che ballava in pista completamente vuota e si muoveva con un certo aplomb distaccato. Come dicevo potevano suonare un pezzo degli A Certain Ratio o dei Defunkt, roba così. Il tipo comincia a spogliarsi senza fretta, senza enfasi, con calma, fino a rimanere completamente nudo. Poi continuò a ballare così per un po' e poi, sempre ballando, ricomincio a rivestirsi. Senza fretta. Nessuno disse niente, nessuno si stupì, nessuno intervenne. Lo Slego aveva un suo personale bio-feed-back di autocontrollo automatico, regolato sulla massima tolleranza. Il tipo si sentiva di dover fare così e così ha fatto e tutti erano solidali con lui. Non c'è altro da dire.
Io ero stato tutto il tempo appoggiato a una colonna a bordo pista da solo. I miei amici erano in giro qua e là. I discorsi fatti all'Isola mi avevano un po' intristito. La tipa che avevo notato prima in realtà sembrava interessata più a uno con cui parlava al bar e mi sembrava molto contenta. Il tipo che si era spogliato aveva fatto quello che voleva fare e anche lui mi sembrava molto contento. L'unico che non era contento ero io che nonostante cercassi sempre di bere grosse sorsate dalla bottiglia della vita, per trovare un senso e una via, alla fine sapeva sempre di tappo, cioè la vita sapeva di tappo. Te la meni di continuo, ma alla fine la vita sa sempre di tappo e ti lascia in bocca quel sapore un po' così.
Ero lì assorto in questi pensieri quando un tipo mi chiede quando comincerà il concerto dei Neon. Io faccio spallucce e gli dico che non lo so. Appena si allontana mi accendo una sigaretta e mi dico a gran voce, ma chi cazzo sono questi Neon.
Per fortuna il d.j. in quel momento mi mette su “Chant No. 1” degli Spandau e cosi per allentare la pressione vado in pista e mi metto a ballare.
Ultima modifica di Macrelli Piero il 28/12/2023, 13:47, modificato 1 volta in totale.
Jacopo Serafinelli
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Messaggio da leggere da Jacopo Serafinelli »

A me il racconto è piaciuto, forse perché è stato come entrare in una macchina del tempo… ricordi di posti e situazioni… e poi sì… il fatto del tappo di bottiglia è vero… è un sapore che resta sempre in bocca o… almeno… quasi sempre!
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Maria Spanu
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L'ho letto in pochissimo tempo e l'ho apprezzato molto, per le riflessioni sollevate e, soprattutto per la scelta stilistica dello slang. Molto reale e capace di dare un'istantanea dei giovani. Non propriamente giovani di oggi, che non frequentano molto le discoteche e, più importante , non sanno neanche chi sono i Spandau Balllet :D :D
Un appunto, correggi l'errore nel titolo "Bullet" è, invece, BALLET, ma credo sia un errore di battitura.
A presto!
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Athosg
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Messaggio da leggere da Athosg »

Che dire? Lo Slego è sempre lo Slego e questi sono racconti a cui ci si affeziona perchè descrivono bene gli incredibili anni '80. A Milano ricordo l'Odissea 2001 e il Rolling Stone e li vicino il mitico Viridis. Felicemente nostalgico.
Andr60
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Gradevole racconto che recupera lo slang giovanile del tempo che fu. Ho apprezzato anche la citazione da Sheckley, uno degli autori di sf sociologica che preferisco. Per quanto riguarda l'uso delle virgole, posso solo dare questo consiglio: rileggere ad alta voce quanto si è scritto e, se manca il fiato, aggiungerne una. :)
Ultima modifica di Andr60 il 08/01/2024, 8:51, modificato 1 volta in totale.
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Alberto Marcolli
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commento I Don't Need This Pressure On (Chant No. 1, Spandau Ballet, 1981)

Messaggio da leggere da Alberto Marcolli »

… gran spolvero all'Isola in attesa… - gran spolvero all'Isola, in attesa…

… abbiamo già detto tu esageri… - … abbiamo già detto, tu esageri…

… che lì all'isola ci si divertiva … - presumo che all’isola si debba scrivere - all'Isola

Ci sono altre frasi in cui io ci metterei una virgola tra “principale” e “subordinata” –

… ricomincio a rivestirsi … refuso - ricominciò a rivestirsi

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Questa lunga citazione di nomi dei vari gruppi musicali fine anni settanta, molti da me mai ascoltati, mi ha messo fuori gioco. Forse metterne qualcuno in meno e descrivere un po’ la loro musica mi avrebbe più coinvolto, ma questo è un problema mio.
Il racconto si lascia leggere. Voto 3.
Macrelli Piero
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Re: I Don't Need This Pressure On (Chant No. 1, Spandau Ballet, 1981)

Messaggio da leggere da Macrelli Piero »

Vista la tua competenza in sintassi e punteggiatura, mi chiedo se lei non conosca una guida di riferimento per migliorare la mia scrittura. In realtà una certa anarchia lessicale fa parte della mia cifra stilistica, ma per tradire le regole, prima bisogna imparare a conoscerle.
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Fausto Scatoli
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Messaggio da leggere da Fausto Scatoli »

non mi è piaciuto molto.
bella l'idea di riportare un pezzo degli anno d'oro, ma il racconto è talmente pieno di errori d'ogni genere che non riesco ad apprezzarlo più di tanto.
consiglio una bella revisione generale, così potrà diventare una storia gradevole e piacevole.
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Marino Maiorino
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Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

Ciao Piero,

cosa votare? Il tuo racconto mi ha messo di fronte a questo dubbio.
Non mi sono riconosciuto nel racconto: la vita del "giovinastro" (parla il "nonno"...) non è mai stata per me (che tristezza, la mia gioventù...), quindi ogni possibilità di sentire empatia per ciò che hai scritto era nulla.
Nemmeno divertente: c'è un'evidente separazione tra il mio vissuto e il tuo protagonista che me lo fa guardare con compassione, il frutto insensato di una società vuota.
Ora, se fossi stato colto dal pensiero che era proprio questo squallore il tema del tuo racconto, allora avresti raccolto il mio massimo voto, però non è andata così. È che sembra una pagina di un lavoro molto più grande, tipo "Kristiana F. i ragazzi dello zoo di Berlino", e non delle più brillanti. Come tale, gli manca qualcosa nel descrivere i personaggi, un po' piatti e tratteggiati per sommi capi.
Che sia ben scritto non posso negarlo, ma mi manca la storia, mi manca il racconto.
Ti chiedo scusa se per questa gara non riesco a premiarti di più.
A presto
«Amare, sia per il corpo che per l'anima, significa creare nella bellezza» - Diotima

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