Come il fuoco di un falò
Come il fuoco di un falò
Non riusciva a rinunciarvi. Erano il suo punto di forza e le permettevano, tra l'altro, di nascondere le sue orecchie troppo grandi.
«È ora» sospirò «non posso più aspettare.» Aveva tergiversato a lungo, ma non poteva più permettersi di pagare le multe salate che riceveva di continuo. Suo marito l'aveva avvertita: «se non te li tagli tu, lo faccio io questa notte. Siamo in bancarotta ormai, un'altra multa e siamo rovinati.»
«Fatti forza, ci si fa l'abitudine, all'inizio ti senti strano, poi passa. Anzi magari ti piaci di più» questo le diceva la gente per convincerla.
Tutte storie. Lei non voleva farci l'abitudine, lei non si sarebbe mai piaciuta senza i suoi capelli.
«Ma è la legge, non può farci nulla» le ripeteva suo marito fino allo sfinimento.
Inutile continuare a chiedersi il perché di questo nuovo decreto. Non c'era un perché. Era solo l'ennesimo capriccio di chi li governava. Non c'era nessun motivo e non avevano neanche finto di trovarne uno.
Giornali e talk show si erano dati da fare per tentare di dare una spiegazione: avevano invitato ospiti illustri, giuristi, costituzionalisti, politici di alto rango. Ma niente da fare il motivo non saltava fuori. A saltar fuori di continuo invece erano le multe, gli arresti, i licenziamenti di chi non si assoggettava.
Le centinaia di proteste e manifestazioni organizzate in tutto il paese erano state represse con decisione.
I titolari delle catene di coiffeurs più prestigiose avevano preteso una spiegazione, picchiando i pugni su parecchi tavoli e facendo appello alla loro fama e al "Lei non sa chi ho pettinato io".
Modelle e indossatrici di fama mondiale avevano sfilato vestite solo dei loro lunghi capelli per protestare contro quell'imposizione.
Attori di cinema e teatro disperati avevano smesso di recitare: «come si fa a recitare una scena d'amore credibile se davanti hai una collega con la testa pelata» urlavano a chiunque li volesse ascoltare.
Attrici di cinema e teatro disperate avevano smesso di recitare: «come puoi recitare una scena d'amore credibile se davanti hai un collega che scoppia a ridere appena ti guarda» urlavano a chiunque le volesse ascoltare. Ma niente da fare, non li aveva ascoltati nessuno.
Le bambine piangevano disperate rimirando la loro collezione di nastri, nastrini, forcine e mollette, mentre psicologi e luminari dell'età evolutiva discutevano sull'opportunità o meno di rasare anche le bambole.
Al convegno: "Una barbie dai capelli fluenti, valido aiuto per la crescita armonica delle nostre fanciulle?" gli stessi luminari, in disaccordo tra loro, si erano accapigliati per ore.
I negozi di parrucchieri avevano tentato il colpaccio triplicando i prezzi delle rasature, con il risultato che il colpaccio l'avevano fatto i rivenditori di rasoi elettrici.
Una nota industria di cosmetici aveva lanciato sul mercato una crema che aveva del miracoloso: con due o tre applicazioni i capelli non sarebbero più ricresciuti. Qualcosa vendette, ma per altre parti del corpo. Nessuno osò mettersela in testa. Chissà, magari il governo un giorno ci avrebbe ripensato…
Lucienne era giunta alla consapevolezza di essere sola in quella sua disperazione. Il marito non voleva e non poteva comprenderla. Affetto da un'alopecia precoce dall'età di 18 anni, pareva esaltato da questa nuova prospettiva. Finalmente non si sarebbe più dovuto preoccupare della sua testa pelata, anzi! Dispensava consigli su come proteggersi dai raggi solari, regalava cappelli e pacche sulle spalle: «viviti questa tua nuova vita da uomo pelato e cogli tutte le opportunità che ne verranno» diceva agli amici.
Con un sospiro Lucienne prese il rasoio con una mano e infilò l'altra tra i capelli. Li sentì morbidi, vellutati, profumati.
Un raggio di sole penetrò in quel momento dalla finestra incendiando il suo capo in mille colori. «Come la fiamma di un falò…» le parve quasi di sentire la voce di sua madre.
Buttò allora il rasoio in un angolo della stanza. «Stupida, stupida, stupida» urlò a se stessa. «Perché non mi sono decisa prima!»
Prese un borsone, vi gettò qualcosa alla rinfusa e cercò le chiavi dell'auto. Era ora di fare quello che aveva in animo di fare da quando era iniziata quella storia.
Se c'era un modo per uscire da quella assurda situazione era quello di unirsi a loro. Avrebbe passato la sua vita in clandestinità e combattuto con loro fino alla morte, se necessario.
Sapeva bene dove trovarli. L'avevano avvicinata un giorno per strada mentre piangeva con l'ennesima multa tra le mani e le avevano passato un biglietto di nascosto «Vieni con noi» avevano bisbigliato «raggiungici. Abbiamo bisogno anche di te. Firmato F.L.C. Fronte Liberazione Capelli.»
- Isabella Galeotti
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E quel N.d.R. tra parentesi che al massimo avrebbe potuto essere un N.d.A., ma che avresti fatto meglio comunque a evitare, a mio parere, perché sega l'effetto comico, anziché rafforzarlo.
Il racconto, per come lo vedo io, è un tentativo di allegoria sulla povertà di senso della società odierna, costretta a subire un diritto positivo che ha perso ogni contatto con il diritto naturale. E quindi impossibile non solo da prevedere, ma pure da spiegare ai suoi destinatari.
Tentativo di allegoria, dicevo, perché l'intero racconto ha una vena umoristica tale da disperdere il messaggio che di sicuro l'autore si era prefisso. Vena umoristica, e non ironica; la differenza si sente.
A rileggerti
Re: Come il fuoco di un falò
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Il tono umoristico è godibile, ci leggo un'allegoria delle tante piccole e grandi cose che accettiamo di perdere, più o meno inconsapevolmente, a causa dei chiari di luna del sistema...
Re: Come il fuoco di un falò
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Verso la fine il racconto scivola in una direzione più prevedibile: la protagonista che si unisce alla resistenza è quasi un clichè, speravo in una deriva più surreale, date le premesse. Non è una critica ma solo la mia opinione.
Buono lo stile, la storia fa sorridere e pensare, sulle ripetizioni hai già detto la tua e non mi sento di criticarle. Niente male.
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Re: Come il fuoco di un falò
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