Brigate Rosa
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Brigate Rosa
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ricambio la visita. Abbiamo scritto due racconti in un certo senso contrapposti. Tu parli di valori: “lei era una rappresentante del proletariato, della lotta contro il potere dei padroni… il regime”, di tempi che io non ho vissuto, ma letto, o visto cose su YT o in TV di quel periodo storico. Io parlo di quella “deriva” capitalista da palcoscenico di oggi, in cui anche ragazzine, come Isabella, ne sono uno stereotipo, ma senza voler generalizzare. Il tuo racconto è scritto molto bene, di immediata lettura, non vedo nessun errore. Forse è un po’ breve, ma compiuto nella storia/messaggio che vuole veicolare. Un po’ controverso il finale:
“la risposta alla sua domanda si fa sentire, altèra, nella vettura.
«No.»”
L'amica di lotta pronuncia un secco "no". Forse rinnega/rimpiange una battaglia che non si è mai conclusa del tutto perché fatta in modo sbagliato? Oppure è semplicemente consapevole che la sua appartenenza politica degli anni '70 non ha più senso oggi? E quindi, secondo lei, è inutile rivangare un passato di lotta che, seppur significativo all'epoca, appare sbiadito e fuori luogo nella "politica da palcoscenico" del presente. Ma potrebbe anche essere delusa dall'evoluzione degli eventi… o addirittura non essere la persona che la protagonista crede di aver riconosciuto. Inoltre, il termine “brigata” oggi, ma credo pure all’epoca, suona molto come terrorista/sovversivo/paramilitare, e potrebbe essere questo l’aspetto discriminante del suo “no”.
Mi sciogli questo dubbio?
Noto questa tua svista:
«Scusi, ma noi ci conosciamo?».
Dopo il punto interrogativo, non si mette il punto fermo.
Tante belle cose, Lodovico
Antonio Giordano
Voto 5 per un racconto piccolo ma significativo e che fa da contrappasso, per contrasto, al mio.
P.S. Rispondo ora, perché prima non riuscivo a collegarmi al sito e a dare il voto.
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Re: Commento
La protagonista ha cambiato vita, si è "imborghesita" (prendi questo aggettivo solo come spiegazione, non è un giudizio, non mi trovo né da una parte né dall'altra, o forse in parte da entrambe), ha perso gli ideali della lotta di classe e si è trovata "agiata", posizione comoda.
A questo punto interagire con ciò che era prima diventa difficile. Ho un parente sessantottino che ha mantenuto, in parte le sue idee, ma ha vissuto una vita da dirigente di azienda. Niente di male, anzi, ma ci si trova nella vita, non dico a cambiare le proprie idee o i propri ideali, ma ad "adattarsi" alla situazione. Questo era quello che volevo dire nel racconto.
Per quanto riguarda il punto (.) dopo il punto interrogativo (?) se c'è una cosa che adoro di questo sito è la libertà e l'impegno di trovare i difetti.
Scrivo ormai da parecchio tempo. Ciò non toglie che tutti noi possiamo sbagliare qualcosa. E a me fa un piacere immenso quando qualcuno mi fa notare un errore, una svista, vedila come vuoi.
Sono cresciuto immensamente con i commenti in questo sito e l'amico Massimo Baglione lo sa.
Ben vengano le segnalazioni, chi si offende sbaglia.
Yakamoz ha scritto: ↑25/03/2024, 16:55 Ciao Lodovico,
ricambio la visita. Abbiamo scritto due racconti in un certo senso contrapposti. Tu parli di valori: “lei era una rappresentante del proletariato, della lotta contro il potere dei padroni… il regime”, di tempi che io non ho vissuto, ma letto, o visto cose su YT o in TV di quel periodo storico. Io parlo di quella “deriva” capitalista da palcoscenico di oggi, in cui anche ragazzine, come Isabella, ne sono uno stereotipo, ma senza voler generalizzare. Il tuo racconto è scritto molto bene, di immediata lettura, non vedo nessun errore. Forse è un po’ breve, ma compiuto nella storia/messaggio che vuole veicolare. Un po’ controverso il finale:
“la risposta alla sua domanda si fa sentire, altèra, nella vettura.
«No.»”
L'amica di lotta pronuncia un secco "no". Forse rinnega/rimpiange una battaglia che non si è mai conclusa del tutto perché fatta in modo sbagliato? Oppure è semplicemente consapevole che la sua appartenenza politica degli anni '70 non ha più senso oggi? E quindi, secondo lei, è inutile rivangare un passato di lotta che, seppur significativo all'epoca, appare sbiadito e fuori luogo nella "politica da palcoscenico" del presente. Ma potrebbe anche essere delusa dall'evoluzione degli eventi… o addirittura non essere la persona che la protagonista crede di aver riconosciuto. Inoltre, il termine “brigata” oggi, ma credo pure all’epoca, suona molto come terrorista/sovversivo/paramilitare, e potrebbe essere questo l’aspetto discriminante del suo “no”.
Mi sciogli questo dubbio?
Noto questa tua svista:
«Scusi, ma noi ci conosciamo?».
Dopo il punto interrogativo, non si mette il punto fermo.
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P.S. Rispondo ora, perché prima non riuscivo a collegarmi al sito e a dare il voto.
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Re: Commento
Lodovico ha scritto: ↑26/03/2024, 8:21 Grazie mille del tuo commento.
La protagonista ha cambiato vita, si è "imborghesita" (prendi questo aggettivo solo come spiegazione, non è un giudizio, non mi trovo né da una parte né dall'altra, o forse in parte da entrambe), ha perso gli ideali della lotta di classe e si è trovata "agiata", posizione comoda.
A questo punto interagire con ciò che era prima diventa difficile. Ho un parente sessantottino che ha mantenuto, in parte le sue idee, ma ha vissuto una vita da dirigente di azienda. Niente di male, anzi, ma ci si trova nella vita, non dico a cambiare le proprie idee o i propri ideali, ma ad "adattarsi" alla situazione. Questo era quello che volevo dire nel racconto.
Per quanto riguarda il punto (.) dopo il punto interrogativo (?) se c'è una cosa che adoro di questo sito è la libertà e l'impegno di trovare i difetti.
Scrivo ormai da parecchio tempo. Ciò non toglie che tutti noi possiamo sbagliare qualcosa. E a me fa un piacere immenso quando qualcuno mi fa notare un errore, una svista, vedila come vuoi.
Sono cresciuto immensamente con i commenti in questo sito e l'amico Massimo Baglione lo sa.
Ben vengano le segnalazioni, chi si offende sbaglia.
Grazie, Lodovico, per la tua spiegazione, ma in realtà avevo già intuito che si fosse “imborghesita”. Ho chiesto solo per capire di più, perché potendo approfittare di un collegamento diretto con l’autore, mi sembrava giusto farlo. La gara, per come la vedo io, è un pretesto per confrontarsi, per chi ama scrivere, e nel confronto, se uno nota una svista, un refuso o può dare un consiglio personale, senza alcuna presunzione di superiorità, è una cosa buona. Pure io vengo corretto. Sono umano, sbaglio. Sempre meglio un commento critico e lecito che un banale commento di cortesia, no?
A rileggerci…
Cari saluti, Lodovico
Antonio
Commento
La protagonista del racconto ha completamente rinnegato il suo passato da ribelle: possiede un I-Phone, si è sbiancata i denti, si è integrata nel mondo del consumo. Ed ecco che accade l'imprevedibile: gli anni '70 che ritornano, la vecchia compagna di lotta, ma quanto è cambiata. Appare stanca e sfiduciata, poco curata nell'aspetto, una metafora della classe operaia umiliata e offesa. Le due si trovano di fronte, e la prima non se la sente di rapportarsi alla seconda: si vergogna del proprio passato, oppure di aver abbandonato al suo destino la ragazza di più umili origini? L'autore ci lascia nel dubbio, ognuno può trarre le sue conclusioni.
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Un racconto che mi getta addosso un velo di tristezza e delusione perché, come diceva Gaber: "La mia generazione ha perso".
Jacopo
°
Il senso di quanto scrivi è di seguito rappresentato:
"Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola,
compagno per niente
ti sei salvato
o sei entrato in banca pure tu?
(Antonello Venditti)
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Il racconto ha, secondo me, la giusta lunghezza, e pur essendo di non troppe parole, racchiude tutto un significato importante, dire altro, sarebbe stato superfluo. Bello l'incipit, che introduce nell'incubo quotidiano di chi è costretto a servirsi dei mezzi pubblici per portare il lettore a ben altre riflessioni. Bravo, come sempre. Voto 5
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Un passaggio mi ha particolarmente fatto riflettere: quando la protagonista si trova in mano un arma, ha solo voglia di spaventare il professore, eppure parte il colpo, succede la tragedia. Ecco leggendo lo stato mentale della protagonista, mi è venuto in mente di chiedermi: "quanto spesso capita che siamo armati di buone intenzioni, ma abbiamo in mano gli strumenti sbagliati? Quanto velocemente si passa dalla parte sbagliata, perché non si ha o la capacità di discernimento di quali siano gli strumenti giusti oppure perché banalmente questi non sono disponibili?"
E mi sono chiesta anche se davvero oggi stiamo dando validi strumenti ai giovani, anche per contrastare le ingiustizie o se solo gli stiamo buttando addosso vuote "campagne idrologiche " a cui aggrapparsi per distoglierli dal pensare davvero.
Tornando al racconto davvero molto ben scritto ed esposto, i miei complimenti.
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Re: Commento
Esatto, entrambe le cose, disagio per le azioni fatte (anche non del tutto volontariamente) nel passato ed essere passata "dall'altra parte della barricata".Andr60 ha scritto: ↑26/03/2024, 18:49 Quanti ex-sessantottini pentiti si riciclarono a cantori dei padroni che prima avevano combattuto? Sicuramente più di quelli "duri e puri" che rimasero nelle loro posizioni, pagando di persona un conto salato, escludendo ovviamente quelli che scelsero la lotta armata. Di sicuro il potere odierno fa di tutto per convincerci che la lotta di classe è finita (e che hanno vinto i ricchi), ma la Storia è strana, a volte enigmatica. Basta che qualche filosofo da strapazzo ne evochi la sua fine, che subito questa riprende a correre...
La protagonista del racconto ha completamente rinnegato il suo passato da ribelle: possiede un I-Phone, si è sbiancata i denti, si è integrata nel mondo del consumo. Ed ecco che accade l'imprevedibile: gli anni '70 che ritornano, la vecchia compagna di lotta, ma quanto è cambiata. Appare stanca e sfiduciata, poco curata nell'aspetto, una metafora della classe operaia umiliata e offesa. Le due si trovano di fronte, e la prima non se la sente di rapportarsi alla seconda: si vergogna del proprio passato, oppure di aver abbandonato al suo destino la ragazza di più umili origini? L'autore ci lascia nel dubbio, ognuno può trarre le sue conclusioni.
Grazie del commento.
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Re: Commento
Esattamente, anche se il significato di "ti sei salvato" è un po' ambiguo. Nella vita si può anche cambiare. Il brutto è quando si cambia per meri motivi economici o di comodità.Jacopo Serafinelli ha scritto: ↑27/03/2024, 18:51 @Lodovico
Un racconto che mi getta addosso un velo di tristezza e delusione perché, come diceva Gaber: "La mia generazione ha perso".
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Il senso di quanto scrivi è di seguito rappresentato:
"Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola,
compagno per niente
ti sei salvato
o sei entrato in banca pure tu?
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Grazie del commeto.
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Re: commento
Grazie mille del commento, detto questo la lunghezza del racconto è il mio standard, fatico a scrivere racconti sopra i 10.000 caratteri, ma non sotto i 2.000...Laura Traverso ha scritto: ↑09/04/2024, 21:49 Un bel racconto che ricorda i tempi difficili del passato, colmi di ideologia, di contestazioni e poi di "tradimenti" di molti, così come anche la protagonista che si è piegata ai più, scegliendo la vita borghese, comoda, e fingendo pure di non riconoscere l'amica di tante lotte e ideali condivisi.
Il racconto ha, secondo me, la giusta lunghezza, e pur essendo di non troppe parole, racchiude tutto un significato importante, dire altro, sarebbe stato superfluo. Bello l'incipit, che introduce nell'incubo quotidiano di chi è costretto a servirsi dei mezzi pubblici per portare il lettore a ben altre riflessioni. Bravo, come sempre. Voto 5
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Re: Commento
Grazie mille del commento, nemmeno io ho vissuto quei tempi, anche perché nel '68 avevo quattro anni, però ho un cugino di Milano che ha vissuto quegli anni e ho conosciuto lui e molti suoi amici. Lui, però, nonostante abbia fatto carriera, è rimasto un sessattottino dentro. Come alcuni dei suoi amici che hanno mantenuto parte dei loro ideali nonostante la vita li abbia portati "dall'altra parte".Marirosa ha scritto: ↑16/04/2024, 9:21 Il racconto si lascia leggere davvero bene, scorre, è scritto perfettamente. Le immagini emergono egregiamente dalle parole, ed è un racconto che spinge a molte riflessioni. È un accurato spaccato di vita ed ideali di un tempo che non ho vissuto in prima persona (non ero ancora nata!) Ma che ho appreso bene nei testi, canzoni, poesie, saggi, etc, ma anche nei racconti di chi invece lo ha visto e vissuto. È molto vero, lascia un po' l' amaro in bocca sia perché la protagonista "tradisce" l' amica nel momento in cui accetta che sia lei a prendersi la colpa, sia perché alla fine rinnega i valori che aveva scelto di diffondere. Ma quest' amaro lasciato dal racconto porta a farsi molte domande sull'animo umano.
Un passaggio mi ha particolarmente fatto riflettere: quando la protagonista si trova in mano un arma, ha solo voglia di spaventare il professore, eppure parte il colpo, succede la tragedia. Ecco leggendo lo stato mentale della protagonista, mi è venuto in mente di chiedermi: "quanto spesso capita che siamo armati di buone intenzioni, ma abbiamo in mano gli strumenti sbagliati? Quanto velocemente si passa dalla parte sbagliata, perché non si ha o la capacità di discernimento di quali siano gli strumenti giusti oppure perché banalmente questi non sono disponibili?"
E mi sono chiesta anche se davvero oggi stiamo dando validi strumenti ai giovani, anche per contrastare le ingiustizie o se solo gli stiamo buttando addosso vuote "campagne idrologiche " a cui aggrapparsi per distoglierli dal pensare davvero.
Tornando al racconto davvero molto ben scritto ed esposto, i miei complimenti.
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Le due protagoniste si rivedono, ma la giovinezza è ormai passata e le emozioni legate a essa sono ormai parte di un'altra vita.
Si potrebbe ragionare dell'evoluzione di una delle due come qualcosa di positivo, come anche della coerenza dell'altra come una virtù.
Gli spunti di riflessione sono molteplici e sei stato bravo a raccontare invece che imporre un punto di vista specifico.
La scrittura è essenziale, pulita.
Ho apprezzato il racconto è il modo in cui è stato scritto.
Complimenti.
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Re: Commento
Grazie mille, ho apprezzato molto il commento, e il "no" della protagonista è pesantissimo, come dici tu, e pure un po' vergognoso, nonostante si parli di azioni illegali.Letylety ha scritto: ↑18/04/2024, 23:41 Un racconto che in diecimila battute parla di un passato denso di speranze e avvenimenti. Quello che più mi ha colpito è la prosa armoniosa e veramente efficace. Alla fine penso che la protagonista pronunci un "no" pesantissimo, pieno di sensi di colpa aumentati da quel bacio che non ha dimenticato. Non avrà dormito quella notte, mentre l'indomani...sarà un altro giorno.
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Re: Commento
Il tempo passa e pure gli ideali cambiano. Non che giustifichi le azioni della lotta armata, anzi, ma erano altri tempi, altre vite, altre situazioni.Giovanni p ha scritto: ↑20/04/2024, 10:25 Un racconto che parla del tempo che passa e che lascia il segno.
Le due protagoniste si rivedono, ma la giovinezza è ormai passata e le emozioni legate a essa sono ormai parte di un'altra vita.
Si potrebbe ragionare dell'evoluzione di una delle due come qualcosa di positivo, come anche della coerenza dell'altra come una virtù.
Gli spunti di riflessione sono molteplici e sei stato bravo a raccontare invece che imporre un punto di vista specifico.
La scrittura è essenziale, pulita.
Ho apprezzato il racconto è il modo in cui è stato scritto.
Complimenti.
Tutto è un po' esagerato e romanzato, ma sono storie che ho "sentito" e che mi hanno lasciato una memoria di quei tempi che non ho vissuto di persona, ma attraverso amici "sessantottini" che quei tempi li hanno visti dal vivo. Grazie!
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E quindi nel tuo antefatto costruisci i due idealtipi della bella e buona e della brutta e cattiva.
Se l'antefatto funziona, con la costruzione dei personaggi, forse con l'analessi e il ribaltamento seguente direi meno, soprattutto nel finale, che scioglie e spiega, ma non riesce a convincermi.
Forse perché è tutto troppo semplice, l'idea è lineare, ma qualcosa stride: il professore ferito ha certo visto chi delle due gli ha sparato alla gamba e comunque ha visto che hanno agito insieme. E le due amiche potevano benissimo scappare tutt'e due, mentre sembra che una aspetti la polizia proprio per farsi prendere e così dare avvio al ribaltamento delle posizioni che è il tema del racconto. Quindi la costruzione artificiale si nota, forse troppo. Il particolare della pistola non dice nulla, se non che una ha più coraggio ed è più altruista dell'altra, come il finale dimostra appunto ed è strumentale alla costruzione dei caratteri e al finale della storia. Le due donne hanno agito insieme, chi è stata a sparare è quasi irrilevante in un processo ed è improbabile che la studentessa borghese non sia uscita anche lei con le ossa rotte dall'esperienza della lotta armata di quegli anni. Se poi aveva una pistola in mano, con un colpo in canna, qualcuno l'aveva procurata e aveva indicato il bersaglio, non l'aveva trovata nell'uovo di Pasqua. Un gruppo armato non si muoveva per caso. Mentre così come l'hai descritto l'episodio sembra una bravata. Ma allora perché ricordare le BR e la lotta armata? Avrebbe avuto più senso un episodio di bullismo qualsiasi da cui poi una delle due si era dissociata.
Ma il punto in cui vuoi condurre il lettore dipende dal non detto sulla vita dei due personaggi. È buona la donna che ha scontato una pena per un fatto che non ha commesso, evidentemente senza parlare e tradire l'amica, è cattiva l'altra che si è rifatta una vita senza pensare al male che ha fatto, a chi ha sparato e a chi ha sopportato il fardello in sua vece, e che per giunta fa finta di non riconoscere chi le ha salvato il futuro. Mi spiace, forse una caratterizzazione del genere è troppo facile, troppo costruita, e io non riesco a crederci.
E quel Brigate Rosa del titolo, in contrapposizione alle Rosse. Forse può venire in mente solo a chi non ha vissuto quegli anni, e il ricordo è sbiadito perché mediato dai ricordi altrui. Ma se la memoria, per forza di cose, non aiuta, esiste sempre la storia.
Tuttavia è un ottimo racconto, la mano è quella di un professionista direi, ma purtroppo mi hai convinto solo in parte.
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Re: Commento
Beh, che dire, una critica sensatissima e condivisibile. In effetti ho vissuto quegli anni solo per sentito dire, concordo assolutamente per quanto riguarda i difetti di trama, primo fra tutti quello che riguarda la responsabilità della sparatoria e l'avere "costruito" due figure un po' troppo stereotipate.Namio Intile ha scritto: ↑24/04/2024, 11:19 Il punto di vista è quello della protagonista, e il narratore è un io narrante. L' espediente dei due distinti tempi verbali, per il passato e per il presente funziona. Le similitudini iniziali sono riuscite (le tende di un sipario per le porte del tram, la fessura in uno scoglio per il varco tra la folla) e lasciano presagire al lettore un altro tipo di racconto rispetto a quello che leggerà. D'altra parte sin dalle prime battute riesci a costruire una figura femminile che ha raggiunto una certa posizione sociale, con i tacchi la pelliccia i denti bianchissimi l'auto che non parte, e che si trova a disagio tra la folla costretta a servirsi dei mezzi pubblici. Allo stesso modo fai con l'antagonista, che è il suo esatto opposto.
E quindi nel tuo antefatto costruisci i due idealtipi della bella e buona e della brutta e cattiva.
Se l'antefatto funziona, con la costruzione dei personaggi, forse con l'analessi e il ribaltamento seguente direi meno, soprattutto nel finale, che scioglie e spiega, ma non riesce a convincermi.
Forse perché è tutto troppo semplice, l'idea è lineare, ma qualcosa stride: il professore ferito ha certo visto chi delle due gli ha sparato alla gamba e comunque ha visto che hanno agito insieme. E le due amiche potevano benissimo scappare tutt'e due, mentre sembra che una aspetti la polizia proprio per farsi prendere e così dare avvio al ribaltamento delle posizioni che è il tema del racconto. Quindi la costruzione artificiale si nota, forse troppo. Il particolare della pistola non dice nulla, se non che una ha più coraggio ed è più altruista dell'altra, come il finale dimostra appunto ed è strumentale alla costruzione dei caratteri e al finale della storia. Le due donne hanno agito insieme, chi è stata a sparare è quasi irrilevante in un processo ed è improbabile che la studentessa borghese non sia uscita anche lei con le ossa rotte dall'esperienza della lotta armata di quegli anni. Se poi aveva una pistola in mano, con un colpo in canna, qualcuno l'aveva procurata e aveva indicato il bersaglio, non l'aveva trovata nell'uovo di Pasqua. Un gruppo armato non si muoveva per caso. Mentre così come l'hai descritto l'episodio sembra una bravata. Ma allora perché ricordare le BR e la lotta armata? Avrebbe avuto più senso un episodio di bullismo qualsiasi da cui poi una delle due si era dissociata.
Ma il punto in cui vuoi condurre il lettore dipende dal non detto sulla vita dei due personaggi. È buona la donna che ha scontato una pena per un fatto che non ha commesso, evidentemente senza parlare e tradire l'amica, è cattiva l'altra che si è rifatta una vita senza pensare al male che ha fatto, a chi ha sparato e a chi ha sopportato il fardello in sua vece, e che per giunta fa finta di non riconoscere chi le ha salvato il futuro. Mi spiace, forse una caratterizzazione del genere è troppo facile, troppo costruita, e io non riesco a crederci.
E quel Brigate Rosa del titolo, in contrapposizione alle Rosse. Forse può venire in mente solo a chi non ha vissuto quegli anni, e il ricordo è sbiadito perché mediato dai ricordi altrui. Ma se la memoria, per forza di cose, non aiuta, esiste sempre la storia.
Tuttavia è un ottimo racconto, la mano è quella di un professionista direi, ma purtroppo mi hai convinto solo in parte.
Grazie del commento e dell'apprezzamento per la scrittura. A presto!
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Buona Alternativa alla Lunga e Illogica Anzianità
Siamo nel 2106. BALIA accudisce gli uomini con una logica precisa e spietata, in un mondo da lei plasmato in cui le persone nascono e crescono in un contesto utopico di spensieratezza e di bel vivere. BALIA decide sul controllo delle nascite e sulle misure sanitarie da adottare per mantenere azzerato l'incremento demografico e allungare inverosimilmente la vita di coloro che ha più a cuore: gli anziani.
Esiste tuttavia una fetta di Umanità che rifiuta questa utopia, in quanto la ritiene una distopia grave e pericolosa.
BALIA ha nascosto il Passato ai suoi Assistiti, ma qualcuno di questi ha conservato i propri ricordi in un diario e decide di trascriverli in una rischiosa autobiografia. Potranno, questi ricordi, ripristinare negli Assistiti quell'orgoglio di vivere ormai sopito? E a che prezzo?
Di Ida Dainese e Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
Storie Gotiche, del Terrore e del Mistero
antologia di opere ispirate alla paura dell'ignoto
Nella ricerca di un tema che potesse risultare gradito a più autori, ci è sembrato infine appropriato proporre un'antologia di opere il cui fattor comune fosse il brivido. Un termine per molti versi ingannevole, almeno quanto lo sono certe credenze e immagini che la ragione volutamente ignora, o perfino deride. Eppure, l'ignoto ci aspetta al varco, silenzioso e paziente, per catapultarci nello strapiombo degli incubi o nel vortice di ansie e desideri repressi.
A cura di Roberto Virdo'.
Contiene opere di: Ida Dainese, Francesca Paolucci, Marcello Rizza, Fausto Scatoli, Annamaria Ricco, Francesco Cau, Valentino Poppi, Mario Flammia, Essea, Umberto Pasqui, Enrico Teodorani, Roberto Masini, Maria Perrella, Giacomo Baù, Eliseo Palumbo, Selene Barblan, Stefano Bovi, Ibbor OB, Andrea Teodorani, Simona Geninazza, Lidia Napoli, Mario Malgieri, Michele Silvi, Ida Daneri, Alessandro Mazzi.
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Biblioteca labirinto
Cinque scaffali di opere concatenate per raccontare libri, biblioteche e personaggi letterari
Riportare la lettura e la biblioteca al centro dell'attenzione dovrebbe essere un dovere di ciascuno di noi. Se in qualche misura ci riesce una raccolta di racconti non si può che gioirne, nella speranza che possa essere contagioso, come deve esserlo tutto ciò che ci spinge a riflettere e a interrogarci sull'essenza del nostro esistere.
A cura di Lorenzo Pompeo e Massimo Baglione.
introduzione del Prof. Gabriele Mazzitelli.
Contiene opere di: Alberto De Paulis, Monica Porta, Lorenzo Pompeo, Claudio Lei, Nunzio Campanelli, Vittoria Tomasi, Cristina Cornelio, Marco Vecchi, Antonella Pighin, Nadia Tibaudo, Sonia Piras, Umberto Pasqui, Desirée Ferrarese.
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