Quando il mondo va a rotoli…
Quando il mondo va a rotoli…
«Cosa vuoi che sia un dolorino al petto che va e che viene e un po’ di fiatone quando faccio le scale!» aveva tentato di replicare lui.
«Lascialo dire al medico quel che hai. Alla tua età, Peppino, se non ti tieni curato finisci male e in fretta.» Santa donna sua moglie, forse un pochino troppo ansiosa.
Non gli era rimasto altro da fare, quindi, che andare dal dottor Bianchini per un controllo.
Bravo medico il dottor Bianchini, fidato, preciso, paziente. Talmente bravo che la fila fuori dal suo ambulatorio era sempre molto lunga, come pure l’attesa.
Peppino era arrivato presto e s’era portato un giornale. Prima di lui c’erano solo tre persone, con un rapido calcolo stabilì che se la sarebbe cavata con un’oretta di attesa.
«Beh, poteva andare peggio» mormorò inforcando gli occhiali.
Indeciso tra la pagina sportiva e quella della politica, optò per l’articolo dell’ultima sconfitta della sua squadra di calcio. «Ma guarda questi! E danno pure la colpa all’allenatore…» borbottò sbuffando dopo poco.
«Hai ragione Peppino, guadagnano più dello scia di Persia e neanche passano il turno.»
«Oh, ciao Mario. Non t’ho visto arrivare» rispose chiudendo il giornale, una chiacchierata con l’amico era decisamente meglio che leggere certi articoli.
«Come mai sei qui?» gli chiese Mario.
«Ah, non lo so, chiedilo a mia moglie, e tu?»
«Artrite da non dormirci la notte, spero mi cambi la cura il dottore, altrimenti son rovinato.»
«Che ci vuoi fare, siam proprio vecchi! Sembriamo…» La fine della frase gli morì sulle labbra.
La porta d’ingresso s’era aperta all’improvviso e insieme ad una ventata di aria frizzante stava entrando in ambulatorio un giovanotto «sulla trentina occhio e croce» stimò Peppino.
L’uomo si guardò intorno senza dire una parola e si appoggiò al muro. Lo sguardo cupo e l’espressione accigliata avevano zittito tutti quanti, nessuno osava più fiatare. Sembrava irrequieto, spostava il peso da una gamba all’altra piegandosi sulle ginocchia e girando lo sguardo a destra e a manca alla ricerca probabilmente di un posto libero.
«Vuole sedersi? Si accomodi, sto volentieri un po’ in piedi» Peppino si alzò e cedette il posto all’uomo il quale si sedette rapido e silenzioso.
«Ohé giovanotto, non si ringrazia alla tua età?» lo apostrofò la signora Ilde.
In quel momento la porta dello lo studio si aprì e ne uscì un paziente. «Tocca me» squittì la signora Rosalinda alzandosi lentamente appoggiata al suo bastone. Fu più veloce di lei il nuovo arrivato, con uno scatto fulmineo si tirò su dalla sedia ed entrò nello studio.
Tutti i presenti ammutolirono sbalorditi. Dal dott. Bianchini una cosa così non s’era mai vista.
«Ma chi si crede di essere quello lì? Roba da entrare e tirarlo fuori.»
«Sarà un forestiero, non è mica uno dei nostri quello lì, poco ma sicuro.»
«Straniero o italiano quanto esce mi sente» sentenziò indignata la signora Rosalinda.
«Sua madre, sua madre è da biasimare per non avergli insegnato un po’ di educazione, ai miei tempi la insegnavano l’educazione, eccome! Se non dicevo grazie e buona sera mi beccavo uno scappellotto sulla testa» borbottò il signor Aristide.
«Peppino non dici niente te? Gli hai ceduto il posto e neanche grazie ti ha detto!»
«Va beh, che ci vogliamo fare, avrà avuto altro per la testa.»
«Altro per la testa? Ma cosa stai dicendo, perché io forse non ho altro per la testa? Ma non divento mica maleducata quando ho altro per la testa. Peppino sveglia! Sei troppo buono tu, qui a essere troppo buoni ci fregano tutti.»
«Ma avete visto che faccia aveva? Magari stava proprio male…» provò a insistere Peppino.
«Ah, adesso dovrebbe farmi pure pena? No, caro mio! Mi ha fatto più pena la Rosalinda che doveva entrare e invece ha perso il posto» ribatté la signora Ilde.
«Mah, aveva una faccia... di uno che non se la sta passando troppo bene.»
«Ah, perché noi ce la spassiamo tutti quanti, invece. Siam tutti qua per divertirci e stare un po’ in compagnia!»
«Vero, però…» mormorò Peppino, poi si fermò. Non aveva voglia di continuare la discussione, quel giovane gli era sembrato innocuo tutto sommato, forse un filo maleducato, sicuramente preoccupato. All’improvviso sentì il bisogno di uscire da quella stanza, faceva troppo caldo e s’era annoiato ad ascoltar tutti quei discorsi da comari.
«Vado a prendere una boccata d’aria, tanto a me tocca tra un po’» disse a mo’ di saluto.
«Certo che ti tocca tra un po’, se lasciamo passare chiunque a noi non tocca più» gli rispose secca la signora Ilde.
Appena fuori Peppino si lasciò cadere sulla panca sotto il grande tiglio al di là del marciapiede. Chiuse gli occhi e appoggiò il capo al tronco dell’albero; il tepore del sole che filtrava tra i rami e il fruscio delle foglie placarono a poco a poco il suo malumore.
Cercò nella tasca la sua pipa, sentiva il desiderio di farsi la prima fumatina della giornata. Quella santa donna di sua moglie gli stava facendo la testa grossa così in quei giorni: «Smetti di fumare prima che sia troppo tardi, pensa ai tuoi polmoni, pensa alla tuo cuore.» «Quasi quasi smetto davvero, non fosse altro che per non sentirla più borbottare» pensò lui per la milionesima volta.
Il cigolio della porta lo ridestò dal torpore. Sull’uscio era apparso il giovane sconosciuto. Fermo sulla soglia con lo sguardo fisso ai fogli che teneva tra le mani parve in procinto di scoppiare in lacrime. Peppino balzò in piedi, si avvicinò e tenendolo per un braccio lo accompagnò verso la panchina. L’uomo si lasciò cadere, lasciò cadere anche quel che aveva in mano e con la testa tra le mani cominciò a piangere. Un pianto silenzioso, sommesso, disperato.
Peppino raccolse i fogli e si sedette accanto a lui, in silenzio. «Cosa gli dico? Cosa si dice a un uomo che piange?» pensò «bisognerà pur dir qualcosa. Non sono bravo in queste cose io, ci vorrebbe quella santa donna di mia moglie, lei sì che saprebbe cosa fare.»
Dopo un tempo che a Peppino parve interminabile la porta dell’ambulatorio si aprì di nuovo e ne uscì la signora Rosalinda la quale, scorto Peppino e l’uomo seduto accanto a lui, si avvicinò con fare deciso e l’aspetto di chi non vede l’ora di sistemare la faccenda.
Avvicinandosi però, rallentò il passo e le parole gli morirono tra le labbra.
«Peppino, che succede?» chiese con lo sguardo.
«Non so» rispose muto l’uomo. La donna fissò ancora per un attimo la scena, poi girò intorno alla panca e attraversò la strada.
Peppino allungò il suo fazzoletto lindo e ben stirato. Un abbozzo di sorriso sfiorò il suo viso dell’uomo.
«Ora me ne vado, mi scusi lei con gli altri dentro, non volevo…»
«Tenga, penso ne abbia bisogno» tuonò una voce dietro di loro. «Sono stata al bar qui dietro» continuò la signora Rosalinda con una tazza di caffè tra le mani «ho pensato che le potesse fare bene. Con me funziona, quando ho un diavolo per capello bere del caffè mi fa stare meglio.»
Il volto dell’uomo si fece paonazzo, con la mano tremante prese il caffè mormorando un «grazie e mi scusi per prima.»
«Lasci perdere, piuttosto si faccia in là e mi dica cosa le è capitato. Se un uomo giovane come lei piange a dirotto allora vuol dire che è successo qualcosa di grave. Peppino fammi un po’ di posto, voglio capire cos’è successo, magari possiamo fare qualcosa.»
Peppino si scostò al bordo della panca e la signora Rosalinda si insinuò tra i due. «Giovanotto cominci con dirmi il suo nome.» «Drinat, mi chiamo Drinat»
«Bene, io sono la signora Rosalinda e adesso mi dica perché sta piangendo.»
Peppino alzò gli occhi al cielo, per come la vedeva lui, i modi della donna erano un po’ troppo bruschi. Ma forse andava bene così. Lui non aveva neanche avuto il coraggio di chiedergli il nome…
Drinat trasse un profondo sospiro e iniziò a parlare, il suo italiano era buono, la pronuncia un tantino incerta. «Sono malato» disse «devo stare fermo a casa per tre mesi e se non miglioro dovrò essere operato.»
«È una cosa grave?»
«No, non tanto grave, ma non posso lavorare.»
«Perché disperarsi allora, stia a riposo e se la goda un po’, tornerà a lavorare quando sarà guarito» rispose Rosalinda.
«Non è così facile, se non lavoro perdo il posto, il mio capo mi manderà via, non avrò più un lavoro quando sarò guarito. Ho fatto finta di stare bene per tanto tempo, ma adesso non ce la faccio più.» A quel punto le lacrime ricominciarono a scendere senza che lui riuscisse a fermarle.
Un’ombra oscurò per un attimo la panchina, dall’ambulatorio era uscita la signora Ilde, la quale s’era avvicinata silenziosa al gruppetto e osservava incuriosita l’insolita scena.
«Non capisco quale sia il problema, a tutti capita di farsi un periodo di malattia e non ti licenziano mica per questo. Non possono, la legge parla chiaro» stava sentenziando Rosalinda.
«Io non sono assunto, io lavoro in nero. Ho chiesto il contratto, ma lui non me l’ha dato: “o così o te ne vai” mi ha detto e adesso io non posso stare a casa, ma non riesco più a lavorare.»
«Non è giusto, non è giusto per niente, deve fare qualcosa, deve protestare!»
«Ma Rosalinda dove vivi? Sei proprio fuori dal mondo» la interruppe Peppino. «D’altra parte lei, con il marito notaio e i figli accasati, ‘sti problemi non li ha certo mai avuti, mica ha idea di come gira il mondo» si ritrovò a meditare l’uomo.
«Non posso protestare, se protesto mi licenzia e tanto adesso mi licenzia lo stesso.»
«Sei solo o hai una famiglia?» chiese la signora Ilde che fino a quel momento aveva ascoltato senza fiatare. «Sono sposato, ma mia moglie e mia figlia sono al mio paese, io voglio portarle qui, voglio che mia figlia cresca qui con me. Stavo risparmiando per prendere una casa in affitto, ce l’avevo quasi fatta, ma adesso…»
Peppino guardò l’uomo e un velo di malinconia gli entrò nel cuore. Doveva essere ben duro vivere lontano da casa e dalla famiglia. Stare lontano dai suoi figli e da quella santa donna di sua moglie a lui non sarebbe piaciuto per niente.
«Peppino, vieni dai, che tocca a te» la testa di Mario fece capolino dalla porta dell’ambulatorio. «Cosa sta succedendo?» chiese guardando sbalordito l’amico.
Peppino si alzò e si girò verso il gruppetto «devo andare, è il mio turno…»
«Vai, vai Peppino, qui ci pensiamo noi. Ilde avvicinati, aiutami a pensarla bene. Questo ragazzo, va aiutato.»
«Dici bene Rosalinda, qui bisogna far qualcosa.» La signora Ilde si sedette accanto a lui e appoggiò una mano sulla sua spalla.
Peppino si allontanò lanciando un’ultima occhiata all’uomo. Lo lasciava in buone mani, quelle due insieme si sarebbero di sicuro inventate qualcosa di utile per lui, non aveva dubbi.
Drinat rispose al suo saluto con un debole sorriso e un «grazie» sussurrato a fior di labbra.
Peppino si girò scuotendo la testa e meditando che il mondo sembrava andare a rotoli ancora una volta, ma la colpa non era certo di chi ti ruba il posto dal dottore.
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buone le descrizioni, così come la caratterizzazione dei personaggi.
però non riesco a farmelo piacere più di tanto, sinceramente, e non ne comprendo il motivo.
forse c'è qualche messaggio subliminale, qualche cosa di nascosto...
boh.
in ogni caso si lascia leggere bene
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Non mi è piaciuto il finale, che finale non è, anche se comprendo benissimo che il problema portato all'attenzione dei lettori non abbia facile soluzione, salvo la bacchetta magica o la discesa di un angelo dal cielo. Resta il fatto che per me il finale è debolissimo.
Re: Quando il mondo va a rotoli…
marcellorisso grazie anche a te per le tue gradite parole
Faustoscatoli: ho provato a rileggerlo per vedere se beccavo i refusi, ma non li ho trovati, me li evidenzieresti?
Ida-59 mi spiace che il finale risulti debole. Il senso del racconto non era narrare la storia di Drinat e quindi dire come finirà la sua vicenda. Ho scritto questo racconto perchè mi è capitato spesso di notare come alcuni nostri atteggiamenti nei confronti dell'altro cambino quando da entità astratta ( extracomunitario, giovane, vecchio adolescente ecc,) si fa persona con nome cognome e storia personale. Evidenziato questo per me la storia doveva finire. Evidentemente non mi sono spiegata bene. Grazie a te per la pazienza.
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Re: Quando il mondo va a rotoli…
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già il periodo è quello che è.
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A fine lettura, forse, non c'è stato un colpo di scena o una doccia fredda... ma non sempre un racconto finisce "col botto". Come Peppino, che vorrebbe fare tanto, ma quel poco che può.
Mi è piaciuto!
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Questo libro è il seguito di "Un passo indietro". Come il primo, è autoconclusivo.
"Esistevano davvero, gli dèi. Ma non erano dèi. Non lo erano stati per un'oscura volontà divina, ma lo erano semplicemente diventati mediante un'accanita volontà terrena di sopravvivenza".
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Di Massimo Baglione.
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Un passo indietro
Il titolo di questo libro vuole sintetizzare ciò che spesso la Natura è costretta a fare quando utilizza il suo strumento primario: la Selezione naturale. Non sempre, infatti, "evoluzione" è sinonimo di "passo avanti", talvolta occorre rendersi conto che fare un passettino indietro consentirà in futuro di ottenere migliori risultati. Un passo indietro, in sostanza, per compierne uno più grande in avanti.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
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Dodici donne e diciotto uomini hanno tentato di far prevalere la propria posizione, tuttavia la Vita ci insegna che il vincitore non è mai scontato. La Natura ci dimostra infatti che dopo un temporale spunta il sole, ma ci insegna altresì che non sempre un temporale è il Male, e che non sempre il sole è il Bene.
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