Alda
Alda
La donna non era scivolata sulla rabbia provocata dai magri tempi economici, complici l'aver diminuito il rating dello stato personale che osservava in tante colleghe d’ufficio. Aveva anche sorvolato con nonchalance il passare degli anni, fino ad arrivare alla soglia dei cinquanta. Era una signora dall’abbigliamento ricercato, di buona cultura e dalla bellezza raffinata, con un piccolo cruccio: la ricerca della felicità.
Il giorno del compleanno si era guardata allo specchio, rigirandosi estatica per controllare la linea e l’armoniosità dei movimenti. Lo scorrere del tempo le aveva lasciato in dote un paio di chili che la rendevano ancor più affascinante. Si esaminò soddisfatta nel vedersi ancora attraente, un sorriso accennato che però non durò molto e, repentino, si trasformò in una smorfia d’insoddisfazione.
Aveva un marito diviso tra la passione per il lavoro d’ingegnere petrolifero e la dedizione totale e fanatica ai colori dell’Inter. Alda vedeva in lui un essere mitologico, con il caschetto giallo e la casacca nerazzurra.
E le scarpette da calcio.
E’ questo l’uomo che amo? si chiedeva sempre la mattina prima di alzarsi.
Marco era l’unico figlio, frutto di un matrimonio sfarzoso e ricco di grandi progetti. Quando era ancora un bimbetto, lo aveva fatto partecipare a decine di concorsi da modello. Prima la fascia dei tre anni, poi quella dei sei per finire indecorosamente la carriera a nove anni. E’ già vecchio, pensò quando così precoce appese i vestiti al chiodo.
Antesignana delle giovani madri italiane dei nostri giorni, aveva riempito di foto del pargolo in sfilata ogni angolo di casa e anche le amiche ne avevano ricevute in regalo, talmente numerose, che ognuna avrebbe potuto completare un book.
Poi più nulla, ogni interesse era svanito.
Ora Marco era un diciannovenne virgulto con un futuro nebuloso davanti a sé. In terzo liceo un giorno rientrò a casa e declamò con aria compassata e assente che si sarebbe ritirato dalla scuola. Lei lo aveva osservato incredula, alzando lo sguardo dal libro che stava leggendo. Non ci fu verso di farlo tornare a frequentare gli studi, e regali alternati a minacce, o discorsi leggeri e pipponi pesantissimi non ebbero nessun effetto.
Il ragazzo aveva posto la sede della sua vita sul divano del grande salone, ricoperto da un sottilissimo plaid rosso. Aveva a portata di mano, come il capitano di una nave, tutto ciò di cui abbisognava: cellulare, computer, televisione, radio e, curiosamente, alcune riviste di gossip.
Con il passare dei giorni Alda scoprì che Marco era diventato onnisciente. Sapeva di sport, di politica, di salute e di tutte le novità riguardanti starlet e giovani attori che si univano e si lasciavano al ritmo delle stagioni. Bastava dirgli un nome a caso e lui snocciolava l’ultima fiction interpretata, le simpatie, gli amori, addirittura dove aveva passato le vacanze.
Non esistevano più il giorno e la notte per suo figlio. Mangiava da solo negli orari più assurdi, dormiva fino alle tre del pomeriggio dopo nottate insonni. Con fatica era riuscita a portarlo da uno psicologo, il quale conclamò con tono enfatico che aveva in casa uno splendido esemplare di hikikomori.
Subito Alda si era recata in libreria per acquistare qualche tomo che descrivesse il problema. E lì capì che Marco aveva imboccato un percorso d’isolamento sostenuto da una convinzione al contempo astratta e granitica. Con il tempo aveva troncato gli incontri con gli amici, affidando a whatsapp il suo unico contatto con il mondo.
Poche erano le distrazioni di Alda. Il lavoro frenetico in ufficio si sovrapponeva a una vita privata informe. Al silenzioso tedio famigliare veniva in aiuto qualche uscita con un paio di amiche di gioventù.
Una sera si recarono ad assistere al concerto di David Garrett, il violinista che aveva sdoganato lo strumento dal suo classicismo secolare, trasformandolo in musiche moderne e ballabili.
L’artista bellissimo ammaliò il pubblico femminile accorso numeroso, e Alda e le sue amiche ballarono tutta la sera. In lui vedevano l’emblema della bellezza, con gli stessi battiti del cuore, seppur stagionati, di tanti anni prima quando accorrevano trafelate ai concerti di Simon Le Bon.
Alda a un certo punto della serata fermò il ballo, prese il viso tra le mani e cominciò a piangere. Riprese poi a ballare un ritmo lento, estraneo al ritmo della musica. Le lacrime le rigavano il viso, con il trucco che si liquefaceva. Lucia le mise una mano sotto il mento guardandola con affetto.
“Che hai piccola?”
“Niente, non è niente. Certe volte mi capita di sentirmi fuori da ogni schema. Mi sento estranea alla vita, un’incompiuta” le rispose.
“Oh cara, siamo tutte insoddisfatte, io per prima. E’ il tempo che passa e stai entrando in un periodo nuovo.”
La cinse affettuosamente. Alda sorrise un poco rinfrancata e restituì quel caldo abbraccio.
“Dio, quanto è bello, guardalo, sembra un angelo!”
David Garrett era impegnato in un assolo, dove il virtuosismo si coniugava con la grazia dei movimenti, facendo danzare le persone con un ritmo sensuale.
La vita continuava lenta. Le assenze calcistiche del marito si contrapponevano alla presenza perenne del figlio, inamovibile pivot di una squadra senza gioco.
Alda si sentiva sempre più sola e cominciò a pensare che una relazione extra-coniugale avrebbe potuto risollevarla, darle qualche scossa. Le farfalle nello stomaco, pensava, ecco di cosa ho bisogno.
In ufficio per fortuna ritrovava sempre quell’armonia da qualche tempo smarrita all’interno della prigione domestica. Le capitava spesso di conversare con Stuart, un rappresentante scozzese dell’azienda. Veniva una volta al mese in Italia e spesso lei si ritrovava a fare gli onori di casa portandolo a cena. Le dure giornate di lavoro coincidenti con la sua piacevole presenza erano diventate un appuntamento fisso.
Alda era attratta da Stuart, dal quel sorriso bonario su un corpo ancora scattante (erano coetanei), dallo sguardo sornione e attento, e da un paio di bei baffoni, cui sognava di aggrapparsi mentre facevano l’amore in maniera plastica e furiosa.
Era un periodo in cui Eros veniva a stuzzicarla con malizia e ogni tanto le capitava di aprire Youporn e guardare qualche filmato hard.
Sempre di più Alda sognava di fare sesso con Stuart, una pazza idea che la titillava di giorno e di notte. Quelle parole dette al telefono, le mail gentili, e quelle piccole confidenze sulle loro vite fatte a migliaia di chilometri di distanza, facevano aumentare l’attrazione verso quell’uomo che stava diventando una presenza fissa nelle sue giornate atone.
Una pazza idea si faceva sempre più strada.
A settembre la Fiera del Mobile di Milano avrebbe riaperto i battenti dopo un paio d’anni di chiusura, e Stuart sarebbe venuto in Italia per cinque giorni. Avrebbe avuto tante occasioni per incontrarlo sullo stand. Alda cominciava a sentirsi nervosa, perché la sua voglia era cresciuta in concomitanza con il silenzio domestico indifferente e sempre più oppressivo.
Una mattina ruppe gli indugi con se stessa e si mise all’opera.
Organizzò tutto per il venerdì. Mille scuse inventò al marito per avere una notte tutta per sé. Era la sua finale di Champions League e voleva godersela tutta.
In azienda organizzò tutto in modo che loro due si sarebbero trovati liberi da impegni quando la notte sarebbe stata ancora giovane.
Arrivò il giorno fatidico. Tutto il piano funzionò, la giornata corse via tra i tanti incontri di lavoro e alla sera poté agire.
Prese Stuart per mano e lo trascinò in un hotel del centro. Rideva e scherzava come la ragazzina che piangeva davanti alla bellezza di Simon Le Bon. Lui rimase sorpreso (o fece finta), e la seguì.
Era tanta la voglia di Alda che appena chiusa la porta gli saltò addosso. Lo baciò furiosa, come un’amante che aveva rotto l’incantesimo dei mille anni.
La temperatura salì veloce, si spogliarono e si accoppiarono come Bibbia comanda. Fu sesso meccanico, dove la vera passione rimase celata dietro un lenzuolo trasparente, esplicitata in posizioni leggermente goffe.
Tutto si esaurì in pochi minuti.
Alda e Stuart si ritrovarono sdraiati supini, mano nella mano a guardare il soffitto. Lui, soddisfatto, cominciò a russare leggermente. Alda voltava la testa di continuo per osservarlo, fino a che Stuart si girò su di un fianco e le volse la schiena. Russava e flatulava.
Alda sorrise ascoltando quel concerto da camera scuotendo la testa. Risentì il sapore dolciastro della delusione, quando Simon Le Bon dopo il concerto spariva nel nulla, lasciando dietro i cocci taglienti delle aspettative inevase.
Restò come paralizzata, con mille pensieri nella testa. Senso di colpa, delusione, intorpidimento. Una leggera nausea le prese la gola. Ricordò le battute di sua nonna, una in particolare. L’uomo porta un fardello e non vede l’ora di liberarsene; poi dorme. Detto in dialetto era molto più corrosivo ma il senso era quello. A Stuart di lei non importava granché, e tutti i bei discorsi erano dettati dall’educazione anglosassone e da un interesse lavorativo. E, cosa ancor più dura da digerire, da una sincera compassione.
Stupida, scema, cretina, si diceva. E puttana e zoccola, se suo marito l’avesse saputo non avrebbe fatto fatica a dirglielo, tra un tempo e l’altro di una partita dell’Inter.
Stuart continuava a russare forte, emettendo lunghissimi sospiri cui seguivano sbuffi interminabili. Ogni tanto un colpo di singhiozzo sembrava lo svegliasse, cosa che lei sperava almeno per parlare un po’. E invece niente, non succedeva nulla. Era completamente ignorata, l’attenzione di quel pachiderma rimaneva a zero.
Alda guardò il soffitto per l’ennesima volta, poi come un automa si alzò e si rivestì. Non si preoccupò di non far rumore e prima di uscire diede un’ultima furente occhiata. Vide la schiena di Stuart protesa e ingobbita e la faccia affondata nel cuscino. Spense la luce.
Erano le due di notte. Una leggera brezza arrivava dai monti e Milano era struggente nella sua prima aria autunnale.
Camminò a cerchio nelle strade limitrofe, cambiando direzione all’ultimo momento, svoltando in vie sconosciute, soffermandosi ad ammirare la bellezza dei palazzi antichi, fantasticando sui pochi tiratardi che incrociava. Il rumore dei tacchi echeggiava per le vie deserte, e Alda respirava a pieni polmoni.
Il giorno dopo avrebbe parlato con Stuart per chiedere scusa di averlo forzato in qualcosa che non sentiva, perché era lei che aveva bisogno di qualcosa, di quella cosa lì, di quella cosa senza nome. Sesso, amore, affetto. Cosa di più? Anche solo una parola amica.
Vide un taxi arrivare da lontano, la luce verde risvegliò la sua attenzione e lo fermò. Vi salì, pronunciando l’indirizzo di casa. Sentì la voce forte e decisa.
Come mai tutto ciò che sfiorava, appassiva come un fiore senz’acqua?
Una volta arrivata davanti all’uscio, si tolse le scarpe e si ravviò i capelli. Si eran fatte le cinque e non aveva ancora sonno. Entrò silenziosamente e vide subito la luce accesa in cucina.
Suo marito e suo figlio stavano giocando a carte. Erano ancora vestiti dal giorno prima.
“Papà?” chiese Marco.
“Sì, è la mamma.”
Alda richiuse la porta con due mandate e un sorriso quasi felice si disegnò sul viso. Forse non tutto era perduto
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Detto questo, anche nella gara letteraria hai sicuramente portato un ottimo racconto, molto ben scritto e scorrevole, quindi mi associo a Domenico e ti faccio i miei complimenti. Alla prossima.
Non inserisco un voto perché non ho un opera in gara qui, lascio solo commenti.
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Il rientro a casa è carico di contenuti simbolici (una volta il protagonista sarebbe stato il marito) sufficienti. Anche io eliminerei l' ultima frase.
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Peccato per il finale e, soprattutto, l'avventura sfumata via senza lasciare tracce importanti.
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Riconosco così tanti dettagli che hai così ben descritto, e quando è giunto il momento delle scelte... ho sterzato dall'altro lato
Soprattutto, "Marco" sta crescendo ben lontano dai casting: quando sarà grande farà quello che vuole, le mie soddisfazioni non devono venire dal fardello che impongo a un bambino... a mio figlio!
E la crisi di mezz'età. Già, quale ruolo assumere, dopo vent'anni di "lasagna"? Boh! Il tuo racconto è ben fatto, e fa bene a non porsi come LA soluzione a queste cose, ma solo come una storia che chiunque può riconoscere come comune.
Una cosa mi ha però dato sui nervi più di tutte (non per questo sminuendo il mio giudizio o voto, che resta alto): la ripetizione quasi ossessiva del nome della protagonista. Se è studiato apposta per far avvertire un senso di insopportabile prosopopea (il nome è un'imposizione di identità, è quasi come se la protagonista tornasse ad affermare continuamente "Io, io, io"), allora ci sei riuscita. Un po' troppo per i miei gusti. Il rischio è che al terzo "Alda" mi cerco qualcun altro con cui chiacchierare.
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commento Alda
“con nonchalance” – indifferenza?
E’ questo l’uomo che amo? si chiedeva – È questo l’uomo che amo? Si chiedeva
E’ già vecchio, pensò quando --- È già vecchio, pensò, quando così precoce
completare un book. – stabilito che serve usare una parola straniera, la si deve scrivere in corsivo, a meno che sia il programma di "Bravi autori" a trasformare tutto in carattere normale?
In terzo liceo – forse meglio terza?
e riviste di gossip. – corsivo?
riguardanti starlet – corsivo?
Meglio interrompere qui le mie noiose segnalazioni.
Passo a commentare la storia.
L’idea, pur se non nuova, per me è valida e il modo in cui sviluppi i fatti è altrettanto azzeccato.
Ti servirebbe rileggere il racconto a mente fredda o, meglio, ascoltarlo con la rilettura automatica, come faccio io da qualche tempo. Voce (Microsoft Elsa Online (Natural) - Italian), le altre due scelte sono orrende.
Il mio voto è 4, anche se c’è da lavorarci su prima di rendere il testo ricco di quel fascino malinconico che presumo tu avresti voluto trasmettere al lettore, salvo poi metterci quel lieto fine che a me piace, ma non a tutti.
Concordo per il taglio dell’ultima frase: è chiaramente un’incursione non necessaria dello scrittore.
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La protagonista rappresenta un cliché della cinquantenne in crisi di mezza età che, come facilmente prevedibile, si butta nell'avventura extra-coniugale con un finale non così inaspettato.
Personalmente, l'avrei fatta partire per un periodo sabbatico in qualche destinazione fuori dalle rotte modaiole/commerciali e, durante questo viaggio, fare bagaglio di nuove esperienze per tirar fuori il suo Essere più Essere, e magari tornare cambiata e più temprata per affrontare il presente.
Mi balena davanti agli occhi l'immagine di una curandera dell'anima, ma esistono ancora ?
Punti di vista strettamente personali, naturalmente, senza nulla togliere alla validità del tuo racconto.
Brava, ciao
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