Intervallo
- Fausto Scatoli
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Intervallo
Solita strada, di sempre. Da casa al lavoro e ritorno, una via quotidiana percorsa migliaia di volte, spesso senza nemmeno rendermene conto, tanto da non ricordare se durante il tragitto è accaduto qualcosa.
Strada che i miei occhi conoscono a menadito e la mia auto percorre a memoria.
Ma stamattina qualcosa non mi quadra.
Incrocio altri mezzi, moto, persone, ma ho l’impressione di trovarmi quasi sempre nello stesso punto. È come un breve film che si ripete in continuazione ogni volta che termina. E infatti non arrivo da nessuna parte.
Non so più da quanto tempo sto guidando e non riesco a fermarmi. L’ho pensato svariate volte, ma non l’ho mai messo in atto.
Fino ad adesso.
Schiaccio il pedale del freno e le ruote stridono sull’asfalto.
Insieme a me si ferma anche il film, non c’è più nessuno sulla strada. E non so dove sono.
Scendo dalla mia C3 e mi guardo intorno.
«Beh? Non c’è nessuno?»
La mia voce si perde nella quiete che sovrasta il luogo. Sono stordito e per farmi coraggio parlo da solo.
«Allora? Dove cazzo sono finito adesso? È la strada di sempre e non la riconosco.»
Non ci sono le case e tutto intorno è prato verde. Anzi, campi non coltivati. Qualche filare di alberi ogni tanto rompe la monotonia del paesaggio. Resto incantato a osservare i colori della natura, molto vividi.
Due passi e arrivo al ciglio della strada. Mi pareva ci fosse la banchina e invece no.
«Sì che c’era, sono sicuro. Il problema è che questa non è la mia strada, cazzo…»
Un nastro d’asfalto praticamente dritto che taglia in due la campagna, questo è.
Scruto da una parte e poi dall’altra. «Possibile che non passi nessuno? Anche se sono finito in un altro posto, qualcuno deve pur esserci, visto che c’è una strada.»
Niente.
Scoraggiato, sto per risalire in macchina quando sento un rumore lontano. Un motore.
«Meno male, almeno chiedo informazioni.»
La Citroen C3 proveniente dalla mia stessa direzione, è passata via senza fermarsi, nonostante mi sbracciassi. Il tipo alla guida ha gridato qualcosa che non ho ben compreso, salvo una parola: “indietro”.
«Che cacchio avrà voluto dire? Tornare indietro, forse? Boh. Io vado avanti, troverò qualcun altro.»
Salgo sulla mia Saxo, metto in moto e riparto.
Subito torno a incrociare altri mezzi. «Dov’erano, fino a un attimo fa? Aspettavano che ripartissi?»
Mentre guido mi pare ancora di rimanere nello stesso luogo, eppure il motore va e le ruote girano… Non capisco. Come non capisco lo strano stato in cui mi trovo: dovrei essere disperato o almeno isterico, visto il mio carattere, e invece sono permeato da una calma innaturale, quasi un effetto marijuana ai massimi livelli. Solo che non mi viene da ridere e sono perfettamente lucido. Almeno credo.
Mi fermo di nuovo e scendo dalla AX, sperando si fermi qualcuno.
E invece non c’è un cane, nel senso letterale del termine, e neanche un gatto o qualsiasi altro animale.
Pare simile a prima tutto quanto, anche se gli alberi sono disposti a boschetti. E campi ovunque.
La strada è meno bella, questo lo si nota subito. Asfalto più grezzo e a tratti molto consumato.
«Ma che cazzo…»
Non capisco per che motivo mi perdo in queste elucubrazioni quando invece dovrei cercare una soluzione.
Arriva un’altra macchina. Meno male.
Mi metto in mezzo alla strada a braccia aperte: «Ferma, ferma!»
Non rallenta nemmeno, altro che fermarsi… non che corra molto, però devo spostarmi altrimenti mi travolge. E subito dopo frena. «Evviva!» grido.
La AX mi passa a lato, fermandosi dopo una ventina di metri. Faccio per avvicinarmi, ma da dentro l’auto qualcuno mi grida: «Fermo. Indietro. Retromarcia.»
Mi blocco: «Ok, ho capito. Dimmi solo dove siamo.»
«Indietro. Retromarcia.» Riparte.
«Ma vaffanculo, stronzo!» E gli alzo il medio alla perfezione mentre si allontana.
«Ma guarda che roba» mi dico rimontando sulla mia Visa, «non c’è più rispetto.»
Ho ancora l’impressione di rimanere fermo pur muovendomi, però ci sono delle differenze: la strada e le altre auto.
Queste ultime sono sempre di meno e la prima peggiora in continuazione, è asfaltata malissimo e solo a tratti. Infatti prendo una buca che mi fa sbandare.
«Cazzo» dico fermando la Ami 8 e scendendo quasi al volo.
«Oltre che tutta rotta è anche più stretta, porco giuda.»
Ancora campi, alberi e niente altro.
«Ma passasse un merlo… o un piccione, cristo!»
Invece, ancora una volta passa una macchina come la mia. Stavolta rallenta e dal finestrino viene buttato un foglio che subito recupero. Ormai ho capito che non si ferma nessuno, devo arrangiarmi e capire i suggerimenti.
Non c’è scritto niente, è un disegno. Una strada con sopra un rettangolo che penso sia la forma stilizzata di un automezzo. E una riga a forma di U. Torna indietro.
«Ma perché?»
Forse non c’è un perché, forse sono solo impazzito. Apro la portiera della Ami 6 e accendo il motore.
L’impressione di poco prima si conferma e di macchine ne trovo ancora meno, mentre la strada è ormai sterrata e piuttosto stretta. La 2CV se la cava bene, però non è il massimo.
«Tutto mi fa pensare che avrei dovuto tornare indietro e invece continuo ad andare avanti… Che mi succede? Non riesco a tornare sui miei passi? Mi manca il coraggio?»
In preda a un panico improvviso spengo la macchina. La strada è leggermente in alto rispetto ai campi che vi sono a lato, ma dovrei riuscire ugualmente a girarmi, magari con un paio di manovre.
«Meglio che scenda a dare un’occhiata…»
Ovviamente non passa più nessuno. Guardo il ciglio.
«Uhm, non è semplice. Sono più in alto di quanto credessi. Però devo tentare per forza, visto che rotonde o spiazzi non ve ne sono. A meno che…»
Mi volto e vedo avvicinarsi una 2CV. Devo spostarmi, altrimenti non passa. So che non si ferma e infatti rallenta e, rasentandomi, va oltre.
A fianco della mia 5HP c’è qualcosa, sicuramente lasciato da chi mi ha appena sorpassato.
È una foto in bianco e nero di una B2. No, c’è un altro foglio: “Istruzioni per cambiare le marce”.
«Cioè mi ritieni un idiota? Pensi che non sia in grado? E chi cazzo sei, si può sapere?»
Giro la manovella della Type A fino a che parte il motore, salgo e riparto. Voglio proprio vedere dove finisco.
Beh, il paesaggio è mutato non poco. Tutto intorno sono boschi e qualche radura di tanto in tanto, non ho più incontrato nessuno se non gente a piedi e un carro trainato da un cavallo.
Onestamente devo dire che il posto mi piace. Natura semi selvaggia, quiete, silenzio.
Tiro le redini e subito il mulo si ferma. Ho l’impressione che qualcuno mi stia osservando.
La conferma arriva subito, sotto forma di un ragazzino che sbuca dal bosco attraverso il quale si snoda il sentiero che sto percorrendo. Si avvicina, sorridente.
«Ciao» dice, «ben arrivato. Ora seguimi.» Si incammina.
Non so cosa rispondere e come agire. Lo seguo. Dopo alcuni minuti mi accorgo che per la prima volta da quando sono partito, la strada compie una curva.
«Dove stiamo andando? Anzi, dove siamo?» riesco a chiedere.
Il ragazzo si volta, sempre sorridendo: «Lo scoprirai tra poco. Ti piacerà.»
Oltre la curva il bosco si infittisce, ma subito dopo appare una radura. E c’è gente, animali, abitazioni. Più ci avviciniamo e più mi sento bene, come stessi tornando a casa dopo tanto tempo. Questa gente lo sa e mi sta aspettando, in festa.
Mi accolgono come fossi un figliol prodigo o qualcuno che aspettavano da tempo. Sono commosso.
Una donna si affianca al mio carro e mi fa cenno di scendere. «Vieni» mi dice.
Nota i miei occhi lucidi e mi abbraccia con trasporto. «Tranquillo, facciamo così con tutti quelli che scelgono la via. È stato uguale per me e tanti altri, ma ora siamo in pace e in eterno amore.»
Io mi sento bene come da tempo non mi accadeva, non so perché.
Mi prende per mano e mi porta con sé, mentre la gente ci guarda, contenta.
«Dove siamo?» chiedo di nuovo.
Non risponde. Mi sorge un dubbio: «Sono morto? Siamo nell’aldilà?»
Si gira, mi guarda negli occhi e sussurra: «No, non siamo dove credi. Ora apri tutto il cuore.»
Poi mi bacia. Ho un attimo di resistenza, ma la passione prende il sopravvento e mi lascio andare.
Una massa incredibile di nozioni mi invade. È troppo, non posso resistere…
Invece tutto si placa all’improvviso.
«Sono sfinito.»
«Non temere, passerà e ti sentirai come mai prima d’ora.»
«Forse comincio a capire qualcosa. Sono nel Bardo, vero?»
Le si illuminano gli occhi. «Sì, sei nell’intervallo.»
«Allora sono morto.»
«No, sei in meditazione profonda e la tua vita è sospesa. Con le parole dei tuoi tempi si può dire che sei in coma neurologico.»
«Non ricordo niente di quella vita, nemmeno cosa mi sia accaduto per trovarmi qui.»
«Potrai ricordarlo in seguito, se deciderai di tornare. Oppure potrai rimanere qui e, una volta lasciato quel corpo, scegliere se rientrare o proseguire verso l’illuminazione.»
«Devo pensarci» affermo, titubante.
«Hai quarantanove giorni per decidere, ma ricorda che qui il tempo è soggettivo. Possono durare un attimo o un’eternità.»
«Perdonami, ma sono ancora piuttosto confuso, non riesco a coordinare tutto quello che mi hai trasmesso col tuo bacio. Se voi siete qui significa che vi sono altre scelte.»
Sorride sempre, questa donna che non ho mai visto eppure sento di conoscere totalmente.
«Sì, puoi fermarti qui, accogliere altri che scelgono la via e prepararti per ciò che verrà, ma dovrai comunque lasciare il corpo. E prima o poi te ne andrai anche questo luogo. Credo lo farai molto presto, visto che mentre venivi verso di noi hai rifiutato le provocazioni.»
«Torna indietro, fermati, retromarcia…»
«Esatto. La tua anima aveva deciso e non si è fatta corrompere. Allo stesso modo ha accettato ogni variazione in modo naturale. Tu sei già pronto per la fase finale, ma la scelta deve essere tua.»
Mi bacia sulla fronte e se ne va.
Non ci avevo fatto caso, ma pure tutti gli altri sono scomparsi.
Mi hanno lasciato solo apposta. Mi siedo sull’erba aspettando che ogni cosa dentro me si assesti.
Non so quanto tempo sia passato. Mi alzo e mi incammino oltre il villaggio. Il sentiero disegna subito una curva e dietro di me sento il brusio soddisfatto di tutti quanti. Mi fermo.
«Non voltarti, non usare la retromarcia proprio ora. Ricorda che ogni piccola goccia fa ingrossare il mare.»
È la sua voce. Sospiro e decido, poi, con uno strappo, riparto.
Verso la luce.
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Re: Intervallo
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Ben narrato, ben dosato nel mistero, il testo porta a un finale delicato (per le parole usate) e pesante (per le decisioni da prendere), staccando la mano del lettore per proseguire oltre l'immaginazione.
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Re: Intervallo
grazie, Massimo
da domani partecipo direttamente
finora non ho avuto tempo, purtroppo
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Mi è piaciuta l'idea della regressione dei mezzi di trasporto.
Non essendo esperto di auto, all'inizio non ci ho badato.
Poi mi sono accorto che qualcosa non quadrava e ho controllato.
Mi sono goduto i passaggi fino al mulo
Buon ritmo e stile piacevole.
Il problema nelle storie di questo genere è il finale.
Ogni autore vorrebbe scrivere il suo.
- Roberto Bonfanti
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racconti e poesie imperniati sulla donna in tutte le sue sfaccettature
Il libro contiene quattro racconti lunghi, undici racconti brevi e trentuno poesie. Il tema principale è la donna in tutte le sue sfaccettature: amante, madre, figlia, gioco, musa, insegnante, dolore, tecnologia, delusione e speranza. Nella prefazione è ospitato un generoso commento del prof. Carlo Pedretti, professore emerito di storia dell'arte italiana e titolare della cattedra di studi su Leonardo presso l'Università della California a Los Angeles, dove dirige il Centro Hammer di Studi Vinciani con sede italiana presso Urbino. Copertina e alcune illustrazioni interne di Furio Bomben.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
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