Maledetto Winter
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Maledetto Winter
Winter lo aveva fatto di nuovo. Era saltato sul bancone della cucina e, con un'abile mossa di zampa, aveva scaraventato per terra il portatovaglioli che una vecchia vicina di casa le aveva regalato prima di traslocare.
Sbuffò: quel gattaccio le stava rovinando tutta la mobilia.
«Hey tu, – lo rimbeccò, prendendolo in braccio e poggiandolo sul pavimento – quante volte devo dirti che quella non è roba tua? Guarda qui, un'altra ammaccatura, un'altra tacca dei tuoi danni di cui devi essere soddisfatto, presumo» afferrando il portatovaglioli, constatò con un verso contrariato che l'angolo sinistro era irrimediabilmente rientrato al suo interno. Abbassando lo sguardo e osservando il parquet vide chiaramente l'ammaccatura provocata dall'urto.
L'occhio destro iniziò a tremare. Come le era saltato in mente di mettere un pavimento così delicato nella sua nuova casa, quando aveva un vero e proprio casinista come coinquilino?
Beh, certo, Winter non era poi così male: era piuttosto schizzinoso, quindi non sporcava. Lei stessa, per agevolarlo, aveva speso metà stipendio per acquistare una di quelle lettiere igienizzanti, autopulenti e con domestica integrata che ci mancava solo le pulisse anche casa quando era a lavoro. Anche gli spazi comuni erano ben tenuti, con ciotole sempre linde e pinte – quel gatto era almeno tre chili in sovrappeso – e giochini sparsi solo nell'area del salotto.
Ma quel maledetto aveva quell'assurda abitudine di saltare sul bancone e prendersela con quell'innocuo portatovaglioli.
Lo faceva sempre, ogni giorno, ogni qual volta lei era girata dall'altra parte o fuori per lavoro. Lui, con la sua poca grazia, riusciva incredibilmente a saltare sulla lastra di marmo nero e a prendere a zampate un oggetto quattro volte più piccolo.
Miao
Winter miagolò, ridestandola dai suoi pensieri e intenti omicidi. Le si avvicinò piano, guardandola con i suoi occhi color smeraldo e la coda bianca tenuta alta. Abilmente iniziò a strusciare la testolina rotonda sul polpaccio, emettendo fusa a profusione.
Sembrava quasi le stesse dicendo «ma sì, dai, che sarà mai! Sei troppo attaccata agli oggetti materiali, guarda me, invece. Guarda come sono bello e piacione, guarda come mi struscio riempiendoti i jeans di peli. Ora, però, da brava schiava riempimi la ciotola và, che è quasi ora della pappa».
Sapeva bene che quel ruffiano la stava intortando di nuovo, esattamente come aveva fatto tre anni prima in gattile. Gattile dove lei c'era finita per caso per accompagnare una sua amica e dal quale, alla fine, ne erano uscite entrambe con un gatto a testa.
Ma lei non sapeva assolutamente nulla di gatti, fino a quel momento era sempre stata una cani, assolutamente sempre e solo da cani. E ora eccoli lì, tutti e due, a dividere un appartamento appena ristrutturato - e appena rovinato - e a doversi sopportare a vicenda perché sì, anche lei commetteva degli errori che infastidivano enormemente Winter.
"Ciccionissima palla di neve", come si divertiva a chiamarlo per la sua forma tondeggiante e per il colore candido del mantello, non sopportava di doverle dormire appiccicato.
Chiariamoci, non è che lei la notte smaniasse dalla voglia di accoglierlo fra le sue braccia o, peggio, sul suo petto. Non era così masochista. Ma lui era invadente e nella sua invadenza non le faceva chiudere occhio.
Infatti, nonostante i fior fior di quattrini spesi per cucce belle e all'ultima moda, Winter ogni sera saltava sul letto e vi si rannicchiava esattamente al centro. Quel piccolo donut a quattro zampe non le lasciava che un misero spazietto e lei, da brava schiava, ogni tanto se lo faceva andare bene, altre volte cercava dolcemente di spostarlo dall'altro lato.
Ma il pensiero andava sempre lì: per quale diavolo di motivo aveva deciso di acquistare un letto alla francese?
Sconsolata, ciabattò verso il mobiletto dove conservava le scatolette. Afferrandone una, ne sollevò la linguetta d'apertura e un odore a lei sgradevole, ma che Winter evidentemente trovava irresistibile, le affiorò alle narici. Trattenendo un conato, si chinò alla ciotola e girò la scatoletta per rovesciarne il contenuto all'interno.
Ma un solo, singolo sbuffo la fece fermare appena in tempo. Alzando lo sguardo vide Winter seduto, che la osservava con le palpebre socchiuse. Della coda ne muoveva solo la punta, mentre il resto del corpo era immobile. Per un istante le parve di non avere più un gatto, ma una statua di pietra in sovrappeso.
Un secondo sbuffo le fece intuire che in realtà il gatto era vivo e vegeto, ma irritato. Lì per lì non afferrò subito, ma quando lo vide allontanarsi verso il mobiletto capì: quel maledetto non solo le rovinava il pavimento, non solo si appropriava del suo letto, ma esigeva anche di scegliere lui quale scatoletta dover aprire. E se quella di pollo che aveva in mano non andava bene era sicuramente perché quella salsiccia ambulante era vogliosa di salmone.
Sorrise: in fondo, ma molto in fondo, lo amava proprio per questo.
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Commento Maledetto Winter
Questa per me è la versione corretta.
«Hey tu», lo rimbeccò, prendendolo in braccio e poggiandolo sul pavimento, « quante volte devo dirti che quella non è roba tua? Guarda qui, un'altra ammaccatura, un'altra tacca dei tuoi danni di cui devi essere soddisfatto, presumo». Afferrando il portatovaglioli, constatò …
Una vera “gattara” (dico io) non dovrebbe aprire scatolette, ma cucinare manicaretti per la sua creatura. È pur vero, tuttavia, che per assurgere al rango di gattara/gattaro, credo, ci si debba occupare di gatti randagi e il nostro Winter è tutt’altro che un randagio ma piuttosto uno schiavista.
Un raccontino leggero che si lascia leggere volentieri e strappa pure un sorriso.
Salvo errori, non ho trovato refusi.
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Re: Commento Maledetto Winter
La ringrazio per il commento e per la correzione su quel passaggio.Alberto Marcolli ha scritto: ↑14/01/2022, 11:53 Da editor ormai scaduto di livello, ti segnalo il corretto uso dei caporali nei dialoghi diretti.
Questa per me è la versione corretta.
«Hey tu», lo rimbeccò, prendendolo in braccio e poggiandolo sul pavimento, « quante volte devo dirti che quella non è roba tua? Guarda qui, un'altra ammaccatura, un'altra tacca dei tuoi danni di cui devi essere soddisfatto, presumo». Afferrando il portatovaglioli, constatò …
Una vera “gattara” (dico io) non dovrebbe aprire scatolette, ma cucinare manicaretti per la sua creatura. È pur vero, tuttavia, che per assurgere al rango di gattara/gattaro, credo, ci si debba occupare di gatti randagi e il nostro Winter è tutt’altro che un randagio ma piuttosto uno schiavista.
Un raccontino leggero che si lascia leggere volentieri e strappa pure un sorriso.
Salvo errori, non ho trovato refusi.
Sì, la protagonista non è propriamente una gattara nel vero senso della parola: Winter è il suo primo gatto, prima di lui ha avuto sempre e solo cani. Ma è stato divertente scrivere di loro.
Ancora grazie mille, farò tesoro della correzione.
Buona giornata.
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ne ho esperienza, so cosa vuol dire.
scritto abbastanza bene, ti dico di far attenzione alle ripetizioni e ti metto un esempio:
" quel maledetto aveva quell'assurda abitudine di saltare sul bancone e prendersela con quell'innocuo portatovaglioli."
in una riga la parola quel c'è tre volte.
in goni caso è divertente e si legge con piacere
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Re: Commento
Ti ringrazio! Grazie anche per avermi segnalato questi refusi, in futuro presterò sicuramente più attenzione in fase di correzione.Fausto Scatoli ha scritto: ↑14/01/2022, 19:56 simpatica descrizione di una scena quotidiana col padrone di casa, cioè il gatto.
ne ho esperienza, so cosa vuol dire.
scritto abbastanza bene, ti dico di far attenzione alle ripetizioni e ti metto un esempio:
" quel maledetto aveva quell'assurda abitudine di saltare sul bancone e prendersela con quell'innocuo portatovaglioli."
in una riga la parola quel c'è tre volte.
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PS: Ma Winter è un gatto o una gatta?
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Re: Commento
Grazie mille Stefano, è stato gentilissimo! I racconti umoristici mi piacciono parecchio e sapere di aver divertito mi soddisfa tantissimo. Per rispondere alla sua curiosità, Winter è un bel maschiettoStefano M. ha scritto: ↑17/01/2022, 8:43 Si può costruire una storia su un gatto che distrugge un portatovaglioli? Evidentemente sì e questo racconto ne è la prova. Scrittura semplice, con qualche esagerazione perfettamente intonata allo stile velatamente umoristico del racconto, senza particolari scivoloni e variazioni di tono. Rapporto di amore/odio verso Winter delineato con molta cura ma sempre con ironia: potrebbe essere simbolico del difficile rapporto difficile fra uomini e donne! Mi ha davvero divertito, nulla da dire, peccato solo per la mancanza di un vero e proprio colpo di scena nel finale, ma anche la trovata delle scatolette non è male! Spero di poter leggere in futuro altri lavori dell’autrice, perché con racconti del genere (che non sono assolutamente da considerare di serie B…) ci sa fare davvero!
PS: Ma Winter è un gatto o una gatta?
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Re: Commento
Grazie mille, Roberto! sui refusi ha perfettamente ragione, ringrazio per la segnalazione. In futuro ci starò molto più attenta, avvalendomi anche di un parere esterno.RobertoBecattini ha scritto: ↑17/01/2022, 12:37 Minimale ma efficace descrizione di una tranche de vie con gatto. Si legge con piacere. Che il gatto sia il vero padrone è un po' un luogo comune, non importa dirlo, già la situazione mi sembra chiara. Attenzione a qualche refuso, tra cui "fino a quel momento era sempre stata una cani, assolutamente sempre e solo da cani". Aggiungerei che adesso a causa del gatto stava da cani
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Si lascia leggere bene nella sua leggerezza, e questo secondo me, è un grande pregio.
Come voto ho assegnato 3, mi dispiace non aver dato di più, ma non ho trovato di più.
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Ti segnalo un va' che si scrive con l'apostrofo e non con l'accento, essendo il troncamento di vai.
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Però... è uno strano tema, mi rendo conto: molto comune, e al tempo stesso molto personale, al punto di rendere difficile l'immedesimazione. Insomma, l'ho gradito sì in quanto piacevole quadretto, ma è come essere accolti sulla porta di casa.
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