Attraverso i vuoti della memoria
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Attraverso i vuoti della memoria
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Inappuntabile il racconto e ricco di spunti riflessivi.
Trovo magnifico quell'aggettivo dato al vizio… vizio "carbonaro" della lettura
Jacopo
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Voto 5
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"La sua non era una domanda banale. La bruttezza ha dei confini? Esiste un limite al di là del quale sarebbe impossibile a chiunque sopportare oltre quel terribile assalto?"
Qua la risposta, e non se ne voglia a male l'autore, potrebbe essere anche semplice: la bellezza, seppure minuta che quasi esiste in ogni cosa, si annulla con la distruzione/deturpamento completi della cosa stessa. Prendi un'opera d'arte, tipo una scultura, un quadro, ma per essere più moderni anche una bella automobile, e martella fino all'inverosimile: che resterà poi di quello che era all'inizio?
"Per me i libri sono memoria, e vivono nella mia memoria, così che non ha senso incasellarli, catalogarli, registrarli, ridurli a numeri, a quantità, a cose. In fondo perché considero la memoria ciò che siamo, la nostra vera essenza."
Tutte le cose raccontate per iscritto e di un certo valore sono "testimonianza, cultura e sapere". E la considerazione che fa il tuo personaggio senza nome è una consapevolezza acquisita da tempi remotissimi, già dai babilonesi con la loro scrittura cuneiforme: che senso ha questa riflessione in un contesto di libri da biblioteca e non di liste della spesa o istruzioni su come montare un mobile dell'Ikea?
"La felicità non esiste, o se esiste è solo un momento, e noi invece viviamo tutta una vita. La felicità di oggi è l'illusione di domani. Perché ieri non tornerà mai più e il domani non esiste, seppure ne abbiamo già una indefinita nostalgia."
Echi di Sant'Agostino e un po' di Leopardi in questo passaggio; ma va merito all'autore l'originalità di specificare il ruolo della memoria nel determinare la nostra percezione della felicità. Ed è cosa condivisibile: che io condivido. Anche se la memoria, essendo una realtà/verità costruita a posteriori, potrebbe falsare la nostra idea di felicità.
"La felicità, ti ripeto, è il sentimento di un tempo immobile che in realtà non esiste, senza la risacca dei nostri ieri a sommergerci, i boschi oscuri dei nostri domani a minacciarci: solo il presente senza ieri e senza domani. No, non è una condizione umana."
Questo concetto non è risolvibile. Dire che non esiste la felicità perché legata a qualcosa che non esiste: il tempo immobile. Bel paradosso sì. Ma se esiste il termine "felicità", qualcosa esisterà pure di essa, no? Forse il "voler essere felici" più che la felicità, credo che l'autore intenda questo.
"Il punto di rugiada è, a parità di pressione atmosferica, la temperatura in cui si deve trovare l'aria per far condensare il vapor d'acqua in essa presente… Ma nel momento in cui l'eccessiva consapevolezza eclissa la maschera costruita con fatica, ecco la rapida caduta di ciò che prima riusciva a star sospeso: ecco il suo punto di rugiada, e il vapore diventa acqua e precipita in terra."
Uno/nessuno/centomila: finzione di noi stessi o di come ci vedono gli altri, ma espressi con intelligenza e animo poetico.
"Forse perché la linearità non esiste e tutti i modi possibili finiscono nel Nulla, in memoriae inanibus", chiosa al tuo racconto.
Quod nullum est, nullum producit effectum, direbbe un giurista.
Ma Antonio Giordano dice che nulla finisce per sempre… esiste una speranza!
Ci sarebbe ancora da dire su questo tuo scritto, ma mi fermo qui.
Sì, linguaggio ricco, forbito, eloquente. Moraleggiante però nel suo voler spiegare cose che non sempre si possono spiegare. Resta un po' di tristezza e malinconia dopo averlo letto. Come guardare un enorme platano con le foglie ingiallite sotto un sole opaco di un cielo grigio d'autunno.
Voto 4/5
Perché non è un racconto con una trama narrativa definita, ma un'analisi "filosofica su molti temi", scritta mirabilmente, da apprezzare per la profondità, emozione, di molte riflessioni (a volte un po' troppo spiegate) e altrettanti spunti che offre. Ma io come lettore voglio spazio per immaginare, mistero, crearmi delle aspettative, avere qualcosa di mio nel testo, e questo spazio è abbastanza precluso qui.
Non posso incensare un racconto solo perché è scritto bene, ma valutarlo anche per quello che mi suscita dentro.
Tante belle cose, Namio Intile
Antonio
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Non so se la risposta sia semplice alla domanda perché alcune persone si rifugino nella bruttezza e la preferiscano alla bellezza. Credo, temo, vi siano indotte, un modo per tenerle ai margini e dentro il gregge al tempo stesso, che risponde forse all'esigenza di creare un mondo altro, basso, inferiore, che non possa unirsi all'altro e confondersi con esso. Da una parte ciò che è buono e bello, e dall'altra ciò che è brutto, e quindi cattivo, malvagio, nell'apparenza prima che nei fatti.
Nella dichiarazione d'indipendenza americana si trova quell'accenno alla felicità, alla sua ricerca, equiparata a libertà e uguaglianza " che tutti gli uomini sono creati liberi e uguali..." È quella la fonte della felicità moderna, tutta anglosassone, non certo europea, in cui la felicità è stata sempre altra cosa. Ma è la visione anglosassone oggi quella prevalente, quella che cattura la fantasia e indirizza le energie. È una ricerca, il voler essere felici, come dici tu, la conquista della felicità: un percorso più che un fine. L'etimo ha a che fare con la fecondità, la fruttuosità, la ricchezza, anche se nel mondo classico equivaleva a un sentimento ancora diverso e forse più duraturo. La citazione nella dichiarazione d'indipendenza aveva una ragione: un effetto di stimolo sulla maggioranza di indecisi a prendere parte attiva al grande progetto nazionale americano che prevedeva lo sganciamento dall'impero britannico. Tuttavia, nella Costituzione uscita dal Congresso Continentale alla felicità, accanto a libertà e uguaglianza venne sostituita la parola proprietà. E quindi la felicità non è in costituzione, come molti ritengono, ma al suo posto, non a caso, è stata messa la proprietà, la felicità duratura delle élite.
Lo sguardo dei protagonisti del racconto è distaccato, disilluso, malinconico. Aleggia una sorta di nostalgia per un mondo che non c'è più e forse non c'è mai stato né mai ci sarà. Immagino che l'impressione a pelle possa essere quella dell'intento moraleggiante, se non fosse che ai miei protagonisti l'umanità non interessa. Anzi, fa loro un po' ribrezzo, la tengono a distanza, la considerano con disprezzo. Forse non sono moralisti, ma il loro esatto contrario: nichilisti.
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Re: Commento
Ciao, Andr. Grazie per l'intervento. Con gli spunti ci provo sempre, come te del resto. Il potere è ormai così pervasivo da essere evidente ovunque e in qualunque momento, almeno a me, anche quando si nasconde e non mi pare neanche che ci provi più di tanto. Sulla Terra siamo sempre di più, una vera ordalia di cavallette, e mi chiedo se non sia inevitabile che i molti siano governati dai pochissimi, e che pochissimi abbiano sempre di più a scapito dei moltissimi. Alle volte mi vorrei arrendere, vorrei solo alzare bandiera bianca, caro il mio Andr, e accettare la sconfitta. Avete vinto voi, fate di me quel che volete. Credo che, prima o poi, berrò la mia cicuta.Andr60 ha scritto: ↑19/04/2024, 9:35 Un racconto ricco di spunti, come sempre. Il tema principale però è quello delle maschere, indossate a seconda delle convenienze, delle norme sociali. La differenza tra l'epoca di Pirandello e la nostra è che le maschere si sono moltiplicate, sono diventate anche virtuali (basti pensare ai social, nei quali ogni partecipante si mette in vetrina). Ma l'aspetto più nuovo delle maschere del XXI secolo è che il Potere stesso si nasconde e si attaglia perfettamente alle proprie vittime, tramite la profilazione dei messaggi. Tutto questo per far sparire il punto di rugiada, ovvero il momento (come superbamente esemplificato dall'Autore) nel quale il soggetto acquisisce consapevolezza, di sé e del mondo che lo circonda.
Voto 5
Re: Attraverso i vuoti della memoria
sei letterario pure quando non sarebbe necessario. Da ammirare!
"Come guardare un maestoso platano con le foglie ingiallite sotto un sole opaco di un cielo grigio d'autunno."
Voleva essere un'allegoria/metafora, spero che si sia capito, di una visione moralistica (o nichilista come sottolinei meglio tu) di un declino inesorabile di un ordine di valori diretto verso la propria rovina. E credo, a mio parere, che questa immagine sia la più giusta che si possa associare al tuo racconto. Ma resta la speranza, dopo l'inverno, di una nuova primavera: che io, e noi tutti, possiamo solo sperare che ci sia, ma anche no.
Sempre un grande piacere leggerti, Namio
Cari saluti,
Antonio
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