Heimat 2 - Prefazione e episodio 1
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Heimat 2 - Prefazione e episodio 1
(Prefazione e primo episodio)
Per vedere l’opera cinematografica “Heimat 2 – Cronaca di una giovinezza”, di Edgar Reitz ci si deve dedicare molto tempo. E’ un film che si sviluppa in 13 episodi per un totale di 25 ore e 32 minuti. Qui, se d'interesse e con cadenza settimanale, proporrò una lettura critica di ognuna delle 13 parti.
Heimat in tedesco significa “patria”, “casa” e con questa serie di episodi continua un progetto cinematografico iniziato da Reitz di ricerca e documentazione che inerisce allo spaccato sociale tedesco del 1900. Una prima serie di episodi, intitolata Heimat 1, si dipana attraverso la saga di tre generazioni raccontate dagli albori del secolo al 1959. In un successivo terzo volume, Heimat 3, non rinunciando alla formula della saga, il regista racconta gli anni della caduta del muro di Berlino. La seconda serie, quella a cui ci stiamo interessando, si sviluppa nei 10 anni sixteen. A tergo della bella confezione in DVD della Dolmen Home Video, l’opera viene così sintetizzata: “Un vasto romanzo per immagini della generazione tedesca degli anni ’60, piena di sogni e utopie. Un variopinto gruppo di ventenni innamorati della vita, della musica e dell’arte alla ricerca di una “seconda patria” dove realizzare le proprie aspirazioni. Un terreno incerto dove il lavoro, le amicizie e gli amori si intrecciano alle speranze, alle sconfitte e al desiderio assoluto di libertà”.
Si…ma non basta questa descrizione. Ovviamente, a fronte di un lavoro così monumentale, c’è da dire molto ma molto di più. Poche volte ho riscontrato, come in Heimat 2, una trasposizione cinematografica così intelligente, esauriente e puntigliosa da rispettare il pathos che richiede un’opera di fantasia e il presupposto documentaristico che vuole avere il regista rivolgendo le sue telecamere nella Germania della contestazione, del fermento sociale e artistico del decennio in esame. Trasposizione intelligente, certamente…ma non ruffiana. Non occhieggia a nessuno, Reitz, nel mentre che dipana la trama dove i personaggi si distinguono più per la loro diversa forza piuttosto che per i sogni e gli ideali. Non c’è veramente un lieto fine. Non c’è un personaggio o una categoria che vinca. Piuttosto ci sono personaggi che si bruciano e altri che crescono e maturano in un presupposto storico importante e assolutamente ben tratteggiato. E’ il decennio sixties a decidere lo storytelling di una società che segue un suo corso, influenzando e facendosi influenzare dall’uomo abbandonato alle sue tristezze o alla sua intraprendenza. E’ in questo quadro che può essere vista la scelta di Reitz di dedicare ad ogni episodio un approfondimento particolare a uno dei personaggi che attraversano la saga.
Il film inizia con una panoramica della società tedesca rurale e cittadina nel 1960 e introducendo il personaggio principale, Hermann Simon, che altri non è che l’alter ego del suo autore, già comparso peraltro nella prima serie di Heimat. Presto i personaggi che gireranno intorno al protagonista diventeranno tantissimi: Juan, studente cileno cupo e romantico decadente, Helga, incompresa e che si voterà alla lotta armata, Clarissa, donna dei sogni e degli incubi di Hermann, il disperato e sfortunato Ansgar e ancora tanti altri.
Il film non è adatto a chiunque. Le relazioni affettive, sentimentali, sempre funzionali al proposito documentaristico originario, non ammiccano a facili sentimenti, anzi; spesso infastidiscono lo spettatore che potrebbe riconoscersi in comportamenti stereotipati e “scientificamente” mostrati; a volte incuriosiscono “facilitando” con scorciatoie cinematografiche la teoria della psicanalisi. Non ha effetti speciali eclatanti ma utilizza piccoli grandi stratagemmi visivi e farcisce la storia di enciclopedici riferimenti che spaziano dalla musica sperimentale al cinema di Truffaut e Antonioni, dalle citazioni di filosofi come Spinoza o Hoelderlin agli avvenimenti storici e sportivi.
E’ un film adatto per chi ama, e ama leggere i libri con a fianco un’enciclopedia, andare a fondo al significato di un dipinto, cogliere i suoni e cercare la logica della sequenza dei detti suoni in un pezzo musicale. E’ un film consigliato a chi voglia approfondire la propria cultura senza rinunciare a farsi struggere dalla “Sehnsucht”, nostalgia, struggimento del vivere, parola che spesso appare nei primi episodi e che inevitabilmente s’inculca nell’animo dell’appassionato spettatore.
Prendetevi il tempo necessario…
1° episodio: Monaco.
E’ il 1960. Hermann è un diciottenne che abita in una provincia tedesca, intelligente, portato alla composizione musicale. Cova un amore impossibile per una clandestina che ha 18 anni più di lui, relazione severamente interrotta dalla madre e dalla parentela. In una preghiera quasi blasfema, in mutande inginocchiato nella sua stanza da letto chiusa a chiave per non far entrare lo spirito patriarcale e il mondo rurale che l’opprime, prima di diplomarsi giurerà a Dio che non amerà mai più nessuna donna; se l’amore esiste è solo per una volta e non gli interessa l’amore di una seconda o terza volta. Al termine della preghiera l’anta a specchio dell’armadio si aprirà scricchiolando e Hermann, voltandosi sempre in ginocchio, si vedrà in mutande riflesso nello specchio. Tale figura simbolica, dove lui in più occasioni si guarderà indietro e vedrà riflesse le sue tante nudità, paure o solitudini in uno specchio, sarà più volte ripresa nel corso dei tredici episodi.
Deluso da una provincialità bigotta, una volta diplomatosi decide di andarsene da casa, verso Monaco, per iscriversi al conservatorio. Hermann fugge dal suo paese con una valigia e una chitarra. Viaggia in treno in compagnia occasionale di uno strambo personaggio chiacchierone che cita filosofi e scrittori del passato, adattandone le massime alle sue pretese discorsive non sempre coerenti. E’ in questa fase, durante il viaggio verso la città e verso l’indipendenza e la realizzazione dei sogni, che Hermann dirà ”Non riesco a credere che io riesca a vivere più di 30 anni. Se Gesù fosse arrivato a 50 anni, la sua religione sarebbe stata solo un peccato di gioventù e basta”.
Ed è proprio in questa frase che riusciamo a cogliere uno dei presupposti che motivano questo film. In questo assunto si legge lo spirito dei sixties, della contestazione, della contro – cultura, del rifiuto di arrivare a pensare come le vecchie generazioni. Vivere oltre i 30 anni è visto da Hermann, che rappresenta la gioventù del mitico decennio, come uno spreco, un inquinamento, una banalizzazione. Non riesce a immaginare un progetto di vita che possa avere un senso e una valenza dopo una certa età.
Il personaggio si avventura in una Monaco molto diversa dalla campagna ove abitava. C’è fermento e avanguardia. Molti cineasti in erba filmano per le strade; i giovani si ritrovano in sit-in spontanei per suonare e per discutere. Hermann riesce a passare l’ammissione al conservatorio e inizia a fare alcune amicizie, tra cui alcuni ragazzi corsisti dell’ultimo anno che suonano in maniera strana, avanguardista, con il solo scopo di scandalizzare i professori. Hermann è attirato da questa musica. Fa amicizia anche con un giovane sudamericano, Juan, che verrà scartato alla prova d’ammissione, seppur dopo aver eseguita una interpretazione stupenda con lo xilofono ed altri strumenti percussivi, che però viene definita dagli esaminatori troppo folkloristica. Nei discorsi tra Hermann e Juan, che peraltro ha imparato da autodidatta a parlare 11 lingue (l’undicesima è la musica che lui considera una lingua), compare sempre il ricorso tematico della nostalgia, soprattutto legata alla visione di una bella ragazza, Clarissa, che assomiglia alla clandestina unico amore di Hermann in quel momento. Clarissa suona il violoncello e si intuisce che avrà nel proseguo della storia una parte importante.
Da subito viene affrontato un argomento ricorrente negli episodi: il conflitto generazionale e il rapporto genitoriale. Vedremo come, sia dal punto di vista sociologico che psicologico, siano molti e con diversi esiti i rapporti tra genitori e figli. Reitz, più avanti, tratteggerà Evelyne, che non ha mai conosciuto la madre e che alla morte del padre partirà per Monaco per sapere quanto più possibile del genitore; narrerà di Ansgar, con la sua ferale rabbia verso la madre e il padre; insisterá nell’indagine delirante e sognante delle visioni paterne di Alex; dipingerà il bell’affresco natalizio della numerosa famiglia provinciale di Schnusschen. Ma Reitz, forse in quanto il personaggio principale è il suo alter ego, racconta il rapporto tra Hermann e la sua famiglia in maniera anomala e quasi violenta; la madre di Hermann c’è, se ne sente la voce, se ne scorge l’ombra ma è anche sempre in un’altra stanza chiusa a chiave, in un altro paese, in un altro universo. È appunto una "voce". Non viene mai ripresa filmicamente da Reitz, come a indicare che in questa fase della saga e della sua vita ha esaurito il suo infausto ruolo e gli si preclude ogni diritto a interferire ed anche a esistere. Hermann ha già fatto una sua scelta autonoma dove la madre, oltre a non essere più decisiva nelle sue future scelte, viene anche già trattata come elemento passato, come ricordo. Esiste nella “Storia” e nella narrazione ma è nascosta dal personaggio.
La fotografia regala spettacolari momenti di passaggio dal bianco e nero al colore. Ancor meglio quando il bianco/nero e il colore sono commisti come nella scena dello specchio su cui Hermann si ritrova, voltandosi, riflesso in bianco e nero mentre la scena che lo coinvolge è a colori.
Ciò che lega il tutto è il grande amore per la musica. La colonna sonora è soprattutto dettata dai graziosi esercizi che i vari giovani, dotati, eseguono. Stupenda è la scena d’improvvisazione musicale in cui alcuni studenti che si trovano nella mensa universitaria, con cucchiai, termosifoni bicchieri e quant’altro a disposizione nell’ambiente creano vera musica divertendosi.
Sono molti i richiami ai fatti storici della Germania del periodo, come la apparentemente casuale ripresa di un quotidiano che in prima pagina esalta la vittoria ed il record mondiale di un atleta tedesco.
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Re: Heimat 2 - Prefazione e episodio 1
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Re: Heimat 2 - Prefazione e episodio 1
Non spingete quel bottone
antologia di racconti sull'ascensore
Hai mai pensato a cosa potrebbe accadere quando decidi di mettere piede in un ascensore? Hai immaginato per un attimo a un incontro fatale tra le fredde braccia della sua cabina? Hai temuto, per un solo istante, di rimanervi chiuso a causa di un imponderabile guasto? E se dietro a quel guasto ci fosse qualcosa o qualcuno?
Trentuno autori di questa antologia dedicata all\'ascensore, ideata e curata da Lorenzo Pompeo in collaborazione col sito BraviAutori.it, hanno provato a dare una risposta a queste domande.
A cura di Lorenzo Pompeo
Introduzione dell\'antropologo Vincenzo Bitti.
Illustrazioni interne di Furio Bomben e AA.VV.
Copertina di Roberta Guardascione.
Contiene opere di: Vincenzo Bitti, Luigi Dinardo, Beatrice Traversin, Paul Olden, Lodovico Ferrari, Maria Stella Rossi, Enrico Arlandini, Federico Pergolini, Emanuele Crocetti, Roberto Guarnieri, Andrea Leonelli, Tullio Aragona, Luigi Bonaro, Umberto Pasqui, Antonella Provenzano, Davide Manenti, Mara Bomben, Marco Montozzi, Stefano D'Angelo, Amos Manuel Laurent, Daniela Piccoli, Marco Vecchi, Claudio Lei, Luca Carmelo Carpita, Veronica Di Geronimo, Riccardo Sartori, Andrea Andolfatto, Armando d'Amaro, Concita Imperatrice, Severino Forini, Eliseo Palumbo, Diego Cocco, Roberta Eman.
Déjà vu - il rivissuto mancato
antologia poetica di AA.VV.
Talvolta, a causa di dinamiche non sempre esplicabili, uno strano meccanismo nella nostra mente ci illude di aver già assistito a una scena che, in realtà, la si sta vivendo solo ora. Il dèjà vu diventa così una fotocopia mentale di quell'attimo, un incontro del pensiero con se stesso.
Chi non ha mai pensato (o realmente vissuto) un'istantanea della propria vita, gli stessi gesti e le stesse parole senza rimanerne perplesso e affascinato? Chi non lo ha mai rievocato come un sogno o, perché no, come un incubo a occhi aperti?
Ventitrè autori si sono cimentati nel descrivere le loro idee di déjà vu in chiave poetica.
A cura di Francesco Zanni Bertelli.
Contiene opere di: Alberto Barina, Angela Catalini, Enrico Arlandini, Enrico Teodorani, Fausto Scatoli, Federico Caruso, Francesca Rosaria Riso, Francesca Gabriel, Francesca Paolucci, Gabriella Pison, Gianluigi Redaelli, Giovanni Teresi, Giuseppe Patti, Ida Dainese, Laura Usai, Massimo Baglione, Massimo Tivoli, Pasquale Aversano, Patrizia Benetti, Pietro Antonio Sanzeri, Silvia Ovis, Umberto Pasqui, Francesco Zanni Bertelli.
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L'arca di Noel
Da decenni proviamo a metterci al riparo dagli impatti meteoritici di livello estintivo, ma cosa accadrebbe se invece scoprissimo che è addirittura un altro mondo a venirci addosso? Come ci comporteremmo in attesa della catastrofe? Potremmo scappare sulla Luna? Su Marte? Oppure dove?
E chi? E come?
L'avventura post-apocalittica ad alta tensione qui narrata proverà a rispondere a questi interrogativi.
Di Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
La Gara 40 - La musica è letteratura
A cura di Antonella Pighin.
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Gara d'autunno 2020 - Beu, e gli altri racconti
A cura di Massimo Baglione.
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La Gara 64 - L'amore e le sue sfumature
A cura di Massimo Tivoli.
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