Giuditta
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Giuditta
(Love will Tears Us Apart. Joy Division, 1980)
L'insegnante del corso di scrittura creativa che sto frequentando lo ripete di continuo. Non bisogna raccontare, bisogna mostrare. Show don't tell, proprio così dice. E poi dice anche che bisogna usare pochi aggettivi e bisogna scordarsi degli avverbi. Ma allora io come faccio a raccontarvi questa storia, come faccio a farvela vedere?
Mi ero iscritto a questo corso che si teneva a Santarcangelo così, per caso. Cioè non proprio per caso, ma perché ero ridotto uno straccio e fare qualcosa di diverso, qualcosa al di fuori dalle mie solite cose forse mi avrebbe aiutato; e poi andare a Santarcangelo mi avrebbe portato fuori dai miei soliti giri, per quel che valevano oramai, ma così mi ero detto. Al corso siamo una dozzina e io sono l'unico ventenne. La maggior parte mi sembra che siano oltre i quaranta anni. Secondo me si sono iscritti per cercare di sistemare la loro esistenza, di mettere un po' d'ordine ai pensieri, come se la scrittura potesse risolvere i guai della vita. Questo è quello che mi sembra sperano tutti e siccome anche io lo spero, siamo tutti sulla stessa barca.
Per quanto riguarda me la colpa di tutti i miei guai è di Giuditta che poi non si chiama Giuditta, ma poco importa. Giuditta era il nome che le avevo dato io quando quando ancora non l'avevo conosciuta, ma la vedevo sempre in giro e mi piaceva da matti. Grazie al cazzo, Giuditta è una grandissima figa e sa di esserlo. È anche molto pericolosa, ma io questo ancora non lo sapevo.
Le avevo dato quel nome perché una volta alla libreria Riminese, quella di fronte al duomo, avevo sfogliato per caso un libro che avevano messo in vetrina. Era un libro su Klimt, su i suoi quadri e quando ho visto la foto del quadro di Giuditta ho sorriso perché ho visto lei, la tipa di cui vi racconto. Perciò se volete sapere di chi parlo cercate una foto di quel quadro. E se riuscite a immaginare la ragazza del quadro con i capelli spararti in alto alla new wave, con il trucco pesante alla Siouxie e la maglietta dei Joy Division capite subito di chi sto parlando e l'avete sicuramente già vista in giro allo Slego o all' Isola Che Non C'è. Lo sguardo è lo stesso, quegli occhi a metà, le sopracciglia sollevate e con quella bocca cattiva e con quella faccia da cazzo che sembra che le dai fastidio solo per il fatto di esistere.
Che poi io questo Klimt non sapevo nemmeno chi fosse. Io andavo in libreria perché amo la fantascienza, anche se nelle librerie la fantascienza è un po' trascurata, insomma roba da poco che la mettono sempre laggiù nascosta vicino ai libri sugli U.F.O, su Atlantide, sui misteri delle piramidi e cazzate del genere, che mi incazzo anche perché la fantascienza con quelle cose non c'entra niente. Invece se vuoi trovare della buona fantascienza devi andare in quella rivendita di libri usati davanti al cinema Santagostino che lì hanno gli Urania, i Galaxy e altre riviste fuori dall'editoria ufficiale. Però alla Riminese c'è questo tipo che ci conosciamo un po' perché anche lui viene allo Slego e frequentiamo gli stessi giri. E allora delle volte parliamo di musica e di cose così, oltre che dei libri. Ma mi sto perdendo in chiacchiere mentre dovrei rimanere sulla storia che vi voglio raccontare.
Durante la settimana io e i miei amici andavamo a passare le serate il questo locale che poi è un circolo Arci e si chiama L'Isola Che Non C'è, ma siccome il nome è troppo lungo tutti lo chiamano, l'Isola. Ci vediamo stasera all'Isola, così dicono tutti. È un locale alternativo che piace a quelli che poi il sabato vanno allo Slego e perciò tutti gli strambi di Rimini sono lì dentro e anche i tossici della piazza Cavour sono tutti lì dentro. Una bella compagnia, niente da dire. I fighetti di Rimini che vanno in discoteca al Paradiso e frequentano pub alla moda dicono che l'Isola è un posto da sfigati e anche dello Slego dicono che è un posto da sfigati. Lo dicono perché non capiscono un cazzo.
-Vuoi che sia, tenere chiuso lo Slego perché questi devono andare a Bologna a vedere il concerto dei Talking Heads? Mi sembra una stronzata.
-Ma ieri hanno detto così su Radio San Marino.
-Vorrà dire che sabato andremo all'Aleph.
-Sarai contento te, che vuoi sempre andare all'Aleph.
-Vaffanculo. Dico solo che qualche volta... si potrebbe andare anche là... va bene lo Slego, ma cazzo...
-Il sabato allo Slego non si tocca. È semplice.
-Però, visto che questo sabato lo Slego è chiuso...
-Non è detto, da qui a sabato questi Talking Heads del cazzo potrebbero anche morire tutti.
Noi quattro avevamo creato una banda e ci chiamavamo The Goorkies. Avevamo trovato dei pantaloni a righe molto fighi che erano diventati la nostra divisa e quando uscivamo insieme ci mettevamo sempre quei pantaloni e così avevamo iniziato a farci conoscere. Cioè, a parte fare casino, non facevamo niente. Ogni tanto veniva la voglia di metterci a suonare, ma poi la cosa finiva lì e si finiva a fare i persi allo Slego, che per me era già abbastanza.
Anche Giuditta veniva all'Isola, ma solo verso la fine della settimana perché sta a Bologna che studia al Dams. Così mi aveva raccontato una sua amica e mi aveva anche detto che le stavamo sul cazzo, cioè che i Goorkies le stavano sul cazzo, che in gruppo eravamo anche passabili, ma c presi uno per uno non valevamo un cazzo. Così diceva Giuditta alle amiche e così mi aveva raccontato la tipa e poi mi ha detto che invece secondo lei siamo fighi e che Giuduitta è una stronza. Che poi quella volta che mi ha detto questo dopo siamo finiti a fari i baci sui divani dello Slego. Perciò io le ho creduto e me la sono legata al dito.
Quando Giuditta arrivava All'Isola era sempre assieme alle sue amiche e si vedeva lontano un miglio che comandava lei. Si mettevano sempre in un tavolo a giocare a carte e più di una volta lei mi a sorpreso mentre la guardavo dal mio tavolo. Sembrava che il mio sguardo le pesasse addosso e così voltava il capo verso di me, senza fretta. E poi mi guardava con quei occhi e quell'espressione del cazzo e reggeva il mio sguardo senza mai scomporsi. Poi tornava alle sue carte, diceva qualcosa che non riuscivo a sentire alle sue amiche e scoppiava a ridere.
-Allora come hai fatto l'altro sabato che lo Slego era chiuso?
-Cosa intendi...
-Non dirmi che sei rimasto a casa invece di andate al concerto dei Talking Heads?
-Alla fine siamo andati all'Aleph... Ma perché?
-Guarda che l'altra volta ti ho sentito all'Isola che ti disperavi perché lo Slego stava chiuso per il concerto...
-Non ero mica disperato... dicevo solo...
-Sì, sì. E invece di andare al concerto sei andato All'Aleph...
-Perché tu sei andata al concerto?
-Dio, quanto sei marginale e periferico. C'è il concerto dei Talking Heads a Bologna e tu mi vai all'Aleph. Sicuro che sono andata al concerto.
A me quel cazzo di marginale e periferico aveva dato fastidio da matti. E poi che cazzo intendeva con marginale e periferico, che non l'ho mica capito.
Quel sabato mi ero ubriacato per bene per essere al massimo della potenza e quando l'avevo vista andare verso il bar dello Slego l'avevo raggiunta. Insomma, che ci considerasse degli sfigati non l'avevo mica mandata giù e mi ero messo in testa di sedurla per dispetto. Non solo per ripicca perché era una grande figa ma perché mi piaceva da matti e ne ero anche innamorato cotto, ma questo lo tenevo per me che volevo fare il duro.
Fu facile, troppo facile e la cosa avrebbe dovuto insospettirmi. Ma lei mi era sembrata più ubriaca più di me e mi ero spiegato così il fatto che in quattro e quattr'otto l'avevo portata sui divani a fare i baci. E che le donne fingono di essere ubriache, dicevamo fra amici per ridere, fingono per coprire i loro loschi affari. E che non hanno gli enzimi per l'alcol. Bevono e non si ubriacano e così fanno finta. La cosa ci divertiva molto a raccontarla, ma secondo me era anche una cosa molto vera.
E così sono caduto nella sua ragnatela e le sono bastare due o tre settimane per staccarmi dai miei amici e dalla banda. E io imbarcato come uno scemo non me ne sono reso conto. Mi trovai invischiato in assurde trasferte a Bologna per stare dietro a lei e ai suoi giri del cazzo del Dams. Che non era il mio ambiente e mi muovevo male e lei sembrava provare gusto a farmi fare delle figure di merda. Dio, come mi facevano male le sue risate quando sbagliavo la pronuncia di qualche parola in Inglese o non sapevo la differenza tra lo stile Liberty e il Decò. E anche quando mi portava a vedere gli spettacoli della Societas Raffaello Sanzio che sembrava si trascinasse dietro il fratello scemo. Lei mi pigliava per il culo e io facevo finta di niente che se ci penso adesso mi spaccherei la testa contro il muro. Ma è tutta colpa mia, che dovevo sottrarmi a questo suo gioco, a quello che era, adesso ne sono sicuro, un suo preciso piano per demolirmi.
E così un giorno mi ha liquidato con una telefonata, che le andavo stretto; che lei è una donna sofisticata e complicata; che io sono stato una delusione: un sempliciotto marginale e periferico; che tanto valeva che tornassi da quei deficienti dei miei amici. Ecco cosa mi ha detto.
Solo che i miei amici non ci sono più. Cioè ci sono, eccome se ci sono. È che io oramai sono stato tagliato fuori. Mi hanno detto che hanno conosciuto un tipo che suona il basso e sa anche cantare e che hanno messo su un gruppo. Poi mi hanno detto che Garattoni, il d.j. Dello Slego che è anche un grafico e cura l'immagine del locale, gli ha fatto il logo del gruppo dei Goorkies che è una figata e che adesso suoneranno anche allo Slego.
Per finire sono anche venuti a chiedermi i pantaloni per il bassista che dei pantaloni così non si trovano più. E io glieli ho anche dati anche se so benissimo che non torneranno più indietro.
È andata così, continuo a ripetermi.
Teoricamente, adesso che ho buttato fuori tutta la storia, che l'ho scritta, mi dovrei sentire meglio, ma non mi sento meglio neanche per il cazzo. Sono qui davanti allo specchio totalmente distrutto. Distrutto io, non lo specchio. Non riesco a capire come sia potuto succedere tutto questo e come sia potuto cadere così facilmente nelle mani di Giuditta.
Mi sento la faccia scottare e ronzare come se fossi sotto l'effetto di un potente anestetico del dentista. Mi sento la testa staccata dal corpo e l'unica cosa che provo è solo un gran disprezzo verso me stesso.
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L'epigramma è tratto dal titolo di una delle canzoni più famose e strazianti dei Joy Division.
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Ascoltateli, e poi uscite a prendere una boccata d’aria, come farò io, adesso. Il mondo vi sembrerà un posto migliore.
- Laura Traverso
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Re: Giuditta
Sulla scena underground riminese anni '80 ho una quindicina di racconti e mi piacerebbe farne una raccolta. Sulla pagina facebook dello Slego e sul mio profilo (su f. B. Sono Paolo Nessuno) sono riportati tutti anche quelli che non ho mai messo in gara.
Sono quasi sessantenne e se voglio parlare di ventenni non posso non rivolgermi agli anni '80. Se ambientarsi le mie storie adesso passerei subito da boomer ignorante.
Il turpiloquio è inevitabile; non usarlo sarebbe falso e tristemente politicamente corretto.
Quindi sui dialoghi sono abbastanza convinto che un
personaggio non avrebbe mai detto: " È un uomo di colore antipatico" ma avrebbe detto: "È un negro del cazzo".
Sulla voce narrante (Quindi non in terza persona distaccata e onnipotente che deve possedere la lingua e la grammatica perfette) parla in prima persona ed è fortemente coinvolta nella storia ed è sodale con gli altri personaggi che non frequentano il liceo classico e la buona società.
In alcune gare ho messo racconti molto più edulcorati.
Ciao.
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Commento: Giuditta
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la scrittura è buona e il ritmo abbastanza scorrevole, si legge con piacere.
è vero che ci sono espressioni al limite, ma quello era il linguaggio dell'ambiente in cui si svolge la storia, difficilmente esprimersi in maniera diversa. oltretutto non ci sono volgarità, quindi va bene così.
l'unica cosa che mi lascia perplesso è la figura che ci fa il protagonista, non me lo aspettavo.
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Re: Giuditta
Grazie.
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"beat generation" anche se collocato in epoca diversa. Non è il mio genere ma riconosco in buona scrittura e anche il flusso dei pensieri lo trovo ben contestualizzato. Bravo! Voto 4
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Commento : Giuditta
Segnalo i refusi così come sono affiorati dalla lettura (3 volte)
Anche le considerazioni seguono la stessa non regola. D'altronde il testo a questo mi porta. Per la punteggiatura ognuno ha il suo stile e non vorrei peggiorare la situazione con le mie idee personali. Curare meglio il testo sarebbe auspicabile, prima di inviarlo, ma forse non serve, in fondo così è più autentico.
Per quanto riguarda me la colpa – metterei una virgola dopo me
avevo dato io quando quando ancora
Era un libro su Klimt --- trucco pesante alla Sioux -- maglietta dei Joy Division -- in giro allo Slego o all' Isola Che Non C'È --- questi riferimenti sono sicuramente azzeccati, ma non tutti sanno cosa sono e, in questo caso, dicono poco.
Per usare il tuo linguaggio, la parentesi sulla fantascienza, scusa, non ho capito a che ca… serve.
Sempre per usare il tuo linguaggio, è proprio un racconto del cazzo (15 volte), ma anche del che (82 volte)
In conclusione: racconto per riminesi autentici, non per i fighetti che vanno in discoteca al Paradiso e frequentano pub alla moda.
Giuduitta
con quei occhi e
a invece di andate
che le sono bastare due
che lei è una donna sofisticata --- forse meglio che lei era una donna sofisticata
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Re: Giuditta
Non dispero di riuscire un giorno a distillare il mio scrivere in un modello più formale.
Ma questo racconto aveva bisogno di questo linguaggio, dei 15 "cazzo" e degli 82 "che" (o almeno una cinquantina).
Le critiche sono sempre bene accette che poi ci penso e imparo a fare meglio.
- Alberto Marcolli
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Re: Giuditta
Bravo e buona scrittura sempre.Macrelli Piero ha scritto: ↑18/01/2022, 16:08 Non possiedo né l'esperienza né le capacità di una scrittura formale e controllata. Il flusso di coscienza è al momento l'unico modo che ho per produrre dei testi che raccontino qualche cosa.
Non dispero di riuscire un giorno a distillare il mio scrivere in un modello più formale.
Ma questo racconto aveva bisogno di questo linguaggio, dei 15 "cazzo" e degli 82 "che" (o almeno una cinquantina).
Le critiche sono sempre bene accette che poi ci penso e imparo a fare meglio.
Dopo tanti anni, ho sentito l'esigenza di partecipare ancora a queste gare e di commenti giusti quanto severi ne ricevo in abbondanza anch'io. Conta poco se uso il che con parsimonia e di cazzi poi non ce ne sono.
- Domenico Gigante
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- Roberto Bonfanti
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Racconto che rende bene l'atmosfera dell'epoca, anche come linguaggio, inoltre è ben descritto il trauma che il protagonista subisce nelle grinfie della perfida "femme fatale".
Al volo ti segnalo un "quando" ripetuto due volte, un "ha" senza acca e una volta "Giuditta" scritto "Giuduitta", quando parli di Klimt penso che sarebbe meglio "sui suoi quadri", piuttosto che "su i suoi".
Mi è piaciuto.
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Re: Giuditta
Però difendo la scelta di una voce narrante fortemente coinvolta nella narrazione, l'ossessiva ripetizione del termine "che". Mi sembra una scelta stilistica difendibile. Altro discorso se fosse scritto in terza persona. Come dico sempre revisionero' il testo...
- Marino Maiorino
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Inciampi sull'ortografia come un correttore automatico, ma questo è il minimo.
Non è necessario ripetere "membro" fino allo sfinimento: abbiamo capito il tipo di protagonista nei primi paragrafi, quindi è pura vanità esporlo per tutto il racconto. Il dubbio è che Giuditta, se questo è il tipo di argomenti sciorinati durante la breve relazione, si sia presto stufata di tanto narcisismo.
La storia è pure "interessante", non per la sua novità, ma per la capacità di illustrarla, di aprire una finestra in questo mondo interiore, ma desolante: unico obiettivo la figa e non cogliere l'opportunità di crescere, culturalmente e come persona, perdendo l'occasione di fare (con la band, ad esempio). Il protagonista si ritrova a criticare gente che con vent'anni più di lui sta come lui sfogando il proprio vissuto in un corso di scrittura creativa.
Non sono gli avverbi: è la capacità di mettersi nei panni di chi legge.
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Mi diverte notare che il commento precedente sostituisce cazzo con membro, ma quando si trova a parlare di figa la chiama figa e non vulva.
Con simpatia.
- Marino Maiorino
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Re: Giuditta
No, davvero, del primo hai fatto fare indigestione. Poi, se credi che aiuti a farmi capire meglio, ti aggiungo pure io un bel "cazzo!" esclamativo.
Sempre con simpatia!
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La Gara 40 - La musica è letteratura
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Non spingete quel bottone
antologia di racconti sull'ascensore
Hai mai pensato a cosa potrebbe accadere quando decidi di mettere piede in un ascensore? Hai immaginato per un attimo a un incontro fatale tra le fredde braccia della sua cabina? Hai temuto, per un solo istante, di rimanervi chiuso a causa di un imponderabile guasto? E se dietro a quel guasto ci fosse qualcosa o qualcuno?
Trentuno autori di questa antologia dedicata all\'ascensore, ideata e curata da Lorenzo Pompeo in collaborazione col sito BraviAutori.it, hanno provato a dare una risposta a queste domande.
A cura di Lorenzo Pompeo
Introduzione dell\'antropologo Vincenzo Bitti.
Illustrazioni interne di Furio Bomben e AA.VV.
Copertina di Roberta Guardascione.
Contiene opere di: Vincenzo Bitti, Luigi Dinardo, Beatrice Traversin, Paul Olden, Lodovico Ferrari, Maria Stella Rossi, Enrico Arlandini, Federico Pergolini, Emanuele Crocetti, Roberto Guarnieri, Andrea Leonelli, Tullio Aragona, Luigi Bonaro, Umberto Pasqui, Antonella Provenzano, Davide Manenti, Mara Bomben, Marco Montozzi, Stefano D'Angelo, Amos Manuel Laurent, Daniela Piccoli, Marco Vecchi, Claudio Lei, Luca Carmelo Carpita, Veronica Di Geronimo, Riccardo Sartori, Andrea Andolfatto, Armando d'Amaro, Concita Imperatrice, Severino Forini, Eliseo Palumbo, Diego Cocco, Roberta Eman.
Déjà vu - il rivissuto mancato
antologia poetica di AA.VV.
Talvolta, a causa di dinamiche non sempre esplicabili, uno strano meccanismo nella nostra mente ci illude di aver già assistito a una scena che, in realtà, la si sta vivendo solo ora. Il dèjà vu diventa così una fotocopia mentale di quell'attimo, un incontro del pensiero con se stesso.
Chi non ha mai pensato (o realmente vissuto) un'istantanea della propria vita, gli stessi gesti e le stesse parole senza rimanerne perplesso e affascinato? Chi non lo ha mai rievocato come un sogno o, perché no, come un incubo a occhi aperti?
Ventitrè autori si sono cimentati nel descrivere le loro idee di déjà vu in chiave poetica.
A cura di Francesco Zanni Bertelli.
Contiene opere di: Alberto Barina, Angela Catalini, Enrico Arlandini, Enrico Teodorani, Fausto Scatoli, Federico Caruso, Francesca Rosaria Riso, Francesca Gabriel, Francesca Paolucci, Gabriella Pison, Gianluigi Redaelli, Giovanni Teresi, Giuseppe Patti, Ida Dainese, Laura Usai, Massimo Baglione, Massimo Tivoli, Pasquale Aversano, Patrizia Benetti, Pietro Antonio Sanzeri, Silvia Ovis, Umberto Pasqui, Francesco Zanni Bertelli.
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L'arca di Noel
Da decenni proviamo a metterci al riparo dagli impatti meteoritici di livello estintivo, ma cosa accadrebbe se invece scoprissimo che è addirittura un altro mondo a venirci addosso? Come ci comporteremmo in attesa della catastrofe? Potremmo scappare sulla Luna? Su Marte? Oppure dove?
E chi? E come?
L'avventura post-apocalittica ad alta tensione qui narrata proverà a rispondere a questi interrogativi.
Di Massimo Baglione.
Vedi ANTEPRIMA (188,99 KB scaricato 51 volte).
Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.