La libertà all'improvviso

Spazio dedicato alla Gara stagionale di primavera 2024.

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Letylety
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La libertà all'improvviso

Messaggio da leggere da Letylety »

leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Tutto era cominciato in occasione della Fiera del Tessile in programma a Milano. Mio marito Giuliano aspettava trepidante l’inizio dell’evento che gli avrebbe permesso d’incontrare numerosi clienti che seguiva personalmente. C'era la possibilità che la sua posizione in azienda si rafforzasse magari con un aumento di stipendio, e in qualunque caso avrebbe visto aumentare il suo livello di autostima, lui che era un uomo semplice e per certi versi schivo.
Purtroppo, a una settimana esatta dalla partenza per Milano, arrivò la doccia fredda: Giuliano era stato escluso dal gruppo. In Fiera ci sarebbero andate solo tre persone del commerciale e due segretarie. Punto, lui sarebbe rimasto in azienda.
Quando chiesi lumi per quella svolta inspiegabile, mi disse che Albertini, suo collega pari grado, aveva organizzato tutto con il direttore generale e quella era la soluzione decisa da entrambi.
Bel collega, dissi, bel prototipo di scalatore aziendale. Mi guardò di soppiatto bofonchiando qualche giustificazione a favore di Albertini. Sei troppo buono, insistetti, ma lo scambio era già finito.
Rimuginai il fatto per un bel po’ di settimane, tanto più che la Fiera non mantenne le attese della partenza e i risultati furono piuttosto deludenti.
Quel fatto mi riempiva la testa e mi svuotava di energie. Ma com’era stato possibile lasciare a casa Giuliano? Albertini non mi era mai piaciuto, un tipo allampanato dalla pelle unta, con la fronte e il mento perennemente lucidi. Era il classico arrivista, con una bella moglie che fosse nata negli anni sessanta, avrebbe indossato quei cappelli a lampadario e accavallato le cosce con calze color carne mettendole bene in mostra. Avevano due figli fotocopia, eccellentissimi a scuola e glaciali come il padre. Distaccato, scostante, nelle numerose cene aziendali cui avevo partecipato, non avevo mai avuto modo di approfondire nessun discorso, limitandoci a qualche saluto di circostanza.
Giuliano, quella pasta d’uomo di mio marito, non aveva detto nulla, aveva accettato quella decisione con spirito olimpico. Mi sembrava di sentire mia madre quando tre anni fa poco prima di sposarci, lo chiamava Giuliano Tremarella, per il suo entusiasmo tiepido e poco virile.
Un lunedì di gennaio mi svegliai alle dieci. Non avevo un lavoro fisso, i miei studi di scienze politiche non mi avevano aiutato un granché e io mi ero immersa completamente nei panni della mogliettina. Ero nervosa quel giorno, qualcosa covava da tempo e, improvvisamente, esplose.
Feci colazione al bar sotto casa e poi mi diressi in un internet center, per noleggiare un computer e una stampante. La lettera anonima l’avevo già scritta e girata nella mia mail. Bastava solo stamparla. Avevo cercato di mantenere un linguaggio semplice e deciso, dove mi travestivo da fantomatica direttrice di un’azienda cliente che si lamentava del Dott. Albertini, attribuendogli comportamenti maleducati e assoluta mancanza di feedback. Si leggeva bene, diceva tutto e niente ma pensavo che potesse bastare. Non era cattiveria e non era mia prerogativa quella di essere un corvaccio lugubre che aleggiava sulle dinamiche aziendali, però quell’esclusione mi aveva fatto male, mi bruciava l’apatia di mio marito e la prevaricazione di un arrivista freddo e spregiudicato come il collega. Una piccola vendetta, condita con una dose di frustrazione, servita fredda a distanza di qualche mese.
Il bengalese che gestiva il locale fu molto gentile, mi fece sedere in fondo al locale vicino alla stampante e io cominciai. Aprii la mail feci copia e incolla, cancellai il mio indirizzo di posta che stranamente troneggiava prima del ridondante Egregio Direttore d’inizio lettera e stampai.
Tornata a casa, imbustai la lettera sempre all’attenzione del Direttore Generale e scesi per andare all’ufficio postale dove la imbucai. Appena il plico scivolò nella buca mi sentii subito strana, come se una parte di me fosse finita in quella scatola rossa.
La sera al ritorno di Giuliano avevo il battito a mille, irrazionalmente pensavo che quella busta fosse già arrivata a destinazione, poi con il passare delle ore un piccolo terrore m’invase il cervello. E se il mio indirizzo di posta non si fosse cancellato? Se per qualche strano refuso il nome con la chiocciolina fosse stato ben visibile? Eppure avevo controllato la stampa ma…se…ma…se la fretta o qualsiasi intoppo cerebrale mi avesse bloccato la visione della mail? E se fosse stata scritta in colore chiarissimo, nascosta all’autrice e, al contrario, ben visibile a uno sguardo attento?
Cominciai a sudare, dissi a mio marito che forse avevo preso qualche malanno e mi rifugiai sotto le coperte.


MARTEDI’

Risveglio traumatico. Ho dormito profondamente ma una volta aperto gli occhi ho cominciato a sudare. Puzzo. Giuliano è già andato a lavoro e io comincio a disperarmi di essere scoperta, di causargli una figura terribile davanti a tutti. Lui ama il suo lavoro e io mi sento una disgraziata nell’essermi intromessa in maniera subdola, stupida, senza cervello. Comincio a consultare i tempi di consegna della posta ordinaria. Sono quattro giorni nel 90% dei casi. In teoria una lettera spedita il lunedì arriva a destinazione il venerdì. Devo solo aspettare, devo resistere.
Ogni cinque minuti rivedo l’ipotetico filmato di quanto avvenuto nell’internet center. La mia mail era rimasta impressa su un sottofondo grigio, io l’avevo cancellata puntando il cursore alla fine dell'indirizzo di posta e arretrando con l’apposito tasto. Non era rimasto nulla se non il grigio di sottofondo. Era un’anomalia, certo, ma chissenefrega… se avevo cancellato tutto! Purtroppo ogni pensiero, ogni tentativo di trovare una ragione che fosse dalla mia parte era inutile. Io avevo paura di aver sbagliato qualcosa.


MERCOLEDI’

Notte tranquilla e sveglia agitatissima. Sono così tesa che non ho già più nulla da chiedere a questo giorno. Respiro corto, sento gli occhi aprirsi all’infinito e mi gira la testa. Penso che Giuliano si stia accorgendo della mia distanza. Di notte non lo abbraccio, rimango distaccata e la mattina non prendo il caffè, forse pensa che sia influenzata. Anche lui mi sembra assente, che viva per conto suo. Cambio tre magliette al giorno. Le tolgo che sono bagnate, acide come il malessere che ho in corpo. Questa mattina ho pulito tutti gli scomparti della cucina come una casalinga disperata. Non capisco cosa mi sta accadendo.

Amore Fervore
Errore Terrore
Sudore Afrore


LA SETTIMANA SUCCESSIVA

Inizio settimana durissimo, in attesa della sentenza. Saltuariamente la mia testa ragiona e mi dice di non temere, che su quella lettera non posso aver lasciato il mio nome, è impossibile, me ne sarei accorta. Ma ogni volta che la logica cerca di prevalere sulla mia paura cieca, qualcosa in me perde pezzi, e cresce il terrore. Continuo a sudare. Quando Giuliano rientra a casa, mi comporto come un agnellino con le orecchie ben ritte. Se mi racconta qualche fatto accaduto al lavoro, faccio finta di dare poca attenzione mentre cerco di interpretarlo, di capire se qualcuno ha letto la lettera, se ne ha parlato con Albertini. Capisco una cosa: l’assassino i primi giorni dopo il delitto sente il bisogno di essere interrogato, perché in quel caso si sente vivo, paradossalmente avere su di sé gli occhi dell’investigatore gli dona sicurezza mentre il silenzio e l’attesa corrodono l’anima.
Stanno arrivando i giorni decisivi. Se tutto tacerà, sarò salva.


TRE GIORNI DOPO

Alla terza doccia mattutina mi vedo bianca come un cencio. Ho perso tre chili e il mio ventre è piatto come quello che avevo da ragazzina. Una volta asciugata, mi siedo al computer e controllo le mail. Tra gli spam e le solite pubblicità ne trovo una mail del Dott. Claudio Martini, l’Egregio Direttore.
Una vampata di calore m’inonda tutto il corpo come fossi alle Maldive e non a Roma. Mi asciugo le mani bagnate nell’accappatoio e la apro. La leggo priva di quel fiato che trattengo agitata. Dice con tono paterno che ha ricevuto una lettera strana dove c’era riportata la mia mail e mi lascia un numero di telefono perché mi vuole parlare.
Dio!Non è possibile! Che errore pazzesco! E me lo sentivo, comincio a dirmi, avevo troppo timore per non essere giustificato. Se il mondo mi cadesse addosso, starei meglio rispetto a questo momento. Perché non arriva un terremoto e tira giù tutta la città. Perché?
Prendo il coraggio con le pinze e lo chiamo. Dall’altra parte mi risponde una voce quasi metallica. Dice che vorrebbe parlarmi, capire perché ho inviato quella lettera e mi da appuntamento in un bar. Balbetto a mia difesa senza riuscire a reagire. Tutte le prove mentali che avevo fatto saltano via come birilli e accetto l’incontro. Mi rendo conto di essermi data la zappa sui piedi, una persona innocente non avrebbe mai assentito all’incontro, avrebbe mostrato stupore e chiesto altri chiarimenti.
Trasalisco come una ragazzina mentre già mi sto vestendo. Metto un po’ di rossetto ed esco.
Arrivo al bar che mi ha indicato e quasi mi ritrovo a sorridere. E’ un bar malfamato, pieno di stranieri che urlano e italiani che tracannano birra alle quattro del pomeriggio. Se voleva l’incognito, l’egregio direttore ha centrato il suo obiettivo, difficilmente troveremo qualcuno di nostra conoscenza.
Entro imbarazzata e impaurita.
Lo vedo, un uomo sulla cinquantina vestito elegantemente, batte ritmicamente una mano sul tavolino per attirare la mia attenzione. E’ lui, lo chiamerò Al Cafone. Oppure Al Cazzone, un nome perfetto per questi tempi.
Ci presentiamo, la sua mano è calda e avvolgente. L’ho già visto un paio di volte alle cene aziendali, cerco di inquadrarlo, di ricordare qualche episodio.
Cominciamo a parlare aggirando il problema. E’ un discorso concentrico che poco alla volta stringe verso il punto. Lui mi studia, io mi sento un soldatino. Mi dice che è rimasto molto sorpreso da quella lettera e, soprattutto, dal mio grossolano errore. Vuole sapere, indaga, comincia a diventare incalzante. Io balbetto, non mi sono neanche preparata una benché minima difesa. Come in una partita a tennis la palla va da un campo all’altro, io cerco di uscire dall’angolo dove mi sono cacciata.
Poi improvvisamente prendo sicurezza, mi torna in mente una frase di Seneca che declama Udrai la verità, e io la mia verità l’ho già udita e gliela spiattello. La Fiera del tessile, l’esclusione di Giuliano, i risultati non positivi, la codardia in generale.
Come una moderna Giovanna d’Arco ho piantato la mia lancia, il mio vessillo, pronta a urlare la mia ragione.
Lui rimane impassibile, vedo la sua mano che si avvicina alla mia. Resisto, faccio finta di nulla ma quando il contatto è quasi inevitabile, la arretro di un paio di centimetri.
Lui mi guarda fisso negli occhi, serra le mascelle e mi dice che la rappresentazione che presento è ingannevole e la verità non è completa, c’è qualcosa che ho omesso o che non conosco.
Io lo guardo dubbiosa, cerco velocemente di capire se sta bleffando o se dice il vero. In qualunque caso devo trovare il modo di chiudere la tenzone, cercare di farmi “perdonare”, interpretando la parte della moglie contrita.
Riprende a parlare, mi dice che Albertini non è un arrampicatore spietato che pugnala i colleghi alle spalle. Al contrario è mio marito che mi doveva dire qualcosa e se non l’ha fatto, sarà lui svelarmi la verità.
Diciamo così, mi spiega con sguardo penetrante, mio marito è amico, molto amico della moglie di Albertini.
Resto in silenzio. Abbasso lo sguardo. Ordino un secondo caffè perché ho bisogno di fare qualcosa.
Quindi è Albertini la vittima, gli domando. Lui annuisce.
Continuo il mio silenzio per qualche minuto mentre lui mi osserva, ogni tanto sorride. Cerco di capire mentre sostengo tutto l’Universo con la forza del pensiero. Ho una visione del bar a 360°.
Analizzo le cene che abbiamo fatto negli ultimi tempi, scruto nel passato, nei volti, nei sorrisi, negli ammiccamenti. Cosa mi è sfuggito?
Ora vedo tutto chiaro, fuori e dentro di me. Due italiani al nostro fianco parlano di calcio, il resto del bar è un andirivieni di gente. Ragazze truccate in minigonna scherzano con uomini di una certa età, alcuni si fermano per comprare sigarette.
In questo locale ho tutto sotto controllo, e anche la mia vita sta per riprendersi. Penso al fatto che non ho voglia di discuterne con Giuliano. Farei la figura della stupida. Lo capirò in due minuti quando lo vedrò questa sera. Giuliano Tremarella! Le madri hanno sempre ragione! Mi rimane forte la voglia di fuggire, di correre subito e svoltare l’angolo e trovarmi su una spiaggia immensa. Mi vedo nuda e abbronzata che corro verso il mare sotto un sole benevolo.
Al Cazzone si fa mansueto, capisce l’amore di una moglie e bla bla bla ma condanna decisamente la mia azione. Dice che non può tacere su quella lettera, le direttive aziendali non lo permettono. Io replico, non è un segreto aziendale, ho sbagliato bersaglio e me ne pento, a questo punto ho già un grosso problema da affrontare. Che si metta una mano sulla coscienza, insisto.
La sua mano invece si avvicina alla mia, ora la vedo bene, ogni secondo diventa affusolata e pelosa e ha dei lunghi artigli. Vedo il lupo, sento la sua energia e la sua voglia.
Lui ha gli occhi affamati, dice che gli piaccio, che sono carina, che ho un fisico da sballo. Che impazzirebbe per me.
Credo di arrossire, mi guardo intorno in quel bar pieno di gente poi capisco che devo vendere cara la pelle.
Hai fatto bene a osare, mi dico, per una causa che ritenevi giusta. Ora sei inguaiata, credi di essere in una strada senza uscita, al cospetto di un satiro. Eppure anche lui ha un punto debole, se Achille aveva il tallone questo essere ha il ventre molle dell’italiano medio. Lo colpirò in ciò che sfoggia senza ritegno, il suo nucleo, la sua apparente ragione di vita, a beneficio e visione di chi lo applaude con retorica adamantina che acceca lo sguardo: la famiglia, la “famigghia” dicono con enfasi al sud Italia. Ho il colpo a sorpresa che mai mi sarei aspettata di dover estrarre.
Prendo il cellulare, come una furia vado sulla rubrica telefonica, clicco un nome e glielo metto sotto il naso.
La chiamo ora o dopo? Gli dico suadente. Non ho più paura.
Al Cazzone rimane di sasso nel leggere il numero di sua moglie. Non sa che durante una cena aziendale avevamo fatto amicizia, e ogni tanto ci sentiamo. Non siamo amiche strette ma ci conosciamo e, all’occorrenza, potremmo sostenerci.
Ora il lupo è nell’angolo, colpito nella sacralità della sua menzogna. Non ho vinto, perché la mia è una guerra triste che lascerà segni. Sono una cornuta e mazziata con la dignità alle stelle. Gli dico di darmi la lettera, di scriverci sopra FALSO a caratteri maiuscoli e di firmarla. Lui esegue come l’agnellino che credeva di incontrare, ci guardiamo negli occhi, lui abbassa lo sguardo e se ne va.
Non tocco la sua zampa.
Guardo l’interno del bar per l’ultima volta poi esco di fretta.
Fuori, un pallido sole illumina la città, mentre le persone vanno e vengono inseguendo le loro vite. Che strana luce, penso. Sembra una cartolina di tanti anni fa.
Comincio a ridere.
Mi ritrovo in un mondo quasi perfetto e vedo davanti a me l’ombra lunga della libertà. E’ arrivata all’improvviso e l’ho subito riconosciuta.
Allungo il passo e comincio a correre. Corro, corro, corro.
Corro.
Yakamoz
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Messaggio da leggere da Yakamoz »

Ciao, Letylety,

noto che ci incontriamo di frequente. Ho letto il tuo racconto e ho visto qualche refuso, tipo in questa frase: "con una bella moglie che fosse nata negli anni sessanta", manca "se"... Ma lascio ad altri la correzione delle sviste. Il tuo è un racconto “coniugale/borghese”, diciamo. La storia non è molto avvincente, più che altro è valorizzata dal tuo modo di scrivere. Sei “analitica” e sai creare bei periodi, malgrado qualche ricamo di troppo. C'è qualche frase gemella nel testo, ma le frasi gemelle le uso spesso anche io, e non posso farti una colpa di ciò che dovrei incolparmi io. Mi era piaciuto di più “Buon Natale Mrs. Jayne”. Ci vedevo più fantasia in quel testo. Qui sei più espansa, in battute, e concreta. E sempre un po' a "difendere", si rileva in molte tue frasi e nel finale di questo tuo racconto, il “sesso debole” che poi debole non è. Siamo noi maschi i deboli di fronte alle femmine. Sei una persona colta, arguta, intelligente e sai organizzare molto bene i concetti, e la tua scrittura ne è il riflesso.

Vola in alto, 5 come voto... (ma più per la scrittura, non banale ma a volte un po’ distratta, che per il racconto, e non fraintendermi, è una mia colpa non saper troppo apprezzare i racconti coniugali/tradimenti e compagnia cantante).

A rileggerci, Letylety

Tante belle cose

Antonio Giordano


Non banale ma a volte un po’ distratta, esempi:

“Aprii la mail feci copia e incolla, cancellai il mio indirizzo di posta che stranamente troneggiava prima del ridondante Egregio Direttore d’inizio lettera e stampai.”

Ci manca una “e” qui.

"Guardo l’interno del bar per l’ultima volta poi esco di fretta."
c.s. o con una virgola...

“Perché non arriva un terremoto e tira giù tutta la città. Perché?”

Qui manca il punto “?” ...


Rileggiti e aggiustati da sola.
Ciao
Letylety
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Re: La libertà all'improvviso

Messaggio da leggere da Letylety »

Condivido in toto il suo commento. Dopotutto anch'io non apprezzo i racconti di fantascienza perhè non ho mai fatto l'astronauta.
Giovanni p
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commento

Messaggio da leggere da Giovanni p »

Buongiorno,

purtroppo il tuo racconto non mi ha convinto sotto nessun punto di vista.
Il ritmo della storia è difficile da seguire, il testo andrebbe asciugato molto e più che in racconto sembra una confessione o un verbale.
Il fatto di dividere la parte successiva in giorni potrebbe aiutare, ma in questo caso non rende piacevole la lettura (almeno secondo me)

Ti faccio un in bocca al lupo per la gara, a presto.
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Lodovico
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Messaggio da leggere da Lodovico »

La storia potrebbe essere anche convincente, ma la narrazione, per i miei gusti è troppo "cronaca". Detto questo le dinamiche di un'azienda mi dicono poco, anche perché, vivendoci, non mi racconti niente di nuovo (prendi questa frase come vuoi, che io sia da una parte o dall'altra) :lol: .

Alla prossima! :D :D
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Alberto Marcolli
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Commento: La libertà all'improvviso

Messaggio da leggere da Alberto Marcolli »

Yakamoz mi ha preceduto nel segnalarti qualche refuso e mi ritengo dispensato da questo compito.
Ho lavorato una vita in una grande azienda e ne ho viste di tutti i colori. Solitamente le mogli sponsorizzano i mariti facendo l'occhiolino ai direttori, ma non mi meraviglia se qualcuna di loro sia anche arrivata a spedire lettere anonime.
Ero curioso di capire come saresti riuscita a chiudere il racconto e il finale non mi è dispiaciuto, anche perché io solidarizzo sempre con le donne che se la cavano egregiamente contro le aggressioni dei satiri.
Voto 4
Andr60
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Iscritto il: 15/11/2019, 15:45

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Messaggio da leggere da Andr60 »

Alla fine la protagonista si riconosce, per dirla alla partenopea, cornuta e mazziata :) Il racconto si legge bene e anche la suddivisione in giorni serve per rendere l'ansia dell'autrice della lettera, dubbiosa di aver lasciato tracce per risalire a lei.
Solleva invece qualche perplessità la sua distrazione su un aspetto così fondamentale per una lettera anonima; inoltre non è ben esplicitata la sua furia per l'ingiustizia subita dal marito. Secondo lei, il marito è scavalcato da un altro collega più arrivista di lui, però Giuliano per primo sembra non badarci. E' come se la moglie volesse prendere le difese del marito poiché sente ciò come un affronto a se stessa, più che a lui. Scoprirà troppo tardi che forse non era il caso di prendersela così a cuore.
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