Il pagliaccio
Il pagliaccio
Aiuto amico!
Bell’amico che sei! Eppure ti ho sempre visto così l’amico dei giorni migliori, proprio come Pinocchio, il libro che avevamo letto insieme. Tu con gli occhi pieni di stupore, voltando pagina incuriosito dalle immagini del burattino e della fata Turchina ed io che fraternamente ti seguivo pagina dopo pagina.
Il fato ci ha unito e non ci ha più separato.
Ti ricordo ancora un ragazzino che entrava nella vita a passo veloce con la cartella di scuola con scritto W Juve. Ogni giorno un centimetro più alto e la voce strozzata dagli ormoni. E i primi segni di peluria, quella che ti sfregavi al mattino pensando che sarebbe cresciuta più in fretta.
Poi sei cresciuto e ti sei ritrovato un giovane uomo sempre allegro, custodito dal calore di questa casa. I muri e gli arredi rimanevano uguali mentre tu crescevi.
Il mondo lo attraversavi come un piccolo esploratore, dove parlare con i grandi, dire loro delle cose che sapevi solo tu, ti dava enorme piacere.
E come non ricordare i giorni cupi, tristi e nervosi, dove bastava ti guardassi con il mio sorriso sempre uguale per farti cambiare umore. Ho conosciuto i tuoi genitori prima che se ne andassero. Una bella famiglia dove non esistevano obblighi ma quel sano mutuo soccorso che ti ha reso forte.
Oggi ho assistito a un timelapse di tutta questa storia. Succede a ogni vita che sta per spegnersi. A caso bloccavo la visione e di ogni fotogramma ricordavo ogni scena, ogni parola come se fossi io lo sceneggiatore di quel lungometraggio. E quando l’immagine ripartiva, rivedevo il film della tua vita e di riflesso della mia. L’esistenza è lunga, addirittura lunghissima se consideri l’ossessivo ripetersi delle azioni quotidiane, che è sempre intervallato dai nostri pensieri. Eppure questa vita sembra infinitamente corta quando arriva ai titoli di coda e la pellicola consunta mostra i segni del finale.
Tutto qui? È già tutto finito? Dio! Quando arrivi a quel punto, non c’è tempo per riavvolgere il nastro né di registrare un’altra puntata.
Io sto morendo.
Questa però non dovevi farmela piccolo farabutto. Sì, per me sei sempre quel ragazzino spensierato che ho conosciuto. Ai miei occhi non sei cambiato, non sei cresciuto, non hai avuto disavventure.
Scusa, non volevo offenderti, c’è sempre tempo per questo. Non ho ancora finito, ora mi devi ascoltare mentre sei sdraiato nel tuo letto, perché ti devo giudicare.
Io non sono Ponzio Pilato, io devo dire quello che penso. E tu lo sai. E sai che il giudizio che emetterò sarà equo, la bilancia della verità non pende mai da una sola parte ma dondola come un pendolo e quando si fermerà arriverà il verdetto.
Parole che sento strozzate in gola, lanciate nell'aria di questo ripostiglio maledetto dove trapasserò in un aldilà fatto di rottami e rimasugli di consumi scellerati.
Non mi senti, non ti giunge la mia voce.
Questa vita cos'è? Un pozzo stretto e profondo dove si muove lento e vischioso il vostro umano egoismo. Carriera, figli, denaro, socialità. Puah! Puah! Sono solo sciapi palliativi, rappresentazioni della vostra insana sete di potere, prolungamento di un io malato e narcisista che vorrebbe dare senso a esistenze altrimenti vuote. Eppure ogni giorno sembrava di vedere una lontana luce di speranza, di normalità o almeno, io credevo di vederla, di toccare con mano un senso di gratitudine.
Ero solo uno stupido illuso.
Oggi sono caduto, e il mio cuore si è fermato.
Oggi sono a pezzi, inanimati frammenti che non dicono più nulla.
La donna delle pulizie con un gesto troppo rapido e maldestro mi ha scaraventato a terra. Mi sono rotto e interrotto, e sono finito nella spazzatura, dove mi hai trovato.
Aiuto!
Aria, ho bisogno d’aria. Ho dolori dappertutto.
Ma ti ricordi ancora quando mi posasti sul mobile in sala?
Mi avevi portato a casa come souvenir della tua prima vacanza da solo e tua madre, nel vedere quel pagliaccio di vetro tutto colorato portatole in regalo, si era talmente inorgoglita di te da raccontare il fatto a tutte le sue amiche.
Quante carezze quel giorno a sfiorare il mio corpo, gli occhi, il viso, il cappello che non mi sono mai tolto. Quanti sguardi a curiosare sui colori fantasmagorici che brillavano alla luce del sole.
Un pagliaccio di vetro.
Giallo, rosso e azzurro, con un’enorme boccaccia dipinta di bianco, un sorriso esagerato in un volto curioso, con tanto di cilindro sulla testa e lo sguardo che ti fissava e ti trapassava.
Non mi rammarico per ciò che è accaduto. Siamo come le foglie sugli alberi d’autunno diceva un poeta, e basta un colpo di vento per farci cadere. Oggi è toccato a me.
Ma quando stasera sei tornato a casa e hai alzato il coperchio di questa spazzatura e hai visto i pezzi del mio corpo e ne hai preso uno, osservandolo controluce come un orafo esperto e poi lo hai rimesso nel sacco con la freddezza e l’indifferenza del manager, bene, questa non è una ferita inferta al mio povero corpo frammentato, no, questa è una ferita alla mia anima, a tutto il bene che ti ho voluto, al silenzioso prodigarmi nel tuo cammino.
Ingrato! La vita è vuota senza ricordi.
Cristo santo! Morire così è proprio una brutta cosa. Pensavo che il mio giorno sarebbe venuto con dolcezza, un leggero soffio e via, la vista che si annebbiava, le voci che si allontanavano ed io che cercavo una luce che piano piano si dissolveva. E poi il buio. E invece no, abbandonato come un qualsiasi soprammobile rotto.
Aiuto!
Aiuto amico!
Niente, indifferente hai richiuso il mio angusto spazio. Immemore di tutto, travolto del tempo che t’invecchia e ti deforma.
Domani metterai fuori questo sacco e un uomo con la tuta verde mi porterà via per sempre.
Aiuto!
Aiutooo!
Aaaiuuuutoooooooooo!
Oh, sei tu?
Sì, sei tu!
Ma che succede?
Non ci posso credere! Hai aperto lo sportello e mi stai tirando fuori.
No, no, lo speravo e sta succedendo. Anche se non mi senti mi ascolti!
Mi stai toccando e accarezzando come tanto tempo fa! Ho ancora i più bei colori del mondo, lo vedi.
Bravo, continua così. Hai svuotato tutto il cestino sul tavolo e stai prendendo tutti i pezzi. Guarda bene alcune dite sono incastrate nel fondo del sacchetto.
Così, sì, forse mancherà qualcosa ma sarà poco importante. Il tempo che passa, il vetro che finisce in sabbia, voglio continuare a sperare.
Hai preso la colla per riattaccare tutti i pezzi. Amico, ti sei ricordato di me! Ora potrei anche andarmene, dissolvermi da qualche parte.
Però mi stai rimettendo in sesto come quei chirurghi che riattaccano gli arti e poi li fanno funzionare.
Dai, dai, manca poco. Sì, riesco ancora a stare in piedi. Mi mancano due dita e un pezzo di scarpa. E anche un bottone nero della giacca. Non fa nulla, basteranno gli altri due rimasti. Questa casa è sempre stata calda.
Amico, amico, grazie. Sei grande e sono sincero. Non sto pensando a me.
Continui a guardarmi e accarezzarmi. La colla si è asciugata ora e sono quasi intatto. Anche il dolore è sparito.
Ecco, sì, così, un ultimo ritocco e sono quasi rinato.
Oh, cosa fai, piangi?
Stai piangendo!
Appoggia la testa sul tavolo, così, bravo, e sfogati, liberati di tutto. Sto piangendo anch'io, non mi è mai successo. Se stai ripercorrendo la tua vita, indossa gli occhiali della compassione, così potrai vedere le immagini del tempo passato tinte di un giallo autunnale che infonderà dolcezza e comprensione al tuo animo.
Hai gli occhi arrossati ma sei più tranquillo.
Tanto tempo fa eravamo in tanti nel nostro movimento. Ci trovavi nelle corti dei potenti, nelle piazze, dentro carrozzoni malmessi a girovagare per il mondo ad allietare grandi e piccini, fedeli al messaggio di pace, di amore, di libertà.
Il nostro mantra quotidiano arrivava negli angoli nascosti del mondo e con il sorriso, gli inciampi, le finte urla, i vestiti colorati e troppo grandi raccontavamo l’assurdità dell’esistenza. Soprattutto i bambini accorrevano gioiosi perché erano più aperti degli adulti.
Ora siamo un po’ dimenticati, relegati in posti dove sembriamo oggetti di un passato remoto, ma il motivo per cui esistiamo è sempre lo stesso, proteggere le persone dall'inedia e dall'ignoranza. Dobbiamo aprire loro gli occhi.
Ci siamo e ci saremo sempre.
E oggi, in questa giornata solo apparentemente disgraziata, si è visto il senso della nostra vita. Ti sei ricordato di me o forse hai solo intuito la mia protezione. A me basta questo, un gesto d’amore che mi ha restituito la vita.
Quando mi riporterai al solito posto, la colla che hai usato poco a poco si scioglierà e domani mi ritroverai in tanti pezzi sparsi sul mobile e sul pavimento. So che non piangerai perché avrai capito il senso del destino.
Mi rivedrai nei sogni e nei colori dell’arcobaleno.
Il mio compito finisce qui, perché domani inizierò una nuova missione.
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Ben scritta e mi è piaciuta. Voto 4.
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sì, perché fino a quel punto era il semplice e anomalo sfogo di un pezzo di vetro colorato.
con la parte finale viene dato un senso alla storia.
scritto piuttosto bene con buone descrizioni ed esposizioni.
da rivedere un poco la punteggiatura, soprattutto nella prima parte
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“Guarda bene alcune dite sono incastrate nel fondo del sacchetto.“
Qui ti è sfuggito dite anziché dita.
Una lettura piacevole.
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Commento il pagliaccio
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Ho notato però un paio di cose che vanno dette.
1 - anche se un po' triste la prima parte, è scritto veramente con sentimento.
2 - io ci leggo come messaggio inconscio - ma può essere che mi sbagli - che alla fine tutti gli adulti dovrebbero tenersi stretti i propri pagliacci, di vetro (reali) o qualsiasi altro oggetto che li rappresenti, proprio per non dimenticarsi mai e di essere stati bambini e cercare SEMPRE di essere un po' bambini. E' non è un messaggio da poco.
Gara di primavera 2021 - A world apart, e gli altri racconti
A cura di Massimo Baglione.
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Gara d'estate 2020 - Anniversari, e gli altri racconti
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Proposta indecente - Le Lido
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Masquerade
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Storie Gotiche, del Terrore e del Mistero
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Nella ricerca di un tema che potesse risultare gradito a più autori, ci è sembrato infine appropriato proporre un'antologia di opere il cui fattor comune fosse il brivido. Un termine per molti versi ingannevole, almeno quanto lo sono certe credenze e immagini che la ragione volutamente ignora, o perfino deride. Eppure, l'ignoto ci aspetta al varco, silenzioso e paziente, per catapultarci nello strapiombo degli incubi o nel vortice di ansie e desideri repressi.
A cura di Roberto Virdo'.
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