Fast food
Fast food
Khaled si alza, indossa i soliti stracci, tira un sorso alla birra annacquata che conserva nel lavello, si getta un po’ d’acqua sul viso ed è pronto.
«Andiamo Olivia, oggi è giorno speciale», dice.
Poggiata su un comodino corroso dal tempo e divorato dai tarli c’è una piccola fotografia sgualcita. Khaled l’afferra, la guarda, la ripone in tasca. Fuori dalla porta lo attende una bicicletta. La inforca e inizia a pedalare verso il fast food. Olivia, come al solito, lo affianca nella corsa. Cerca di mordicchiare i lacci della scarpa sinistra, nella strana giostra in cui le gambe del padrone ruotano in sincronia coi pedali.
***
Gerry suda freddo.
Non capisce. Sono ormai tre anni che Khaled lavora per lui e non ha mai creato problemi. Adesso però, all’improvviso, sembra impazzito.
«Khaled ti prego, parliamone. Sono io, Gerry. Che ti succede? Metti via quella pistola, per favore…»
Il ragazzo è rosso in viso. Sembra un misto di rabbia e vergogna. La voce sembra esitante, però non trema.
«Lei sta zitto signor De Rosa, e indossa questo.»
Gerry ha ormai settantatré anni, la barba bianca e ispida come un pungitopo e un’ulcera cronica che gli strizza le budella ogni volta che s’azzarda a mangiare. Un tempo era responsabile di cassa in una grande impresa di costruzioni, poi una concatenazione di eventi sfortunati gli aveva portato via il lavoro e lo aveva indotto a indebitarsi per di rilevare quella tavola calda, una topaia sudicia lungo la via Casilina, nell’estrema periferia romana. Le pareti di quel posto trasudavano olio fritto da quanto ne avevano assorbito durante gli anni.
Gerry De Rosa non riusciva a mandare avanti la baracca da solo, così aveva assunto un giovane siriano dal viso bruno che s’era presentato a chiedere lavoro: Khaled. Lo stipendio dell’aiutante era basso, nonostante lavorasse duro. A volte il ragazzo, quand’era troppo esausto per rincasare, finiva per dormire nella cucina sul retro, un tugurio nel quale capitava che si addormentasse insieme a Olivia, il suo Jack Russell.
«Forse avrei dovuto darti un aumento? Lo sai Khaled che io me la passo male, però se me lo avessi chiesto, io…»
«Lei ora zitto e indossa questo» ripete il ragazzo, stavolta con tono più deciso. Gerry non ha il coraggio di far domande, ma capisce subito quel che sta accadendo. Il ragazzo gli sta porgendo una cintura carica di viti, bulloni e chiodi tenuti insieme in piccoli cilindri di scotch gommoso, su ognuno dei quali fa capolino un elettrodo collegato a un filo esplodente. L’uomo la indossa con lentezza, mentre fruga in fondo agli occhi del suo giovane aiutante. Cerca qualcosa, forse un’espressione, che possa spiegargli perché. Perché lui. Khaled sembra scosso, allunga il collo per guardare qualcosa o qualcuno nella sala adiacente, poi con dei gesti nevrotici agita la pistola e lo sprona a fare in fretta.
«Almeno, spiegami. Pensavo fossimo amici…»
«Adesso copri bene con divisa, avanti. Chiudi camicia…»
Gerry obbedisce, ma scuote il capo. Non si capacita. Quel ragazzo, Khaled, era sempre stato un animo sensibile, educato, perfino riconoscente. A chiunque gli domandava di lui, Gerry rispondeva che era “una brava persona, un gran lavoratore”. Sua moglie era morta in Siria colpita da una pallottola vagante, durante uno scontro tra le truppe dell’Onu e gli Hezbollah, nelle vicinanze del villaggio israeliano di Zar'it. Pare che fosse proprio una pattuglia italiana a capo di quell’operazione. Il dramma era stato doppio, poiché la donna era incita all’ottavo mese. Non c’era stato verso di salvare neanche la bambina. Quella maledetta pallottola aveva trafitto entrambe. Per questa storia, lo scorso anno, Khaled era stato perfino intervistato da un quotidiano locale, al quale aveva detto che, nonostante la sua tragedia personale, non era affatto arrabbiato con il popolo italiano. In effetti, fino a oggi, sembrava un ragazzo incapace di provare rabbia, si era sempre dimostrato gentile, innocuo.
«Ho detto nascondere bene cintura con divisa. Lei usa anche gilet e giacca. Se vuole evitare strage devi fare bene come dico, capito?»
«Ma cosa c’entro io? E poi che diavolo vuoi fare? Ci sono almeno dieci persone innocenti di là!»
In realtà Gerry sta pensando soltanto a una persona, tra quella decina. Oggi è venuto a trovarlo suo figlio Valerio, per la prima volta dopo tre anni. Gli ha fatto una sorpresa. Si fermerà quasi una settimana a Roma, fino al ventisette dicembre. Perciò non deve succedere nulla. Non oggi.
«Lei prende comande e serve ai tavoli, signor Gerry. Tu comporta normale, come nulla sia. Non fa stronzate, se fa qualcosa di sbagliato lo sa cosa succede, è vero?»
«Santiddio, è quasi Natale, Khaled!»
«Lei non nomina Dio, signor De Rosa. Vada, prima che faccio esplodere baracca!»
Gerry capisce che la faccenda è seria, che non farà cambiare idea al suo giovane collaboratore. Non si sarebbe mai immaginato, alla sua età, di ritrovarsi la canna di una pistola puntata sulla fronte. Deve prendere tempo, riflettere, ma l'ulcera gli pompa bile amara fino alla bocca. Deglutisce a stento, poi annuisce e si avvia verso la sala. Lancia un’occhiata al figlio, ma non si avvicina a lui, né a nessun altro, va dritto verso il bancone. Vorrebbe avere un fucile là dietro, come si usa in America. Ma se anche fosse, avrebbe avuto il coraggio di usarlo? Per un istante pensa di reagire, ma un misto di paura e di ragionevolezza lo fanno propendere per un comportamento più cauto. Si muove lentamente, Gerry, frugando nel suo cervello a caccia di qualche idea brillante. C’è davvero poco tempo. Ogni secondo potrebbe essere prezioso.
***
Khaled recupera il detonatore, fa un fischio a Olivia e con lei esce dal retro. Si allontana qualche decina di metri, diretto verso il parcheggio esterno. Poi si ferma affianco a una macchina, immobile. Fissa il fast food nel quale ha lavorato per anni. Ora suda freddo anche lui. Gli tremano le gambe. Resta ancora qualche istante a contemplare la trattoria, poi asseconda il cedimento delle gambe e si accovaccia dietro un’auto. Il sudore cola e gli chiude gli occhi. Recita qualcosa in arabo. Estrae dal taschino della camicia una foto sgualcita di una giovane donna, forse sua moglie Safiya. La bacia.
Una raffica di vento lo investe. È l’onda d’urto. Sabbia e polvere invadono l’aria lanciate a folle velocità, gli echi del boato si odono in mezza città. Poi il vento cessa e rimane soltanto pulviscolo in sospensione e mortale silenzio. Il fast food è sventrato. Zoppicando sul piazzale, prima dell’arrivo della polizia, Khaled fa in tempo a vedere alcuni resti umani dilaniati. Riconosce una scarpa del suo datore di lavoro, poi il pezzo di legno con incise le sue iniziali, “KJ”, che conservava nel cassetto affianco alla cassa. Intravede anche la foto ancora incorniciata del povero Gerry abbracciato con suo figlio Valerio, militare nella missione UNIFIL in Libano. L’avevano scattata il giorno in cui il sergente De Rosa partiva per il villaggio israeliano di Zar'it, dove per tre anni avrebbe pattugliato la “Blu Line”, difendendola dagli Hezbollah.
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Il racconto è scritto bene e la storia fila senza buchi di trama. I dialoghi sono accattivanti e ben costruiti, fanno salire la tensione. Tutto bello, tutto funziona, come il detonatore che Khalad tiene in mano. Una vendetta spietata, da manuale: fredda e inevitabile.
Eppure, qualcosa nell'ordingno si blocca e quando nel racconto la bomba esplode noi lettori siamo ancora interi. Forse perchè siamo stati preparati fin troppo all'ultima rivelazione, o forse perché la cronaca (o la propaganda) piatti simili ce li ha già proposti.
Una buona storia, che si legge tutta col fiato sospeso sperando che ci sia sfuggito qualcosa, che non sia tutto come sembra... suspance... cala il sipario
Gara d'Estate 2021 Sorriso di Rondine
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però qualcosa non mi quadra, forse perché troppo scontato il finale.
non so se il problema sia quello, per me, naturalmente, ma un effetto me lo fa.
ci sono alcuni refusi da sistemare, tipo i punti fuori dai caporali dei dialoghi, niente altro
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Buoni i dialoghi e caratterizzazione dei personaggi che agiscono in un contesto realistico.
Vedo che è ancora fuori gara, peccato.
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Le radici del Terrore
Antologia di opere ispirate agli scritti e all'universo lovecraftiano
Questa antologia nasce dalla sinergia tra le associazioni culturali BraviAutori ed Electric Sheep Comics con lo scopo di rendere omaggio alle opere e all'universo immaginifico di Howard Phillips Lovecraft. Le ventitrì opere selezionate hanno come riferimento la narrativa "lovecraftiana" incentrata sui racconti del ciclo di Cthulhu, già fonte di ispirazione non solo per scrittori affermati come Stephen King, ma anche in produzioni cinematografiche, musicali e fumettistiche. Il motivo di tanto successo è da ricercare in quell'universo incredibile e "indicibile", fatto di personaggi e creature che trascendono il Tempo e sono una rappresentazione dell'Essere umano e delle paure che lo circondano: l'ignoto e l'infinito, entrambi letti come metafore dell'inconscio.
A cura di Massimo Baglione e Roberto Napolitano.
Copertina di Gino Andrea Carosini.
Contiene opere di: Silvano Calligari, Enrico Teodorani, Rona, Lellinux, Marcello Colombo, Sonja Radaelli, Pasquale Aversano, Adrio the boss, Benedetta Melandri, Roberta Lilliu, Umberto Pasqui, Eliseo Palumbo, Carmine Cantile, Andrea Casella, Elena Giannottu, Andrea Teodorani, Sandra Ludovici, Eva Bassa, Angela Catalini, Francesca Di Silvio, Anna Rita Foschini, Antonella Cavallo, Arianna Restelli.
Special guests: gli illustratori americani e spagnolo Harry O. Morris, Joe Vigil and Enrique Badìa Romero.
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Biblioteca labirinto
Cinque scaffali di opere concatenate per raccontare libri, biblioteche e personaggi letterari
Riportare la lettura e la biblioteca al centro dell'attenzione dovrebbe essere un dovere di ciascuno di noi. Se in qualche misura ci riesce una raccolta di racconti non si può che gioirne, nella speranza che possa essere contagioso, come deve esserlo tutto ciò che ci spinge a riflettere e a interrogarci sull'essenza del nostro esistere.
A cura di Lorenzo Pompeo e Massimo Baglione.
introduzione del Prof. Gabriele Mazzitelli.
Contiene opere di: Alberto De Paulis, Monica Porta, Lorenzo Pompeo, Claudio Lei, Nunzio Campanelli, Vittoria Tomasi, Cristina Cornelio, Marco Vecchi, Antonella Pighin, Nadia Tibaudo, Sonia Piras, Umberto Pasqui, Desirée Ferrarese.
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Human Takeaway
(english version)
What if we were cattles grazing for someone who needs a lot of of food? How would we feel if it had been us to be raised for the whole time waiting for the moment to be slaughtered? This is the spark that gives the authors a chance to talk about the human spirit, which can show at the same time great love and indiscriminate, ruthless selfishness. In this original parody of an alien invasion, we follow the short story of a couple bound by deep love, and of the tragic decision taken by the heads of state to face the invasion. Two apparently unconnected stories that will join in the end for the good of the human race. So, this is a story to be read in one gulp, with many ironic and paradoxical facets, a pinch of sadness and an ending that costed dearly to the two authors. (review by Cosimo Vitiello)
Authors: Massimo Baglione and Alessandro Napolitano.
Cover artist: Roberta Guardascione.
Translation from Italian: Carmelo Massimo Tidona.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
Gara di primavera 2022 - La grandinata (19 luglio 1943) - e gli altri racconti
A cura di Massimo Baglione.
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La Gara 55 - La capsula del Tempo
A cura di Skyla74.
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La Gara 16 - Cinque personaggi in cerca di storie
A cura di Manuela.
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