Dove stiamo andando?

Una zona dedicata alle riflessioni e alle idee.
Questa sezione è per i "pensieri", quelli cioe del tipo "Oggi mi è venuto in mente che... cosa ne pensate?", non per postare poesie od opere personali e chiedere poi di discuterne. Per pubblicare tue opere online, usa l'apposita funzione del nostro sito, grazie alla quale potrai farti leggere ed essere commentato.
Mauro Conti
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Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Mauro Conti »

prendiamo me
bambino negli anni ottanta, adolescente negli anni novanta, e cosi' via.
Penso che ci siano ancora dei valori nella nostra generazione.
Ma quelli che la mia generazione chiama valori, parlando con i più giovani (i nati nel duemila ad esempio) vengono DENIGRATI e DECLASSATI a puri STEREOTIPI.
Le tradizioni, gli usi, i modi di pensare, di essere, le regole di base, le consuetudini sono ridotte a "cose vecchie".
Tutto quello che ha aiutato a crescere la nostra generazione, per i "giovani d'oggi"… spazzatura.
Tante piccole cose, una banalità? A casa mia si mangiava tutti insieme. Io arrivavo da scuola alle tredici e trenta, l'ultimo, e i miei mi aspettavano per pranzare. E si parlava, della scuola, della famiglia, delle vacanze, del lavoro, degli altri parenti, di tutto. Eppure, se parli con un ventenne ora, aspettare un famigliare per pranzare o cenare è una pura sciocchezza, una perdita di tempo, una cosa senza senso. Ognuno mangia quando vuole, quando ha fame, quando finisce di lavorare o esce da scuola, ecc ecc, col risultato che in famiglia sono in cinque e non fanno un pasto tutti insieme MAI. Ognuno per se e Dio per tutti. Questo è solo un esempio ovviamente. Se ne possono fare tanti.
Ma dove stiamo andando in questo modo? Ci stiamo incamminando verso una società completamente individualistica dove questo marcato individualismo a tutti i costi sta uccidendo tutti i valori che hanno condiviso intere generazioni?
Ma è corretto questo?
È giusto che determinati valori siano identificati dai giovani come puri stereotipi o pratiche insensate? Dobbiamo correggere i giovani oppure è giusto che sia cosi'?
Altro esempio, l'educazione, i buoni modi, una volta erano un valore, i miei genitori ad esempio ci tenevano, ora invece… vedete che mondo c'è la fuori. Ma dove stiamo andando veramente?
Io non sono padre (e mi sa che ormai ci metto giù il pensiero, come si dice dalle mie parti) ma veramente non invidio al giorno d'oggi chi deve fare il genitore.
Gabriele Pecci
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Re: DOVE STIAMO ANDANDO?

Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

Da padre di una bambina di cinque anni, io ne ho 38 quindi mi ritrovo nel testo che tu hai descritto nella tua stessa generazione, ti rispondo autocitando parte della mia analisi scritta sotto l'ultima poesia di Domenico che tu stesso hai commentato.

"..Quindi per logica stiamo diventando sempre di più, generazione dopo generazione a nostra volta, solo prodotti ad uso e consumo del nostro stesso modello di vita socioculturale adottato, persone usa e getta in mano alla stessa tecnica da noi posta come piano regolatore su e di ogni aspetto della nostra esistenza, e quindi sotto-messi al suo mantenimento in vista del suo ulteriore potenziamento senza un vero e proprio fine, se non il potenziamento stesso. "

Vuol dire che la capacità tecnica (non la tecnologia, sono due cose diverse) era il mezzo da noi adoperato per raggiungere un nostro determinato fine. Ora invece ci ritroviamo noi ad essere il mezzo della tecnica, adoperato da essa, per protrarre il suo fine senza fine, il suo stesso progresso. Noi siamo diventati quindi il mezzo subordinato alla/della, nostra stessa capacità e comprensione tecnica. Quando o se, creeremo poi una vera intelligenza artificiale che comprenderà o potrà realmente comprendere sé stessa, l'uomo diventerà allora totalmente superato e quindi anche totalmente controllato e ridefinito/ricollocato socio/culturalmente da essa.

Sembra un discorso futuristico, lo so ma in realtà non è così. Prova solo a pensare cosa succederebbe se per un motivo o per un altro si fermasse la procedura tecnica di approvigionamento del cibo nei supermercati, la gente si ritroverebbe in poco tempo senza cibo, e nella maggioranza dei casi, senza più avere o aspetto ben più grave, sapere ( cioè avere la nozione o conoscienza tecnica più adatta) su come fare per reperirlo. Questo è già quindi essere totalmente a nostro modo subordinati ad una propria di specie (ancora), ma non più personale, conoscenza o capacità tecnica (se non ricorrendo all' uso della tecnologia per reperire informazioni utili) su e di un proprio autonomo mantenimento ottimale o quantomeno indipendente, da fattori o dinamiche conoscitive a noi ormai totalmente esterne.


Quindi se non arrivasse più merce nei supermercati e non funzionasse internet per reperire informazioni, nei centri urbani, sarebbe una situazione di totale panico.
Gabriele Pecci
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Re: DOVE STIAMO ANDANDO?

Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

Se invece vuoi una risposta più umanistica, le persone usando la tecnologia di cui disponiamo ora hanno perso ormai la capacità di comunicazione verbale relegando questa in secondo piano rispetto a quella virtuale, da cui ci sentiamo apparentemente più tutelati, più schermati, più sicuri. Ma il non voler affrontare i problemi o le gioie reali per avere modo di condividere solo quelli/quelle virtuali ci ha portato alla non comprensione ottimale di noi stessi, se non essere il più possibile vicino a ciò che si vuole o si sforza in tutti i modi di apparire. Questo porta a cascata alla mancanza di dialogo sia con noi stessi che verso il prossimo, quindi ecco spiegato la perdita dei "valori o condivisione dei momenti" in ambito familiare, ormai essi causano nelle nuove generazioni una sorta di imbarazzo credo, non sapendo o non essendo più in grado ormai di e su come sostenere realmente una situazione di questo tipo. Il problema poi viene in primis dai genitori stessi, sono loro i primi che ormai non cercano o non sanno più portare o approfondire un vero dialogo con i propri figli, dove il dialogo spesso si ferma sul "come è andata a scuola oggi?"
Giancarlo Rizzo
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Re: DOVE STIAMO ANDANDO?

Messaggio da leggere da Giancarlo Rizzo »

E allora cosa dovrei dire io, che ho 78 anni e che ero bambino negli anni 50 e ragazzo negli anni 60? Chi è passato dal ’68 ha visto la trasformazione più incasinata della società. Nella nostra generazione abbiamo gridato a tutti i vecchi che erano dei bigotti e immobili, che erano dei sepolcri imbiancati i cui valori erano da rigettare perché marci. E la prima cosa era di sovvertire, cancellare, anche senza pensare di modificare. Vestirsi male, sedersi per terra, dare del tu a tutti, portare i capelli lunghi e le gonne corte. Si invocava libertà! Si parlava di pace e di femminismo e se volete basta guardare qualche film o sentire la nostra musica.
E ancora oggi, la rivoluzione sociale, nonostante le nuove tecnologie, è ancora in evoluzione perché controllata dalla nostra generazione (il potere economico lo possediamo noi). Abbiamo fatto anche noi quello che hanno fatto le generazioni precedenti, tentare semplicemente di migliorare il tenore di vita e ci siamo riusciti, insegnando ai giovani a vivere in un modo diverso. Oggi i valori sono diversi perché i vecchi non convincono più. Sempre la società si evolve attraversando crisi e correzioni, passando sull’orlo di precipizi, o sbattendo contro muri di resistenza creati dai “ vecchi”.
Io sono ottimista e nonostante, essendo vecchio, possa scandalizzarmi del modo di pensare dei giovani, sono fiducioso e dico con curiosità: chissà dove andremo a finire?
Gabriele Pecci
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Re: DOVE STIAMO ANDANDO?

Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

La differenza è che prima le relazioni erano però fondate sul dialogo umano, sull'attesa, sul saper reggere, portare avanti e affrontare un discorso mettendoci il più delle volte la faccia, avvertendo e avendo modo così di comprendere meglio le proprie e altrui emozioni in maniera diretta. Ora non è più così non è così che si fondano e iniziano la maggioranza delle relazioni, ora ci si nasconde dietro schermi, si guarda più il cellulare che il viso di chi ci è vicino. Ogni generazione ha vissuto i suoi cambiamenti e le sue prese di posizione di volta in volta differenti, ma ora non si è più come una volta in grado di confrontarsi e comprendersi per e su ciò che si è o quanto meno su ciò che a questo ci si avvicina, ma preferibilmente si tende il più possibile a rapportarsi di più solo su ciò che si vorrebbe spasmodicamente essere, su ciò che si vuole cercare in tutti modi di apparire per sentire illusoriamente di avere una qualche rilevanza di tipo sociale, ma questo però poi falsa il reale e la percezione che si ha della realtà, soprattutto sulla comprensione emotiva verso sé stessi, portando avanti la maggioranza del tempo in cui ci si relaziona non direttamente, ma dietro a schermi protettivi a fungere da privacy da comfort zone del e sul nostro intimo e quindi di conseguenza anche sulla comprensione emotiva che si ha o può avere verso il prossimo. Viviamo nella paura di un continuo giudizio, di una spunta, di un mi piace, del like o dislike del momento, di quanta gente si ferma a guardare o leggere un nostro video, un nostro tweet per pochi inutili secondi prima di passare al prossimo, senza nemmeno l'importanza di sapere poi chi o il perché ha dato od emesso questo giudizio, quindi senza una qualsiasi comprensione data, senza nessuna reale emotiva motivazione da cui trarre esperienza sia positiva che negativa, se non sulla propria pervenuta sul momento, ma senza veri e reali riferimenti su cui essere vissuta, e nonostante questo la cosa ci turba comunque, ci ferisce, appena tradisce le nostre aspettative, appena non si viene più riconosciuti come influenti, ed è su questo che si stanno fondando e costruendo le menti dei ragazzi di oggi. Avranno sicuramente le connessioni neuronali molto più veloci delle nostre , esse saranno sicuramente più efficenti nel mondo in cui si dipaneranno e disperderanno, ma esse corrono però su lastre di vetro, basta un niente e il castello privo di reali fondamenta emotive poi crolla su sé stesso. Questo è il grande spartiacque, la differenza abissale umana rispetto a tutte le generazioni passate e ai loro naturali e giusti cambiamenti o prese di posizione chiaramente differenti da quelle che le hanno precedute, compresa la mia generazione o giù di lì, che forse sarà l'ultima tra qualche decennio che potrà poi comprendere appieno tutte le differenze con il passato o su come ci si relazionava in quel lontano passato. Il discorso perciò non è e non sarà più basato sul meglio o peggio, sul si stava meglio quando si stava peggio, sul giusto o sbagliato che sia, ma sulla stessa comprensione che si ha o si può costruire di sé stessi, sulla comprensione reciproca, sulla capacità di reazioni e relazioni emotive solide, e queste non si costruiscono su tik tok, o in base a quanti like si ricevono. Questa generazione, questi giovani anche loro poi saranno chiamati ad essere i futuri genitori di domani e dovranno poi in qualche modo comunque riuscire a comprendere o provare a relazionarsi a loro volta con i loro figli, ma sinceramente guardando lo stato odierno non so su quali basi riusciranno poi a farlo o potranno provare a farlo. Vorrei essere ottimista, ma la realtà corre più che in passato verso la disumanizzazione dell'individuo pressato a favore della pura efficenza, della pragmaticità su tutti i livelli, non si ha più tempo ormai, e senza tempo non si ha più nemmeno uno spazio, lo spazio necessario per potere costruire una nostra individualità, una specificità di relazione umana e quindi di una reale comprensione emotiva.
Ultima modifica di Gabriele Pecci il 03/11/2022, 11:10, modificato 7 volte in totale.
Giancarlo Rizzo
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Giancarlo Rizzo »

È sempre stato così. Se oggi il problema è la relazione con gli altri, prima c’era comunque la relazione con le cose che non si potevano avere se non tentando a tutti i costi di raggiungerle. La maggior parte delle persone vive la vita senza sapere cosa sta facendo per se stessi. Da sempre. Pensa a raggiungere il benessere passando sopra ogni ragionevole comportamento con egoismo e a vote con crudeltà; come sono crudeli i giovani e i bambini. Ho sempre visto, proprio nella mia professione, che nella normalità i genitori viziano i figli, non sanno educarli al sacrifico, all’ordine; spesso sono loro stessi esempio di cattivi comportamenti.
Domanda: qual è il motivo che spinge la gente a vivere con la continua necessità di essere riconosciuta parte del branco? Da dove nasce la paura di essere giudicati? Perché si ha paura di essere soli? Chi dovrebbe insegnare alle nuove generazioni il valore della consapevolezza?
Da sempre, tik tok o non tik tok, il problema è sempre quello: non c’è differenza.
Giancarlo Rizzo
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Giancarlo Rizzo »

leggete https://www.braviautori.it/la-societa-d ... acolo.html di Marcello Rizza. É un saggio che ho trovato bellissimo; lo consiglio per capire l'escursus della società italiana, e non solo, nei periodi di cui abbiamo parlato per capirne il contesto. Lo consiglio.
Mauro Conti
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Mauro Conti »

Interessantissimi tutti i punti di vista e tutte le analisi. So che l'argomento è ostico e non è possibile archiviarlo in quattro e quattrotto (non è un linguaggio raffinato ma cosi' è).
Gabriele Pecci
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

A tutte le tue domande Giancarlo la risposta è sempre la stessa, la mancata o solo parziale, comprensione che si viene a porsi o ritrovarsi su sé stessi. Questa porta inesorabilmente, se assente o in larga misura assente,
verso l'unica ricerca poi possibile, una ricerca esterna, una approvazione, un giudizio positivo, un riconoscimento, una protezione, una aggregazione, una illusione di sicurezza, che risulta però se così posta e ricercata, assai precaria, mutevole, instabile, non lineare cioè, anche sul suo naturale evolvere nel tempo e spazio individuale di crescita proprio e univoco di ognuno. È assurdo basare il proprio stato di valore sul giudizio altrui perché chi è fuori dal nostro tempo e spazio, quindi anche al di fuori della nostra personale individualità, non può giudicare, non può essere giudice di ciò che non può e non potrà mai appieno comprendere, ma solo e al suo massimo, riconoscere; sempre dal suo punto di vista esterno, la persona in questione su un determinato valore o giudizio approssimativo che si viene così a porre, giudizio basato in maniera quindi del tutto soggettiva, ma, spesso e volentieri, piuttosto arbitraria, a seconda solo del proprio gusto o interesse personale. Il tutto poi si esprime a sua volta in relazione alla propria comprensione raggiunta su sé stessi. Si torna quindi a battere sempre sullo stesso punto focale. Motivo per cui mi sento di affermare ora che sì, hai ragione i problemi generazionali di fondo sono sempre gli stessi, perché le fasi di crescita di fondo, sono comuni a tutte le generazioni, ma un conto è il volersi o ritrovarsi a relazionare e relazionarsi col prossimo o con se stessi, in vista di un obbiettivo, verso un oggetto, una meta determinata, una conquista personale, un bene materiale che elevi così ai nostri occhi e anche a quelli altrui il nostro stato sociale percepito anche qui erroneamente come valore stesso della persona, un conto è invece il ritrovarsi in una generazione che non è più in grado però, o presenta già in partenza (pervenuta da un contesto interno familiare già di suo non più idoneo da questo punto di vista, avendo questi stessi deficit di comprensione già più che evidenti, deficit che vengono così passati ai figli, il tutto accompagnato poi da un contesto esterno di forte e continua pressione sociale) gravi lacune sulla propria comprensione emotiva di base, quindi emozionale, presentando così percezioni individuali, perseguendo la loro crescita e maturazione sociale ed emotiva su questa strada, non più realistiche, perché queste poi non vengono e non si possono riconoscere come tali (reali) se non vengono mai o assai di rado poi a rispecchiarsi, o quantomeno a ritrovarsi in un rapporto o in un contesto sociale che purtroppo nella realtà dei fatti oggi si presenta sempre meno diretto e attivo verso l'altro.

Questo poi porta anche ad una incapacità di comprensione ed espressione sul loro vero potenziale, potenziale che così facendo viene poi sperperato e sprecato nel loro tempo e spazio utilizzato in larga misura solo con l'obbiettivo di ottenere un vago ed effimero riconoscimento momentaneo di esistenza o influenza virtuale, ma percepita erroneamente invece, e del tutto, come reale o attiva nella società.

Bisognerebbe mettere e ridefinire in primis i termini stessi di questo "progresso social" le concezioni stesse legate alle parole che lo definiscono, termini attribuiti assai consapevolmente e furbescamente da chi li ha introdotti, ma totalmente errati e ingannevoli a definirlo o percepirlo realmente come tale.

Anche questo porta solo ad una forma di controllo e manipolazione sulla persona.

Una persona che non comprende sé stessa, risulta molto più malleabile ai dictat imposti dalla società.

Non sapendo riconoscersi, non comprendendo chi sono, né il proprio posto, è la società che poi li manipola a seconda di come più le torna comodo al suo guadagno, ecco così arrivare a smuovere e definire lo stato di massima aspirazione sociale le figure degli influencer, ricchissimi promotori che come pifferai magici guidano il giudizio e i bisogni indotti alle masse, ma , a differenza della storia, inconsapevoli a loro volta, del loro stesso, come altrui, per emulazione, declino emotivo.
Marcello Rizza
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Marcello Rizza »

Giancarlo Rizzo ha scritto: 03/11/2022, 8:41 leggete https://www.braviautori.it/la-societa-d ... acolo.html di Marcello Rizza. É un saggio che ho trovato bellissimo; lo consiglio per capire l'escursus della società italiana, e non solo, nei periodi di cui abbiamo parlato per capirne il contesto. Lo consiglio.
Ussignur! Mi costringi ad andare a rileggerlo. L'ho scritto come tesina di maturità e a malapena lo ricordo. Comunque, grazie per la citazione. Ora sono un po' preso con situazioni confuse di carattere personale, che riguardano la salute di mia moglie, ma trovo il tempo di passare a leggere qualcosa. Non entro invece nel merito della discussione perché: 1. non mi sento così capace di interloquire, soprattutto quando non sono d'accordo e conscio di una cultura che difetta e pertanto senza avere una verità, come sembra altri hanno. 2. Ho altre priorità (urgenze) di soccorso a chi mi preme. Un caro saluto a tutti.
Giancarlo Rizzo
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Giancarlo Rizzo »

Ti faccio i miei auguri che tutto vada per il meglio.
Mauro Conti
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Mauro Conti »

(Mi rallegra il fatto di avere il privilegio di leggere commenti mai banali e parecchio interessanti, accompagnate da analisi di persone lucide, indubbiamente dotate di intelligenza e spirito critico.
Deduco che l'argomento sia stato interessante anche per voi.
Non mi addentrerei nella fattispecie giuridica e giurisdizionale della cosa, questa sfaccettatura lasciamola ai giuristi e ai codici, civile e penale.)

Faccio un altro esempio pratico.
Ai miei tempi all'ingresso della maestra ci si alzava in piedi, la si salutava (in coro), gli si dava ESCLUSIVAMENTE DEL LEI.
Stereotipo superato? Cose ormai di altri tempi? Oppure dimostrazione di un'educazione che è andata in questi ultimi trent'anni sempre al continuo ribasso? Colpa della scuola? Colpa della società? Dei genitori? Di tutti questi? Ma in che percentuali?.
Il salutare la maestra all'ingresso per noi era un valore, diciamocelo. Una prima bandierina di educazione. Ma non era il gesto stesso che in se può essere banale, ma significava essere indirizzati verso un cammino più completo da bambini verso l'età adulta dove la scuola e la famiglia ti insegnavano che nella società ci sono delle REGOLE; esistono dei superiori che vanno rispettati, dei compiti da eseguire, degli impegni da portare a termine, degli obiettivi da perseguire, dei modelli.
Il saluto alla maestra non era l'azione in se di alzarsi in piedi e fare il coro dicendo BUONGIORNO sig.ra Maestra, ma è il simbolo che delle regole esistono!
Queste regole che sono state da me definite "valori", ci sono ancora secondo voi?
Mauro Conti
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Mauro Conti »

Marcello Rizza ha scritto: 03/11/2022, 21:21 Ussignur! Mi costringi ad andare a rileggerlo. L'ho scritto come tesina di maturità e a malapena lo ricordo. Comunque, grazie per la citazione. Ora sono un po' preso con situazioni confuse di carattere personale, che riguardano la salute di mia moglie, ma trovo il tempo di passare a leggere qualcosa. Non entro invece nel merito della discussione perché: 1. non mi sento così capace di interloquire, soprattutto quando non sono d'accordo e conscio di una cultura che difetta e pertanto senza avere una verità, come sembra altri hanno. 2. Ho altre priorità (urgenze) di soccorso a chi mi preme. Un caro saluto a tutti.
In bocca al lupo Marcello.
Vienici a trovare quando puoi :-)
Giancarlo Rizzo
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Giancarlo Rizzo »

[ ma significava essere indirizzati verso un cammino più completo da bambini verso l'età adulta dove la scuola e la famiglia ti insegnavano che nella società ci sono delle REGOLE; esistono dei superiori che vanno rispettati, dei compiti da eseguire, degli impegni da portare a termine, degli obiettivi da perseguire, dei modelli.
Il saluto alla maestra non era l'azione in se di alzarsi in piedi e fare il coro dicendo BUONGIORNO sig.ra Maestra, ma è il simbolo che delle regole esistono!
Queste regole che sono state da me definite "valori", ci sono ancora secondo voi?

Da giovani abbiamo fatto fatica per cambiare le regole. Molti modelli sono stati buttati a mare perché le regole spesso nascondono ipocrisia. Esempio: la donna deve arrivare al matrimonio vergine (regola) che valore difende questa regola? L'amore è il valore? la fedeltà?
Altro esempio: bisogna vestirsi con la divisa del perbenismo ( cravatta e giacca): cambia il valore della persona? L'apparenza non è il valore.
E così via. Ma molti valori sono rimasti gli stessi anche cambiando le regole.
Mauro Conti
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Mauro Conti »

Molto bene Giancarlo, comprendo il tuo pensiero.
Quindi, se non ho capito male, consuetudini, usi e costumi non hanno mai avuto nessun "valore" (è proprio il caso di usare questo termine)...
Quindi, per capire, per te molti comportamenti e/o usanze sono dei veri e propri esercizi di ipocrisia? Non pensi e non credi che ci debbano essere dei paletti, delle colonne portanti, dei punti fermi nella società? Quali poi ne possiamo discutere ma secondo il tuo pensiero molte regole di educazione e senso civico si riducono a perbenismo e mere usanze stereotipate? Mi pare una forzatura.....
Gabriele Pecci
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

Credo che il buongiorno o il saluto al docente ad inizio lezioni, non servisse a funzione di vera o propria regola. Credo che esso delineasse più una forma di rispetto verso una persona più adulta, e sancisse così il momento di relegare l'attenzione di tutti verso l'inizio della lezione.
Io non so come sia ora alle elementari/medie o superiori, ma credo che se si sia persa questa chiamiamola proforma, si sia persa magari solo una forma di rispetto e attenzione data in quanto tale. Concordo con le affermazioni di Giancarlo, spesso le regole o per alcune di quelle poi vissute o percepite come tali nascondono però una nemmeno troppo velata ipocrisia per chi ne usufruisce, e quindi un sentimento di ribellione per chi le deve poi mettere in pratica o subire. Non credo siano questi gli aspetti cardine che cambiano realmente o mandino concretamente alla deriva una società. Ogni generazione è semplicemente figlia del suo tempo, ed ogni tempo ha, e propone, nuovi parametri, nuove proforme su cui ritrovarsi ad interagire.
Gabriele Pecci
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

Non esistono punti fermi Mauro, nemmeno sulla validità delle regole, o dei valori, tutto muta e tutto si ridefinisce a seconda della rappresentazione che l' uomo fa' e dà al mondo con cui si trova ad interagire. Ragionando sotto questi termini altrimenti saremmo ancora oggi ad applicare regole ferree da medioevo, questo solo perché esse sanciscono o per meglio dire , sancivano, fortunatamente, immutabili valori.
Ultima modifica di Gabriele Pecci il 04/11/2022, 18:02, modificato 2 volte in totale.
Gabriele Pecci
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

Concordo però che servano basi chiare, non ferme, mutabili anch'esse, ma che portino però verso la comprensione emozionale di sé. Non voglio essere pedante, ma la partita è tutta lì. Se io conosco me stesso, so io comprendo quello che è il mio bene ed il mio male, se poi mi trovo ad interagire con altri posso grazie a questa comprensione ben chiara, comprendere empaticamente ciò che non vorrei che venisse fatto a me, quindi automaticamente ciò che io non dovrei fare agli altri. Le regole, i paletti, i valori, servono solo o alla fine in caso, a sopperire a questa stessa limitata, acerba, o latitante mancanza di comprensione.

La comprensione deriva in primis dall'osservazione e ascolto, poi dalla replicazione di determinate emozioni che noi veniamo già a subire fin dalla gestazione. Quindi un contatto, una connessione emotiva, uno scambio possibile, solo tramite la condivisione di emozioni dirette, faccia a faccia, con altri esseri umani (quello che difatti ora inizia a mancare). Comprensioni poi sempre più affinate tramite una costante auto riflessione e continuo relazionarsi con altri sulle stesse, per tutta l'età adulta. Non sono quindi i valori in sé che delineano un certo comportamento, ma la comprensione dietro questi, relativa alla propria e altrui persona.

Ti faccio un esempio lampante su ciò che voglio dire.


50 anni fa in Italia fa era ancora in vigore il delitto d'onore, cioè se tua moglie ti tradiva, tu potevi anche commettere un omicidio e in questo caso la legge, quantomeno giustificava il tuo gesto in virtù del tuo leso onore. In altri termini l'onta da te subita, il valore di questa era quantificata superiore al valore di vita umana di chi ne è stata poi causa scatenante. Ora questo era visto quindi come un valore sancito e giustificato da una regola, da una legge burocratica. Bene, se ragioniamo solo quindi in termini di leggi e valori applicati o applicabili, quindi su quelli in vigore all'epoca, dovremmo poi dare incondizionatamente ragione ad essi. Se invece noi emozionalmente comprendiamo già il diverso valore tra causa ed effetto, cioè la differenza tra un tradimento e la giustificazione di un omicidio, come in questo caso, sappiamo benissimo senza bisogno di regole o leggi che lo sanciscano, quale delle due poi superi in importanza o rilevanza l'altra. Quindi non sono le regole o i valori che comunque cambiano e continueranno sempre a cambiare come cambia e muta sempre una società, ma la propria comprensione di essi, è la comprensione dietro agli stessi concetti di valore o di regola che, sancisce e delinea poi, il nostro comportamento o grado di esso, smascherando anche o in caso, la velata o palese ipocrisia. Questo è l'unico processo infatti che rimane e rimarrà sempre valido e applicabile su ogni tempo o epoca, sia passata come futura, cioè su ogni possibile rappresentazione che diamo o possiamo dare di volta in volta al mondo in cui siamo chiamati a vivere.
Ultima modifica di Gabriele Pecci il 05/11/2022, 13:21, modificato 1 volta in totale.
Gabriele Pecci
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

Concordo con la tua analisi, ma questo procedimento è esso stesso parte naturale dell'uomo, il cambiamento della società, cioè la rappresentazione che si ha di essa in relazione al tempo e lo spazio di ogni singolo individuo. Ciò che incide realmente a mio avviso è solo stato in tutto questo meccanismo, prima l'ingresso, ma ora diventato predominio, di un fattore differente dai normali cambiamenti avvenuti nel passato di una qualsiasi società presa in analisi nel suo tempo. Un fattore che nel mondo che ci rappresenta oggi ci porta a progredire molto più velocemente, ma al contempo limita e diminuisce altrettanto velocemente e drasticamente la comprensione di noi stessi, quindi la socializzazione e relazione diretta anche verso gli altri, soprattutto visiva e acustica, dove con tutti i nostri mezzi ora noi si guardiamo e ascoltiamo tutto di tutti, ma non guardiamo né ascoltiamo in realtà mai veramente nessuno, molto meno che in precedenza, dove almeno era ben più presente la possibilità di un confronto diretto, ci si doveva "studiare" faccia a faccia per venire a capo delle questioni e quindi imparare nel bene o nel male qualcosa di più, sia su di sé, sia di riflesso anche sull'altro. Noi ora non vediamo e ascoltiamo nemmeno più noi stessi, figuriamoci il prossimo, perché il tutto ormai è diventato solo un rumore od una visione di sotto-fondo, uno svago inutile, un momento di noia da scorrere velocemente con un pollice, o al massimo visto o percepito più come un incidente di percorso sulla/della/nella, nostra costante e abitudinaria solitudine emotiva, solo falsamente e in seguito, poi edulcorata, modificata e quindi "condivisa". Il problema è la mancanza di un vero dialogo interiore ed esteriore, del sapere aspettare sé stessi e l'altro, del volere mettersi in gioco in prima persona, in e su un reale confronto aperto ed emotivo. Ormai non sappiamo nemmeno più come si fa tutto questo, perché ormai tutto è diventato solo relativo al nostro stesso modo di relazionarci, virtuale, macchinoso, numerico, artificiale.
Gabriele Pecci
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Concordo con quello che dici, ma qui non si sta parlando di eccezioni o singoli, è chiaro che non sto asserendo che per tutti le forme di relazioni possibili si siano abbassate sui livelli che descrivo, ma parlo delle masse, dei fenomeni di rilievo nelle masse che hanno o stanno cambiando la percezione del reale. Io non ho mai detto che si viveva meglio nel mondo di prima o nel medioevo per dire, non sto paragonando i periodi o tempi sociali tra migliori e peggiori, sto solo rimarcando il fatto che anche noi adesso stiamo si comunicando, ma non basta per dire leggere un libro per comprendere realmente ciò che in esso ci sia scritto, lo si può capire, ma finché non si vivono quelle determinate emozioni o riflessioni sulla propria pelle e poi le si riconosce o le si condivide direttamente anche con l' altro, non c'è un vero rapporto di relazione o di reale crescita a livello emotivo. Se si sta la maggioranza del tempo a scrivere o parlare solo davanti ad uno schermo non c'è vera relazione e scambio emotivo, ma solo uno scambio virtuale, una percezione falsata della realtà e del reale, una solitudine, scambiata per socialità. Questa è la grande differenza dei nostri tempi rispetto al passato, ovvio (per fortuna) che siamo migliorati socialmente, ma se questo poi porta come sta portando al deserto emotivo, bisogna per arginare o provare minimamente ad arginare questo fenomeno, almeno ridefinire i termini che stanno cambiando questa società, quantomeno per renderli comprensibili su ciò che essa sta ora inesorabilmente portando.

Se io ora esprimo scrivendo un mio pensiero, esso è si forma di comunicazione, ma ha un effetto percepito totalmente differente da uno stesso pensiero che venisse però espresso in presenza fisica. Il pensiero che scrivo o che posso leggere è o risulta quasi totalmente univoco, cioè non c'è un vero riflesso emozionale di ritorno essendo questo derivato principalmente da una presenza ed espressione fisica dello stesso. Il nostro perciò non è un vero dibattito, ma una esposizione univoca del proprio differente pensiero o sentire. Tutti interessanti e coinvolgenti, ma nessuno di essi, i miei compresi naturalmente, risultano poi realmente incisivi su di una loro reale comprensione emotiva.
Giancarlo Rizzo
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Ma perché mai l'emotività nelle relazioni deve essere concepita come essenziale? Abbiamo sempre inteso che la ragione (opposto di emozione) debba essere privilegiata nelle relazioni tra umani. Secondo me leggere un libro essendo una relazione mentale con l'autore anche se a senso unico, vale quanto un rapporto fisico perché la fantasia permette alla mente di fare le trasformazioni emotive che vogliamo. La società si evolve con il contributo individuale di tutti, compresi, e soprattutto degli influencer (sigh!). Lasciamola evolvere; l'importante è muoversi e non fossilizzarsi su concetti, valori compresi, che invecchiano come noi.
Gabriele Pecci
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Giancarlo Rizzo ha scritto: 05/11/2022, 21:04 Ma perché mai l'emotività nelle relazioni deve essere concepita come essenziale? Abbiamo sempre inteso che la ragione (opposto di emozione) debba essere privilegiata nelle relazioni tra umani. Secondo me leggere un libro essendo una relazione mentale con l'autore anche se a senso unico, vale quanto un rapporto fisico perché la fantasia permette alla mente di fare le trasformazioni emotive che vogliamo. La società si evolve con il contributo individuale di tutti, compresi, e soprattutto degli influencer (sigh!). Lasciamola evolvere; l'importante è muoversi e non fossilizzarsi su concetti, valori compresi, che invecchiano come noi.

Tutto ciò che hai scritto risulta vero o quasi, ma solo dopo che si è costruito un palco emotivo in cui riconoscersi e riconoscere l'altro. Ecco perché l'emotività è essenziale perché è la base su cui si costruisce l'individualità di una persona nel rapporto prima con sé stessa e poi nel rapportarsi con gli altri. Ovvio che poi anche su questo è necessario non essere da questa poi sopraffatti, ma nemmeno esenti, altrimenti i risultati poi sono quelli che si vedono. Basta pensare come esempio su quel che dico al nazismo, o a qualunque altro tipo di idealismo di razza, a come esso ha fatto breccia sfruttando la paura e la non comprensione reale di sé, rapportata su quella dell'altro. Questo è successo anche in tempi in cui non era ancora predominante una tecnologia che allontanasse "unendo" al contempo la collettività e condivisione delle persone,. Immaginate cosa accadrebbe se succedesse lo stesso o qualcosa di simile oggi, il tutto rapportato ad il livello di comprensione emotiva che imperversa. Da un lato c'è anche da dire che l'informazione per quanto manipolata o di parte sia, quantomeno è diventata al contempo uno strumento di denuncia molto più veloce. Io stesso mi rendo conto quindi dei pregi e difetti di questi nuovi mezzi, l'unica cosa che mi preoccupa è la bilancia tra questi due fattori. Tant'è, ad ogni modo non si può più, né sarebbe giusto o auspicabile tornare indietro, ma occorre come dicevo essere almeno più chiari e meno ingannevoli quantomeno nei termini usati per avere o portare una comprensione un minimo più reale su di essa, e sul suo utilizzo di massa.
Ultima modifica di Gabriele Pecci il 06/11/2022, 3:57, modificato 1 volta in totale.
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Vi faccio una domanda secondo voi in percentuale se si assistesse ad una lezione diciamo universitaria, di una qualsiasi materia portata dallo stesso bravissimo insegnante, si rimane più coinvolti o si apprende meglio la lezione assistendo ad essa in maniera fisica o virtuale? Se fosse necessario dibattere di un tema politico essenziale per il paese, preferireste che venisse portato a termine fisicamente o virtualmente? Se tu Giancarlo ora potessi, preferiresti leggere un libro sulla legge di relatività o discutere di questo direttamente con Einstein, quale dei due ti arricchirebbe emozionalmente o comprensibilmente sul tema discusso o affrontato di più? Oppure, se si sposa vostra figlia preferireste essere presenti fisicamente o collegati virtualmente alle nozze? Se un vostro parente o congiunto è in fin di vita vorreste essere fisicamente vicino a lui/lei negli ultimi istanti, oppure vorreste o preferireste assisterlo o essere presenti attraverso il filtro di uno schermo? Quale dei due modi vi risulta preferibile umanamente? E quindi quale dei due modi vi risulta adesso più idoneo in termini di scambio di opinioni, apprendimento o percezioni e condivisioni emozionali? Con quale di questi due approcci vi sentireste più coinvolti emozionalmente e manterreste così più vivida la vostra memoria a breve come a lungo termine, su questi aspetti?

Comprendete le sostanziali differenze? l'importanza assolutamente non trascurabile di un rapportarsi od un relazionarsi che per ovvie ragioni tra gli esseri umani deve rimanere sempre come auspicabile, per non perdere o limitare fortemente la propria e altrui comprensione, fatto e posto in una maniera prevalentemente diretta e reciproca.
Ultima modifica di Gabriele Pecci il 06/11/2022, 4:22, modificato 7 volte in totale.
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Questa è la disumanizzazione emotiva od emozionale che intendo e a cui neanche troppo lentamente direi stiamo andando incontro. Non è un discorso del si stava meglio quando si stava peggio, è un discorso di un nuovo approccio alla realtà intesa come reale che si viene a vivere però più in modo virtuale che fisico. I nostri corpi però sono fisici e i nostri pensieri vengono eseguiti tramite reazioni, mappature fisiche di tipo emotivo o emozionale, dove quindi hanno bisogno per venire espressi e compresi al meglio, di una presenza costante e di uno scambio tra di essi, se si vuole poi creare una reale condivisione, questa deve essere fatta e posta in maniera prevalentemente di tipo fisica, che per forza di cose rimane più impressa, lascia cioè un segnale e un segno differente dentro al corpo, una differente memoria di essa (è meglio secondo voi avere poche foto stampate, tutte diverse tra loro da scorrere lentamente tra le mani, oppure duemila foto tutte pressoché identiche o simili che ci dimentichiamo due secondi dopo averle fatte, facendo quando ci capita giusto una scrollata veloce senza nemmeno guardarle?) ; non solo limitata quindi ad una visione di solo "ascolto" , o di sola "presenza" e "condivisione" virtuale, su ciò che si sente o si vuole esprimere, dove e per lo più in questo caso, risulta essa stessa poi univoca e indiretta, perciò immediatamente poi sostituibile con una nuova o differente versione di essa.
Ultima modifica di Gabriele Pecci il 06/11/2022, 3:41, modificato 3 volte in totale.
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Re: Dove stiamo andando?

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Ora noi viviamo nella rappresentazione di un mondo dove già oggi, un lavoro di tipo esecutivo può venire svolto con un click, con un click quindi si possono volendo oggi stesso distruggere vite, in tutte le concezioni possibili del caso, siano esse messe al bando ed escluse sotto termini sociali, economici o lavorativi, dove gli esempi reali su questo naturalmente già si sprecano (assunzioni o licenziamenti secondo la valutazione dei profili facebook, gente truffata dei propri risparmi di una vita tramite messaggi, email o truffe virtuali, gente ricattata tramite appropriazione illecita sulle informazioni dei propri profili personali, ecc.) Questo proprio perché siamo tutti virtualmente collegati uno all'altro, ma fisicamente ed emozionalmente sempre più distanti dalla realtà, da rendere poi possibile realmente, e non solo virtualmente, tutto questo. Perché il virtuale diventa e diventerà sempre di più, il nostro reale. La differenza tra questo ed una metodologia passata, dove accadeva praticamente la stessa cosa, anche senza l'uso di questi nuovi mezzi o sistemi, è da ricercare prevalentemente in due fattori, la portata esecutiva (può toccare indistintamente tutti e in qualsiasi momento, anche più gruppi contemporaneamente), e il fatto assolutamente non trascurabile che possa essere un qualsiasi singolo individuo, un perfetto signor nessuno, letteralmente uno qualunque, a portarla in atto, o a termine, senza che esso magari faccia parte o aderisca per forza di cose a qualche sistema, organizzazione o regime di tipo totalitario come più spesso in queste specifiche situazioni accadeva in passato, o come oggi in determinate realtà può ancora succedere. Stiamo delegando e relegando quindi sempre di più ogni aspetto della nostra socialità e interscambio emotivo, prevalentemente fisico di un tempo, verso quello di un possibile nuovo approccio di tipo invece, prettamente o preferibilmente per interessi o semplice comodità, virtuale. Questo poi risulta tanto efficace nel porsi, proprio dovuto in "virtù" e a ragione (per tornare al tuo discorso Giancarlo) al distacco emotivo con cui esso viene poi emesso e quindi con la facilità con cui viene così privo da una qualsiasi empatia, anche minima, nel trovarsi di fronte una persona reale, espresso, cioè in maniera decisamente più distaccata nel porsi gli uni verso gl'altri o in sua sola, univoca ragione, a discapito perciò solo di quella altrui.
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Re: Dove stiamo andando?

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"Quando si riesce a far breccia nelle idee della gente sfruttando le loro emozioni è poi difficile convertire quel pensiero razionalmente"

Esatto, è per questo che bisogna avere una almeno buona e conscia comprensione personale di queste emozioni. Quindi la domanda diventa come si costruisce una buona base emotiva?

Relazioni sociali dirette unite poi alla propria riflessione costante su di esse.


Esempio stupido. Stanotte verso mezzanotte quattro ragazzi tra i 15/20 anni si sono messi a giocare a pallone (a muretto) contro il muro della casa dove abito dove, essendo noi al primo piano, rimbombava tutto, questo naturalmente oltre agli schiamazzi di gioco, così ho tirato su la serranda, avendo la camera proprio sopra la parete in questione e gli ho detto di andare a giocare al parco, parco che per l'esattezza si trova solo a cinquanta metri di distanza e in bella evidenza e di cui erano quindi perfettamente consci. Ora loro non erano né ubriachi, né alterati psicologicamente, giusto la solita strafottenza giovanile che è normale e posso anche comprendere. Il punto è che nella loro testa non è nemmeno sorto un minimo dubbio o problema, se quello che stavano facendo fosse poi giusto o elemento di disturbo per altri, come per qualcuno che voleva dormire, poteva stare male ecc. Cioè una evidente mancanza o lacuna emotiva di comprensione propria e quindi anche altrui.

Per imparare un determinato tipo di lezione sinceramente non credo che il salotto di casa se collegati solo via internet e non in presenza fisica di un insegnante, come può essere per dire invece una lezione di recupero scolastico, possa avere poi lo stesso tipo di concentrazione e apprendimento equiparabile ad una in presenza. Oltre il fatto che, come hai sottolineato anche tu i ragazzi soprattutto, ma anche gli adulti, hanno sempre bisogno di socializzare tra loro per imparare o per raffinare proprio quello che sto cercando di esprimere.

Sulla mie domande:

Sulla lezione può essere anche che uno preferisca la lezione virtuale, il punto poi diventa però, perché?

Probabilmente perché essa risulta poi più asettica, più comoda, più gestibile emozionalmente se noi ci troviamo davanti e protetti da uno schermo, a distanza, in una situazione quindi decisamente più a nostro favore, invece che a fronte di una persona fisica in questo caso di un insegnante.

Ma è gestendo le difficoltà che si cresce o si matura, gestendo cioè uno stress derivato da una condizione non sempre a nostro favore.

Questo naturalmente sempre che si abbia la possibilità concreta di una lezione in presenza.

Lo stesso principio vale esattamente anche per le decisioni politiche, nonostante qui posso ammettere anche alcuni vantaggi di tipo strategico in questa modalità presenti o che vengono a subentrare e di cui mi rendo perfettamente conto, anche se il ragionamento dietro è sempre lo stesso e quindi il discorso, almeno sul principio emozionale e di stress, resta valido.

Altro esempio apparentemente stupido, ma che rende bene l'idea. Secondo voi è stato si o no molto più facile ordinare di sganciare le due bombe cariche di democrazia Americana sul Giappone non essendo o trovandosi il presidente Americano fisicamente o in prima persona in Giappone, oppure no? Non intendo sul luogo stesso, ma all'interno del paese, faccia a faccia cioè con il popolo che si apprestava a bombardare e la sua controparte politica Giapponese. Questo è sempre per sottolineare che la questione non è certo nata oggi solo grazie alla tecnologia. Solo che oggi questa disumanizzazione, nell' esempio l'ho portato all' estremo ovviamente, di palese distanza emotiva, si sta evolvendo in maniera drastica su quasi ogni nostro quotidiano aspetto personale, così come sociale.

Sulle nozze e il capezzale, non c'è niente da aggiungere quello è evidente per tutti, era provocatoria la mia domanda, però di sto passo, finiremo forse, anche per non avere più tempo o spazio nemmeno per questi aspetti, spero di no naturalmente.

Sulle foto, io ti chiedo semplicemente quante foto che tu hai sul cellulare o quelle di chi tu conosci che ha sul suo cellulare, poi effettivamente quante di queste vengono stampate o si riguardano con attenzione, invece che scrollarle generalmente e velocemente solo con un pollice. Oppure, avverti anche tu una differenza sostanziale invece nel recuperare magari un vecchio album di foto e riguardare attentamente ognuna di queste foto una per una, sfogliando l'album o tenendole in mano fisicamente? Secondo te dove risiede la differenza o percezione emozionale differente che tu provi o puoi provare? Il che almeno a mio avviso percettibilmente rende il tutto molto differente che averle e guardarle o meno che sia, scorrere a ruota continua o restare ferme su un desktop. Il problema qui risiede nella reperibilità e facilità di archiviazione, che determina quindi una quantità spropositata e pressoché inutile di foto con cui riempiamo gli smartphone a fare una sostanziale differenza con il passato. Con il rullino, avendo un numero relativamente basso di foto eseguibili, fino alla messa in stampa di queste che veniva pagata, non si sprecava di certo nessuno scatto, e questo donava loro una relativa o specifica importanza.

Ciò che dico ripeto, non lo dico o riporto su basi nostalgiche, non lo dico perché credo sia giusto ora tornare indietro, perché non lo è, e non lo può nemmeno essere in nessun caso. La realtà che ci rappresenta oggi è questa, ed è con questa che bisogna relazionarsi ed approcciarsi, non serve a nulla dire "si stava meglio quando si stava peggio" è totalmente inutile e solo atemporale. Ragiono perciò analizzando la differenza che intercorre tra i mezzi di cui disponiamo oggi e quelli passati, su come essi non solo ci stanno modificando sulle nostre abitudini o consuetudini socioculturali, ma anche emozionali, soprattutto sulla capacità di comprensione e relazione, verso di sé come verso il prossimo. Questo non per voler tornare ad un passato o rimpiangere a mio modo il passato, ma per migliorare o cercare di migliorare una possibile e giusta comprensione, mia personale in primis, sul presente di oggi.

La stessa comprensione che mi fa comprendere perciò, sia l'utilità che l'inutilità nel caso, dell'uso, o nel modo d'uso che ho a disposizione su determinati mezzi o tecnologie, oggi presenti.
Ultima modifica di Gabriele Pecci il 07/11/2022, 18:18, modificato 1 volta in totale.
Gabriele Pecci
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Re: Dove stiamo andando?

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Giancarlo Rizzo
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Giancarlo Rizzo »

I ragazzi della via Pál - Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/I_ragazzi_della_via_Pál

West Side Story - Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/West_Side_Story

e non c'erano i social....
Gabriele Pecci
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

Vero, ma è anche e soprattutto a volte, il contesto stesso tuo interiore o che ti fa da contorno, in cui tu ti ritrovi ad essere o interagire che modifica o influisce negativamente o felicemente, direttamente o indirettamente, sulle tue scelte. Altrimenti come per l'esempio che ho fatto sul nazismo non si spiega perché la stragrande maggioranza di una intera nazione ha permesso il suo realizzarsi o acconsentito comprensibilmente il suo affermarsi. Lo stesso vale sui comportamenti, che appaiono così più o meno felici ai nostri occhi sulla generazione di oggi.
Mauro Conti
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Re: Dove stiamo andando?

Messaggio da leggere da Mauro Conti »

Ma quindi secondo voi (alcuni di voi) pensano che i valori vadano sempre contestualizzati? in base al chi, al cosa, al come, al quando, al perchè....
In questo modo non sono più valori, sono mode, abitudini che vanno e vengono, gesti vuoti o pensieri vuoti; e che fare o non fare una determinata cosa non faccia alcuna differenza.
Questo no perchè sono altri tempi, quell'altro non importa tanto sono con tizio e con caio, quell'altro nemmeno tanto il tempo di quella cosa è passato.
A vivere cosi', amici miei, forse sfugge qualcosa....è la Jungla! La savana!
Altra precisazione, io ho parlato di valori e non di "valori morali", non ne faccio una questione morale (lungi da me mettere paletti morale e men che meno moralistici).
Fare molta attenzione a questo passaggio....in quanto la morale dipende dalla coscienza individuale, mentre i valori da quella sociale. Differenza e-nor-me.
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