Puccini e la luna
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Puccini e la luna
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È difficile riuscire a comunicare il tormento di Puccini se non facendolo vivere al lettore in quegli stessi momenti.
Ed è così tristemente banale, vuota di senso, l'insistenza di Ricordi che volle far concludere la Turandot: crediamo di vedere oggi il peggio del capitalismo, ma cos'è quell'affidare un'opera d'arte a un altro se non affannarsi a cercare denaro privato della ragione stessa che lo genera? Bene fa dunque, Toscanini, quando ferma l'orchestra, e il tuo racconto chiude così il proprio ciclo: l'opera NON doveva finire diversamente, ma solo chi sia dotato di una certa sensibilità può apprezzarne il senso.
Puccini mentalmente innamorato della Turandot, ossessionato da una donna così speciale, una donna DONNA, una compagna. In un'Italia che si affacciava al fascismo, una donna capace di tener testa e far tremare gli uomini, capace di vendicarsene. L'hai ben descritta tu.
Nunzio... Mi fermo qui. Continua a creare.
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Re: Puccini e la luna
Altra cosa che deve rispettare, è che il suo titolo deve essere "Commento" e basta.
Il tuo commento ha come titolo "Re: Puccini e la luna" (e puoi editarlo).
Non so se raggiunge i 200 caratteri.
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Non mi ha fatto impazzire questo dover per forza reinterpretare, per forza dire qualcosa di nuovo; a dire il vero Puccini non mi fa mai luccicare gli occhi.
Quella di Turandot è una favola trasposta da un racconto persiano che somiglia un po' all'enigma della Sfinge di mitologica memoria. Il sacrificio della schiava salva i due futuri amanti in un trionfo di buoni propositi a venire e poco importa del sacrificio della povera Liù. Certo, né Khalaf né Turandot ne escono bene. La storia è semplice, una contrapposizione tra amore e morte in cui però affiora il carattere ossessivo della principessa, decisa a sfuggire alla stupro matrimoniale, e quello temerario del suo futuro marito, disposto a tutto pur di conquistarne il cuore (e il trono perso dal padre).
Anche a mio avviso l'opera termina con la morte di Liù. Il trionfo matrimoniale dei due reali viziati pargoli perde importanza difronte al sacrificio della schiava. Un sacrificio che non ha altro fine se non quello di evitare al proprio padrone un lutto, pure se da un certo punto di vista, quello religioso moralistico, quella che viene rappresentata è la redenzione attraverso il sacrificio. Pure se è il sacrificio di una povera schiava. Ma, ça va sans dire, i reali raramente pagano di tasca loro. Si sono sacrificati per interposta persona, ecco, ma si sono redenti di persona.
Con Liù termina la Turandot anche per me, ma non perché la Turandot somiglia a Medea, come l'autore ci propone nel finale messo in bocca a Puccini, ma proprio perché non le somiglia affatto. È un personaggio privo di un vero spessore tragico. Come anche Liù, d'altra parte, simile a una delle tante vergini martiri dall'iconografia colma di seni asportati e mani mozzate per un'idea, per sopravvivere a se stesse attraverso l'apocalisse del proprio corpo (reale e vivente) per la sublimazione del proprio spirito (irreale e immaginario). Una sorta di santa laica, Liù, un'eroina se vogliamo. D'altra parte la maggior parte delle opere pucciniane ha per protagoniste donne che si sacrificano per salvare un uomo: la Tosca, la Fanciulla del West, e via discorrendo.
D'altra parte, l'aria finale e più conosciuta, Nessun dorma, recita: Il mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun saprà. L'egoismo di Khalaf, che pensa solo all'amore di Turandot, a cui ha rilanciato la sfida mortale, passa sopra la povera Liù senza un pensiero, la donna che si sacrifica per lui senza niente in cambio.
Quindi con Liù doveva terminare l'opera e non con la fredda Turandot, penso io. Perché le opere pucciniane finiscono con la morte della protagonista o con il suo sacrificio salvifico.
La tua ricostruzione pur apprezzandola non la condivido dunque.
Ciò nonostante, il racconto è molto piacevole, con qualche imprecisione qua e là. Non è la testa, ad esempio, ad essere imperlata di sudore, ma la fronte. Bazzecole.
Ottimo lavoro, a rileggerti.
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Inizio col dirti che il tuo racconto mi ha ricordato Buzzati e il suo terrore alla Scala, lo considero un complimento.
Sicuramente mi piace, non ci sono refusi e lo stile ed il ritmo mi piacciono.
Voto 4 complimenti.
Un passo indietro
Il titolo di questo libro vuole sintetizzare ciò che spesso la Natura è costretta a fare quando utilizza il suo strumento primario: la Selezione naturale. Non sempre, infatti, "evoluzione" è sinonimo di "passo avanti", talvolta occorre rendersi conto che fare un passettino indietro consentirà in futuro di ottenere migliori risultati. Un passo indietro, in sostanza, per compierne uno più grande in avanti.
Di Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
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La Gara 38 - Sorpresa!
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