Ritorno
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Ritorno
Spesso si dice che i civili non possono immaginare, perché non li hanno vissuti direttamente, gli orrori del fronte; ma io penso che ancora meno possano immaginare le difficoltà che deve vivere chi torna da quel fronte.
A volte ho l’impressione che gli altri diano per scontato l’esistenza di un qualche interruttore dentro di noi. Un interruttore che si può accendere e spegnere come se niente fosse, senza influenzare i nostri stati d’animo successivi. Vai in guerra e tac! Accendi quell’interruttore e diventi una specie di John Rambo. Torni dalla guerra e tac! L’interruttore si spegne e tutto dovrebbe tornare come prima. Non è così.
La guerra ti cambia. In meglio e in peggio.
Innanzitutto, molto banalmente, ti fa maturare una nuova considerazione della vita. E scusate se è poco! Hai visto morire davanti a te decine e centinaia di uomini. Amici. Nemici. Compagni d’armi. Guerriglieri. Donne. Bambini. Vecchi. Brave persone. Pezzi di merda. Immacolati innocenti. Poco importa: li hai visti morire. Hai visto cosa significa esalare l’ultimo respiro dilaniati da un’esplosione o crivellati di colpi o in altri modi così poco piacevoli da farti capire che stai solo partecipando a un macello. E che in quel macello la prossima carcassa da macellare potrebbe essere la tua.
Hai potuto toccare con mano l’aspetto più orrendo e inquietante della morte: la sua democraticità. Perché alla morte frega poco se sei un adulto con una famiglia, un vecchio alla fine dei suoi giorni, una donna incinta, un bambino che ha ancora tutta la vita davanti, una vita fatta di speranze, di sogni e di desideri. Gliene frega poco se da grande vuoi fare il dottore o se vuoi andartene in pace nel tuo letto, circondato dall’affetto dei familiari e degli amici. La morte non guarda in faccia nessuno. Se vuole colpirti lo fa e di modi ne ha a bizzeffe: mine, proiettili, missili, bombe, fottuti kamikaze. È subdola e pericolosa, può piombarti addosso in qualsiasi momento. E non so se sia peggio quando ti porta via all’improvviso, senza lasciarti rivolgere un ultimo pensiero alle persone che ami, o se invece se la prende comoda, condannandoti a soffrire un’ultima volta prima di lasciare questa valle di lacrime.
Nel peggiore dei casi, poi, sei tu soldato quello che toglie la vita. Sei tu il dito, la mano, il braccio, il corpo, la mente, il cuore, l’anima dietro quel proiettile. E pensare che stai combattendo il Male non serve a nulla, anzi! Il Male è il fondamentalismo, è l’ideologia; ma chi porta avanti quell’ideologia, chi combatte per quell’ideologia, chi ne fa il proprio credo, la propria fede, il proprio mondo (spesso senza neppure esserne convinto fino in fondo, o solo perché costretto) non è altro che un uomo. Un uomo come te, che ama, odia, soffre, gode. Che ha un padre, una madre, dei fratelli, delle sorelle, magari anche una moglie, dei figli, delle figlie, dei nipoti. Un uomo che, direbbe un famoso poeta, ha occhi, mani, membra e passioni come noi, che si nutre dello stesso nostro cibo ed è ferito dalle nostre stesse armi, soggetto alle nostre stesse malattie e guarito dagli stessi rimedi, riscaldato dallo stesso sole e raffreddato dallo stesso inverno che riscalda e raffredda noi. E tu premi quel grilletto, ti pianti di fronte a lui e distruggi quella vita. Puoi ripeterti fino allo sfinimento, fino alla nausea che hai tutto il diritto di farlo, che in guerra funziona così, che combatti per la libertà contro l’oscurantismo dei fanatici, che si tratta di uccidere o di essere ucciso… puoi dirti tutto quello che vuoi, e magari hai ragione, ma di fatto stai stroncando una vita.
C’è un paradosso nell’omicidio (perché di questo si tratta, omicidio bell’e buono). Se togli la vita a un tuo simile, e non sei uno psicopatico o un serial killer, finisci per renderti conto di quanto la vita stessa sia preziosa, irripetibile, importante e irrinunciabile: la tua, quella dei tuoi cari, quella dei tuoi amici, persino quella della gente che odi.
Nel mio plotone c’era un ufficiale che era diventato addirittura vegano perché, dopo tutti quegli anni trascorsi in Jugoslavia, testimone degli orrori delle pulizie etniche, non riusciva a non provare un disgusto per l’idea stessa di mangiare un animale morto, ucciso semplicemente per il suo sostentamento. Non credo che seguirò mai il suo drastico esempio, ma se prima scalciavo lontano da me i cani e i gatti randagi che mi si avvicinavano per strada, da quando sono tornato a casa non sono capace di essere così duro e di tanto in tanto lascio sotto il portico una ciotola d’acqua e del cibo per gli animali di passaggio.
Non so come definirmi. Un eroe non di certo. Sopravvissuto mi sembra già un termine più adatto, se non fosse che alle volte mi sembra troppo pomposo. Un semplice uomo, allora?
Mio figlio Paolo non ha dubbi: ai suoi occhi sono un assassino, un bersaglio di odio e di livore. Non mi odia davvero, un padre queste sfumature le coglie, ma odia ciò che rappresento. E in fondo non riesco a dargli torto.
Non è venuto nemmeno all’aeroporto militare, il giorno in cui sono rientrato dall’Iraq. C’erano tutti, quella mattina. Mia moglie Greta, sempre sorridente, sempre luminosa, con un paio di piccole rughe in più ma la bellezza intatta. La mia piccola Anna, che aveva solo due anni quando partii per il Medio Oriente e adesso fa già le elementari. Mia sorella Lia e mio cognato Giosuè, la coppia più affiatata e innamorata che abbia mai conosciuto. Mio nipote Michele, che alla vista di suo zio in uniforme non ha potuto fare a meno di mimare un infantile e tenero saluto militare. C’erano Giuseppe e Carmine, compagni di scuola, di vita e di bevute. Ma non c’era Paolo.
L’ho potuto vedere soltanto quella sera, dopo molte ore, quando è rincasato. Ci siamo scambiati uno sguardo, un saluto freddo, nulla di più. Ormai è un uomo, l’anno prossimo andrà all’università e mi sono perso fin troppi anni della sua adolescenza, eppure una parte di me avrebbe voluto sopra ogni altra cosa vederlo tornare bambino, sgambettare nella mia direzione urlando “Papà! Papà!” e guardandomi come se fossi il suo eroe, prima di stritolarmi nel suo abbraccio.
La mattina dopo, a colazione, ha tirato fuori l’argomento tanto temuto.
“Come ci si sente ad aver fatto parte, nel tuo piccolo, del neo-imperialismo occidentale?”
Mia moglie l’ha fulminato con uno sguardo, ma lui ha continuato, imperterrito: “Parlano di esportare la democrazia, ma sappiamo benissimo come stanno le cose. Lo sappiamo e stiamo zitti. Gli americani vanno in Iraq e in Afghanistan per i loro interessi e noi italiani siamo pronti ad assecondarli. Siamo i cagnolini degli americani…”
“Paolo!”
“E’ la verità, ma’! Che diritto abbiamo di andare dagli altri a dir loro come comportarsi, come trattare le donne, come governarsi? È la solita spocchia occidentale, il nuovo fardello dell’uomo bianco…”
“Non parleresti così se ci vivessi tu in quei paesi e fossi io a portare il burqa!”
“Non sto dicendo che sia giusto trattare le donne in quel modo, ma’! Però andando lì a imporre le nostre usanze non risolviamo niente…”
“Quindi stai dicendo che tuo padre combatte per una causa sbagliata?”
“Perché, esistono cause giuste? In guerra si uccide, qualunque sia la motivazione! I soldati sono tutti degli assassini…”
Potrei intervenire, ma non lo faccio. Sospiro. Consumo in silenzio ciò che rimane della mia colazione e poi esco, per una passeggiata.
Dopo tutti questi anni, nulla sembra cambiato nella mia città. Ci sono nuovi negozi e bar, quelli vecchi non ci sono più, ma quella è solo l'epidermide di un mondo che ha continuato a vivere tutti questi anni nel mio ricordo e che ora ritrovo.
Un uomo mi ferma per strada. Porta a spasso il cane, un bel pastore tedesco. Non lo riconosco sulle prime. Lui lo nota dal modo indeciso con cui lo saluto.
“Non ti ricordi?” esclama “Sono Gino…”
“Gino!” esclamo.
Solo a quel punto riconosco uno degli avventori del bar solito che frequentavo prima di partire.
“Sono tornato dall'Iraq” continuo.
“Lo so, Carmine non parlava d'altro nei giorni scorsi! Come ti senti?”
Me lo domanda come se fosse un domanda come tante altre. Ma non posso biasimarlo, come può immaginare ciò che ho visto e ciò che provo?
Come mi sento?
Non esiste domanda più difficile a cui dare risposta. Ci penso su qualche secondo, poi abbozzo un sorriso.
“Bene. Ora sono a casa”
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storia che narra stati d'animo a confronto, opinioni e reazioni. se la prima parte è fin troppo raccontata, nel senso che molti particolari sono superflui, a mio parere, nella seconda si cambia registro e la storia diviene molto più carica di dolore.
al contempo diviene anche più scorrevole e gustosa, piacevole alla lettura, nonostante l'argomento.
scritto benissimo.
ottimo lavoro.
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Dici bene: lasciamo Rambo allo sciovinismo hollywoodiano, la vita è un’altra cosa.
Qualche imperfezione nella formattazione dei dialoghi.
https://chiacchieredistintivorb.blogspot.com/
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Re: Ritorno
Effettivamente, come dice Alessandro, l'argomento non è nuovo e sto anche notando che tra questa gara e la precedente (tra parentesi, ho divorato l'eBook ) è molto gettonato, evidentemente ispira molte riflessioni e pensieri. O almeno con me l'ha fatto.
Grazie ancora a tutti
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Mi piace lo spirito "indagatore" dietro alla descrizione della situazione, il protagonista sta davvero nascondendo il suo tormento dietro alle poche parole del finale.
L'ho apprezzato.
Un grande saluto!
- Massimo Baglione
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Re: Ritorno
Se invece state solo rispondendo, non serve specificare.
Vi rimando alle istruzioni delle Gare letterarie.
- Marco Daniele
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Ben scritto, poche o nulle le considerazioni da farsi, che sono più di ordine storico o di critica di alcuni contenuti.
Innanzitutto, il protagonista è italiano, si presume un militare italiano impegnato nella missione di pace Antica Babilonia.
La voce narrante descrive questa immagine, che ho trovato non adeguata al contesto.
Hai visto morire davanti a te decine e centinaia di uomini. Amici. Nemici. Compagni d’armi. Guerriglieri. Donne. Bambini. Vecchi. Brave persone. Pezzi di merda. Immacolati innocenti. Poco importa: li hai visti morire. Hai visto cosa significa esalare l’ultimo respiro dilaniati da un’esplosione o crivellati di colpi o in altri modi così poco piacevoli da farti capire che stai solo partecipando a un macello. E che in quel macello la prossima carcassa da macellare potrebbe essere la tua.
Non andarono a far guerra le nostre truppe in Iraq, anche se furono impegnate in severi combattimenti con gli insorti.
Situazione ancora diversa nella ex Jugoslavia, dove l'impegno italiano arrivò alla fine della guerra, in Bosnia nel 1996 e in Kosovo nel 1999.
E poi ancora:
E pensare che stai combattendo il Male non serve a nulla, anzi! Il Male è il fondamentalismo, è l’ideologia; ma chi porta avanti quell’ideologia, chi combatte per quell’ideologia, chi ne fa il proprio credo, la propria fede, il proprio mondo (spesso senza neppure esserne convinto fino in fondo, o solo perché costretto) non è altro che un uomo.
Qui esprimi un punto di vista morale, perché identifichi il male con il fondamentalismo e l'ideologia. E nel farlo, senza volerlo, esprimi un giudizio giudicante.
Senza contare che proprio la rottura dei grandi sistemi di valore della tradizione occidentale e non solo (religione, etica, ideologia) ha prodotto e produce quel nichilismo che è la causa stessa di quel Male di cui tu parli.
Senza una struttura di pensiero, considerata funesta ogni ideologia, esiste soltanto una visione individuale della vita, e al posto della società o di una comunità si trova solo il popolo.
- Isabella Galeotti
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Poi arriva il racconto. Credo, perchè io non posso raccontare queste esperienze, che il ritorno a casa sia veramente una liberazione da quell'orrore, ma inizia un incubo, una routine che può mettere in discussione tutta la vita del protagonista e di chi gli sta accanto.
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Re: Ritorno
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Le riflessioni che animano il testo, per quanto condivisibili e, ahimè, amare, sono entrate da decenni a pieno titolo nell’humus della coscienza collettiva (benché rammentare gli orrori delle guerre sia un buon viatico per l’eventualità di pericolose reiterazioni).
Il racconto – che poi definirei un lungo pensiero a voce alta, con sprazzi di dialogo con un interlocutore ideale - difetta di originalità; ciò nonostante, è sostenuto da una scrittura fluente e di buonissima qualità.
P.S. È mia abitudine esprimere il voto dopo attente riletture.
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Masquerade
antologia AA.VV. di opere ispirate alla maschera nella sua valenza storica, simbolica e psicologica
A cura di Roberto Virdo' e Annamaria Ricco.
Contiene opere di: Silvia Saullo, Sandro Ferraro, Luca Cenni, Gabriele Pagani, Paolo Durando, Eliana Farotto, Marina Lolli, Nicolandrea Riccio, Francesca Paolucci, Marcello Rizza, Laura Traverso, Nuovoautore, Ida Daneri, Mario Malgieri, Paola Tassinari, Remo Badoer, Maria Cristina Tacchini, Alex Montrasio, Monica Galli, Namio Intile, Franco Giori.
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Storie Gotiche, del Terrore e del Mistero
antologia di opere ispirate alla paura dell'ignoto
Nella ricerca di un tema che potesse risultare gradito a più autori, ci è sembrato infine appropriato proporre un'antologia di opere il cui fattor comune fosse il brivido. Un termine per molti versi ingannevole, almeno quanto lo sono certe credenze e immagini che la ragione volutamente ignora, o perfino deride. Eppure, l'ignoto ci aspetta al varco, silenzioso e paziente, per catapultarci nello strapiombo degli incubi o nel vortice di ansie e desideri repressi.
A cura di Roberto Virdo'.
Contiene opere di: Ida Dainese, Francesca Paolucci, Marcello Rizza, Fausto Scatoli, Annamaria Ricco, Francesco Cau, Valentino Poppi, Mario Flammia, Essea, Umberto Pasqui, Enrico Teodorani, Roberto Masini, Maria Perrella, Giacomo Baù, Eliseo Palumbo, Selene Barblan, Stefano Bovi, Ibbor OB, Andrea Teodorani, Simona Geninazza, Lidia Napoli, Mario Malgieri, Michele Silvi, Ida Daneri, Alessandro Mazzi.
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Gara di primavera 2021 - A world apart, e gli altri racconti
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Gara d'estate 2020 - Anniversari, e gli altri racconti
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Proposta indecente - Le Lido
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