Un vasetto di noce moscata
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Un vasetto di noce moscata
Come prima cosa mi presento, sono un vasetto di noce moscata, di quelli in vetro con il tappo in plastica, che contengono aromi e spezie, la marca non importa. Mi sembra di essere stato acquistato nel 2010, forse anche un po’ prima, ma anche questo non conta, la cosa importante è che la mia scadenza era gennaio 2011. Di questa scadenza non si è accorto nessuno, quindi – dato che siamo nella primavera 2020 – posso dire di essere stato in questa casa per un decennio.
Dieci anni sono un periodo piuttosto lungo ed effettivamente da dove vivo io (un ripiano in cucina) ho assistito ad un sacco di avvenimenti, belli, brutti, allegri, drammatici, incredibili ed imprevedibili e tutti hanno segnato in qualche modo la famiglia che abita qui.
Parliamo allora della “mia” famiglia: una lei ed un lui, con due bambine che ovviamente in dieci anni sono diventate adolescenti e poi giovani donne. Persone normali, banali anche: lei forse parla troppo,
sostiene peraltro che parla tanto perché lui non ascolta, e lui ribatte che non ascolta perché lei parla troppo, insomma, le normali dinamiche di coppia.
Le figlie sono sempre state due brave bambine, complessivamente educate ed ubbidienti. Periodicamente scoppiavano comunque litigi furiosi: ricordo una volta in particolare, lei aveva varato un piano, lo aveva pomposamente ribattezzato “I have a dream” e prevedeva la progressiva responsabilizzazione delle figlie relativamente a piccole incombenze domestiche, in modo che quando lei fosse tornata a casa dal lavoro alla sera, la preparazione della cena fosse già a buon punto (che era poi il dream).
L’accordo sulla suddivisione degli incarichi si era dimostrato difficoltoso da subito perché pare che preparare l’insalata avesse un peso specifico diverso dall’apparecchiare (la cucina è talmente piccola che mettendosi tra il tavolo e lo scolapiatti si riesce a sistemare piatti e bicchieri soltanto ruotando il busto), comunque quella sera andava peggio del solito, la discussione verteva sulle intrinseche differenze tra una padella ed una pentola, e cioè dove fosse meglio scongelare la pietanza. La madre – al piano di sotto – fingeva di non sentire, io non potevo, dato che mi strillavano davanti. Alla fine, la piccola urlò alla grande: <<Non capisci proprio niente: la padella è quella dove si fanno le uova, la pentola dove si cuoce la pasta.>> Ricordo che mi complimentai mentalmente con lei, e pensai che aveva veramente le idee chiare sull’uso della utensileria domestica, la mamma invece pensò che il suo magnifico piano non stava funzionando e lo abbandonò.
Intanto il tempo passava, le ragazze crescevano, la maggiore terminò il liceo brillantemente e si iscrisse all’Università in una città un po’ lontana che prevedeva di non tornare a casa tanto spesso. La mamma prima ne soffrì, poi se ne fece una ragione e la figlia minore divenne quasi una “figlia unica”.
Il 19 maggio 2012 era sabato, dopo la solita pizza ed un po’ di TV andarono tutti a letto: alle quattro del mattino dopo, un boato sordo svegliò l’intero condominio e buona parte dell’Emilia, i vetri delle finestre tintinnarono, i mobili più alti cominciarono ad ondeggiare e poi caddero fragorosamente sul pavimento, i soprammobili, i libri, i dizionari e le piante schizzarono dai ripiani e si schiantarono a terra. In cucina poi il delirio fu totale, si aprirono le ante della dispensa e vasi, vasetti e bottiglie volarono per la cucina disintegrandosi e spargendo tutto il loro contenuto. Anch’io caddi insieme alle altre confezioni di spezie, ma non mi ruppi perché sono fatto di un vetro piuttosto resistente. Rimasi a terra in cucina per giorni, sopra un amalgama composto da sale grosso, Gaviscon e aceto balsamico. Periodicamente qualcuno si affacciava sulla soglia della cucina ed osservava l’impasto sul pavimento che di giorno in giorno si faceva più duro, ma le priorità erano chiaramente altre.
Alla fine, lei, insieme ad una signora che la aiutava nelle faccende domestiche, riuscì a dare una parvenza di normalità alla cucina e mi ripose nuovamente sul ripiano dove stavo prima. In effetti, quella era la grande occasione per accorgersi che ero già scaduto, ma a queste cose lei non ci ha mai guardato molto e poi era veramente stravolta, quindi ripresi la mia solita vita.
Si fa per dire, perché nove giorni dopo si replicò con una scossa ancora più violenta e si ruppe quello si era miracolosamente salvato la settimana prima.
E la vita riprese il suo corso, solo apparentemente tranquillo: nel 2014, in una notte di ottobre, dalla terrazza al piano di sotto entrarono i ladri in casa, lui, lei e la ragazzina più piccola dormivano e non si accorsero di nulla. Lei amava tantissimo i gioielli, soprattutto gli anelli, e ne aveva veramente tanti, li teneva tutti a portata di mano per abbinarli ai vestiti. I ladri trovarono la scatola dove li riponeva, e portarono via tutto.
La mattina dopo lei si accorse sbigottita che qualcuno era entrato in casa, e quando capì che tutti gli anelli erano scomparsi rimase annichilita. Lui avrebbe voluto accennare al fatto che tenere una trentina di anelli tutti insieme in una scatolina sul comò non era stata una buona idea (la cosa dell’abbinamento con i vestiti era semplicemente al di là delle sue capacità mentali), ma lei era così scorata che lui capì all’istante che tacere era una buona idea. E poi lei tutte le mattine andava al Policlinico con altri malati come lei per fare la radioterapia, cosa vuoi andare a dirle, riflettè lui, ne aveva sicuramente già abbastanza.
Le ragazze intanto crescevano e cominciò una meravigliosa girandola di diplomi di lauree triennali, specialistiche, master, e allora via alla proclamazione a Torino, a Bologna, a Belfast e a Roma: corone di alloro, mazzi di fiori, foto con tocco e toga. Lui e lei felicissimi, eleganti, i nonni al settimo cielo.
Ecco, a proposito dei nonni….in questi anni resi così piacevoli e a volte frenetici dai festeggiamenti per i vari cicli di studio conclusi con successo, alle 6 del mattino di un bellissimo giorno di maggio del 2015 squillò il cellulare di lei che si precipitò a rispondere e intuì immediatamente: il numero non era memorizzato, ma lei riconobbe le prime tre cifre, capì che era l’ospedale e seppe all’istante cosa le avrebbero detto. Il suo papà, ricoverato in ospedale da alcuni giorni, era spirato, bisognava informare i fratelli, occuparsi di tutto, fare sì che la mamma – malata terminale – non lo capisse. Furono giorni e settimane cupi, dopo meno di tre mesi, morì anche la mamma. Per lei fu un punto di non ritorno, per settimane si scopriva a pensare, è tanto tempo che non sento la mamma e il papà, ci vollero mesi perché si convincesse che loro non c’erano davvero più. Avevano lasciato una voragine che non poteva essere riempita da nulla.
E il tempo riprese a scorrere, gli anni scivolavano uno sull’altro, a nessuno venne in mente di guardare com’ero messo, il consumo di noce moscata in casa era decisamente limitato.
Si arriva quindi a quest’anno che segna l’inizio di un nuovo decennio, il 2020, bisestile tra l’altro. Solo alcune settimane, le prime dell’anno, sono state tranquille, poi le notizie di fatti lontani si son fatte sempre più allarmanti ed i fatti stessi sempre più vicini. Prima alcuni turisti cinesi, poi alcuni managers italiani che avevano avuto contatti con la Cina, poi gente che era stata in contatto con costoro, poi…. poi il delirio, decine di casi, centinaia di casi, migliaia di casi, gli ospedali al tracollo, il paese bloccato, gli Italiani tutti che apprendono una parola misteriosa, “lockdown”. Ed alla sera alle 18.00 si partecipa tutti insieme a questo devastante rito laico che consiste nell’ascoltare, in un silenzio attonito, la conta dei morti recitata dalla Protezione Civile.
Mi rendo conto del clima surreale che si respira in casa. Sono soprattutto due le immagini che hanno colpito lei: una lunga fila di camion militari pieni di bare che in piena notte lasciano Bergamo per portare le salme nei forni crematori di Modena e Ferrara, e pochi giorni dopo, il Papa, sul sagrato di una Piazza San Pietro deserta e spettrale, sotto una pioggerellina leggera, che solleva il Santissimo Sacramento in mondovisione nella benedizione Urbi et Orbi, al termine della preghiera straordinaria per la fine della pandemia.
“Stremati dal conteggio straziante dei morti” (Il Corriere della Sera), i giorni passano in questa dimensione dell’attesa, in questo tempo sospeso in cui ogni giorno è uguale al precedente ed al successivo.
Devo dire però che in questo tempo così vuoto da impegni lavorativi, c’è chi ha trovato un momento per cucinare (no, no, non lei, la figlia…) ed avendo finalmente bisogno di noce moscata, si è accorto della mia data di scadenza, ed una grande risata ha finalmente riempito la cucina.
Credo abbiano deciso di non buttarmi via, ma di tenermi come ricordo di questo decennio.
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Re: Un vasetto di noce moscata
Penso che quei chiodi di garofano rimarranno lì, finché qualcun altro non deciderà di svuotare l'armadietto della cucina.
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Almeno per me, ciò che è fermo, che osserva senza essere visto né considerato, testimone delle nostre vite. Il racconto è piacevole ma, per mio gusto personale, c’è troppa carne al fuoco. Nel senso che avrei apprezzato maggiormente se il focus fosse rimasto sui primi accadimenti e poi i fatti seguenti fossero scivolati via in modo meno descrittivo. Ma mi rendo conto che è molto personale come opinione e che, forse, l’intento era quello di soffermarsi sui momenti più salienti della storia. Forse, poi, questa mia opinione dipende dal fatto che ho una specie di allergia nei confronti della situazione attuale e leggerne ancora mi causa un po’ di prurito. In ogni caso lo trovo godibile nel complesso.
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oltre a ciò, vi sono moltissime d eufoniche che andrebbero eliminate nell'arco di una revisione generale.
abbastanza chiare le descrizioni però, ripeto, non colpiscono più di tanto.
ovviamente tutto questo vale per me.
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Brava, complimenti.
Credo ci sia una sequenza di quattro puntini di sospensione, troppi rispetto ai canonici tre.
Come voto un bel 5.
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