Freak brothers
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Freak brothers
"We have plenty of grass,
and as we all know,
dope will get you through time of no money
better than
money will get you through time of no dope"
Accidenti, ma perché è più facile ricordare quando le cose hanno avuto inizio e invece fai fatica a dire quando le cose hanno cominciato a cambiare o quando sei stato tu che hai cominciato a cambiare, che poi è la stessa cosa. Passa un po' di tempo e ti accorgi appena che non vai più negli stessi posti e poi magari ci pensi e dici perché è la musica che è cambiata e anche la gente è cambiata. Generalmente è vero, ma anche tu sei cambiato e poi quando ti dicono che lo "Slego" ha chiuso non ti fa tanto effetto, che tanto era già molto che non ci andavi più. Per carità, non sei mica morto, fai altre cose, magari anche più belle, ma quella cosa lì no, non ci pensi più. E magari una sera incontri l'amico che non vedi da un po' e ti dice che lui adesso va al “Velvet” che è quasi come lo “Slego”. Propri così dice: “Quasi come lo Slego”, e non contento aggiunge anche un: “Perché non vieni anche tu?”.
“Quasi come lo Slego”, ripeti e ti guardi la punta delle scarpe per cercare le parole giuste che diresti ad un venditore di auto usate che ti vuole rifilare un bidone e poi dici: “Magari ci penso un po' e poi decido”, ma dentro di te lo sai già che non te ne frega un cazzo e anche l'amico, se è un amico, se ne accorge e cerca di rimediare con un: “ Ma io vado solo ogni tanto per salutare il vecchio D.J. dello Slego”.
“Vecchio D.J. dello Slego.” dici tu.
“Due birre e ricordare i bei vecchi tempi dello Slego.” dice lui.
“I buon vecchi tempi?” ripeti tu senza pietà.
Oramai lui è nell'angolo e non gli resta altro da dire: “Cazzo, sei uno stronzo, un po' di pietà.”
E allora ci mettiamo a ridere e ci abbracciamo anche, sì, proprio ci abbracciamo.
Poi un giorno ti arriva la voce di un locale a Faenza, una roba alternativa, musica reggae. Già la musica reggae ti fa storcere il naso, ma ti sei sempre considerato un esploratore avanguardista e con gli amici e le poche indicazioni un sabato sera fai una macchinata e parti.
Quel sabato ci siamo persi e siamo finiti in una discoteca regolare a Brisighella, ma oramai era una questione di principio e il sabato sera successivo lo troviamo, il “ Rione Rosso Baiocco” nel quartiere Rione Rosso.
Avevano chiesto per le strade di Faenza a dei signori per bene che ci avevano messo in guardia sul locale, che lo avevano aperto dei negri ed era diventato un centro di raccolta dei disgraziati della città. Era quello che cercavamo. Il locale si trovava nel seminterrato di un vecchio imponente palazzo che, ma guarda un po' come lo "Slego", era stato la sede del partito Comunista e della Casa Del Popolo, anche se adesso non era più così, ma poco importa. Si scendeva una rampa di scale dove si faceva la fila per entrare in un portone in legno. Un cartello lungo la parete portava scritto che nel locale era vietato l'abuso di sostanze stupefacenti, ma non diceva nulla su un uso moderato e infatti davanti a noi c'era tutta una folla di "persi" della città e due tipi in attesa di entrare erano impegnati in una dotta discussione circa il pezzo di hashish che uno mostrava in bella vista sul palmo della mano ed erano indecisi se quello che avevano appena acquistato lo si dovesse considerare un semplice “caccolo” o un “bel troccolo”.
Il locale era stato aperto, in effetti, da un gruppo di senegalesi che avevano stile, erano acculturati, una élite ben integrata e non avevano niente a che fare con i “vu cumprà” rintronati e con la sveglia al collo che ti capitava di vedere in giro a vendere accendini. Il leader, più anziano, era claudicante e ciò aumentava l'autorevolezza del gruppo sotto la ormai debole ala protettrice del partito comunista nell'epoca appena prima della caduta del muro di Berlino. Il locale aveva un gran stile e la scelta musicale era, devo ammetterlo, di gran livello e quel ritmo in levare ti metteva voglia di ballare e aveva azzerato tutte le mie diffidenze.
C'erano tre navate a volta in pietra antica che correvano parallele: una era chiusa, una per la pista e l'ultima per tavoli e sedie. In fondo il baretto, dove davano vino e pane toscano con mortadella. Cazzo,vino trebbiano e due fette di toscano con la mortadella, già le coincidenze cominciavano ad accumularsi rispetto al vecchio "Slego". Non so se quei senegalesi si erano resi conto che aveva raccolto tutti i persi di Faenza, bianchi e nostrani; completamente incontrollabili, borderline e, se non culturalmente, legalmente indifendibili e che il locale non sarebbe durato più di una piccola serie di fantastici sabati invernali. Le serate erano indimenticabili e a volte succedeva che ti sembrava di vivere un momento più vero del vero; che l'energia fluisse in maniera speciale e che eri fortunato di essere lì in quel momento, piuttosto che in qualsiasi altra parte del mondo. Si avvertiva un confluire di energia, non so se riesco a spiegarmi, e se non riesco è inutile che continui su questo argomento. O ci credi o non ci credi.
La notte di capodanno la passammo lì e nelle ore precedenti il mattino eravamo fuori dal locale che stava per chiudere in strada, sul marciapiede fra tanta gente a gruppetti, ma tranquilla, silenziosa. Inconsciamente tutti sapevamo che stava per accadere qualcosa di magico e nessuno voleva andare via; un accumularsi di energia che avrebbe dato origine ad una epifania unica e irripetibile. O stavi lì in quel momento o te la saresti persa per sempre. Sembravamo un coro greco in silenziosa attesa dell'elemento risolutore, dell'attore, dell'agente indispensabile perché quel atto, qualunque esso fosse stato, si sarebbe compiuto sicuramente. C'era energia nell'aria e la stessa realtà stava mutando: stavamo diventando la tavola di un fumetto; decidete voi chi vi piace di più: Andrea Pazienza, Edika oppure Gilbert Shelton, quello dei “Freak Brothers”.
Cominciò con l'arrivo di una due cavalli “Charleston” furgonata da cui scesero due tipi stile “Blues Brothers” con in mano un enorme bottiglione di vino rosso che cominciò a girare di bocca in bocca e che venne subito chiamato “ Il Formato Chianti Magnum”. Dalla macchina dei carabinieri, che aveva stazionato tutta la serata nella via a discreta distanza, scesero due agenti, ma a parte calarsi bene in testa il cappello di ordinanza e aggiustarsi la bandoliera non fecero nulla.
A quel punto entrò in scena il “deus ex machina” che tutti inconsciamente aspettavamo, l'essere perfetto nella forma e nella sostanza per il momento che era arrivato. Naturalmente neppure lui sapeva il ruolo che il destino gli aveva preparato. Era un puro. Era sbucato dal sottosuolo lungo la rampa delle scale del locale. Era completamente sballato e a camminare faceva fatica a tenere il marciapiede.
Il tempo si fermò e anche il bottiglione di vino smise di girare e rimase sospeso sulle labbra dell'ultimo bevitore. Il silenzio era totale, noi tutti, il coro, muti in attesa di una cosa di cui non sapevamo nulla. L'unico che si muoveva sulla scena era lui che, accortosi della presenza dei carabinieri, cercava di darsi un contegno, ma il "fumato" quando va in paranoia comincia a toccarsi e fa tutto il contrario di quello che dovrebbe fare per passare inosservato. Non poteva più tornare indietro e sarebbe dovuto passare per forza a fianco dei carabinieri e così cominciò a tenere una andatura indifferente, ma frettolosa, forse più preoccupato per quello che aveva in tasca piuttosto di quello che aveva in corpo.
Tutti eravamo in attesa di come sarebbe andata a finire nel momento che sarebbe arrivato a tiro dei carabinieri, che avevano cominciato a guardarlo. Ma il destino e il caso, i più abili registi della nostra vita, fecero la loro mossa. Dalle inferriate di un cortile lungo il marciapiede sbucava un grosso ramo di un enorme oleandro che ingombrava metà del marciapiede ad altezza uomo. Il tipo, perso come era, non lo vide e lo colpì in pieno con la fronte con un colpo tremendo che produsse un suono secco e potente come quello di un fuori campo in una partita di baseball. Venne rimbalzato all'indietro e cadde lungo steso, ma il dio o demone che lo proteggeva lo fece rialzare di scatto come un gatto e cominciò a dire a gran voce che non si era fatto niente e che non aveva bisogno di niente. Lo diceva a tutti noi evitando di guardare i carabinieri: “Non mi sono fatto niente, non mi sono fatto niente. Va tutto bene, va tutto bene”.
La folla esplose in una risata potentissima che scaricò tutta l'enorme energia che si era accumulata e cominciò una festa di salti e grida irrefrenabili. Lui sorpassò i carabinieri che a quel punto decisero di non intervenire e il tipo scomparve dietro l'angolo.
Il locale chiuse per sempre quella notte stessa.
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Re: FREAK BROTHERS
Volevo proporre un racconto che uscisse dal tema che ho usato nei miei precedenti, ma questo racconto premeva e ho ceduto.
Buona lettura.
- Massimo Baglione
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Re: FREAK BROTHERS
Mea culpa.Macrelli Piero ha scritto: ↑22/12/2020, 10:24 Accidenti, non riesco a capire come mai la formattazione non mi mantiene lo spazio fra epigramma e inizio testo, ma questo lo vedrò con calma.
Sistemerò appena possibile
- Massimo Baglione
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Re: Freak brothers
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però devo segnalare che ci sono refusi.
ci vorrebbe una bella revisione anche per i tempi verbali, visto che parti col presente ma poi diventa tutto al passato.
se la cosa è voluta, non ne comprendo il senso
se non è voluta, meglio sistemare.
peccato, perché alcune descrizioni sono davvero ottimali.
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Re: Commento
"...perché leggo, leggo, aspettando che si arrivi a qualcosa di significativo, ma non accade..."
Questo invece è un commento che mi piace molto, perché amo i racconti in cui non succede niente, ma se in questo niente sono contenute delle emozioni il racconto (non dico i miei) è riuscito. Un po' come nei racconti di Carver, se posso osare.
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Re: Freak brothers
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Re: Freak brothers
rimango convinto della legittimità del cambio dei tempi verbali che divide premessa e racconto, ma forse non l'ho fatta bene.
Il locale è esistito, mi pare sorretto da un circolo arci. La brevissima vita è dovuta dal fatto che una Faenza "Bianca" non poteva permettere una cosa così alternativa. Avevo, forse, 25 anni. donne poche. la storia completamente reale.
- Roberto Bonfanti
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Ecco, questo racconto (come gli altri dei tuoi che ho letto) aderisce perfettamente a quell’immaginario, a quel periodo e a quel mondo che ricordo bene per anagrafe e frequentazioni giovanili.
Nulla da dire, lo stile è adeguato e per me è un altro capitolo di quel libro che immagino tu stia scrivendo sulla scena alternativa di provincia negli anni ’80.
Ho visto che hai corretto, rimangono solo alcuni difettucci di formattazione, qualche spazio in più o mancante, e borderline lo scriverei tutto attaccato.
https://chiacchieredistintivorb.blogspot.com/
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Re: Commento
Roberto Bonfanti ha scritto: ↑29/12/2020, 10:56 I Freak Brothers, me lo ricordo il fumetto, come pure quelli di Edika su Totem e, soprattutto, le storie di Andrea Pazienza.
Ecco, questo racconto (come gli altri dei tuoi che ho letto) aderisce perfettamente a quell’immaginario, a quel periodo e a quel mondo che ricordo bene per anagrafe e frequentazioni giovanili.
Nulla da dire, lo stile è adeguato e per me è un altro capitolo di quel libro che immagino tu stia scrivendo sulla scena alternativa di provincia negli anni ’80.
Ho visto che hai corretto, rimangono solo alcuni difettucci di formattazione, qualche spazio in più o mancante, e borderline lo scriverei tutto attaccato.
Per ragioni che non mi so spiegare questi racconti sono nati tutti in uno-mesi e all'appello ne mancano due o tre, ma forse sono ripetizioni. Lì ho pubblicati qui sporchi per poter ricevere indicazioni di migliorie, anche perché le mie capacità sono limitate. Sì, è vero, mi piacerebbe raccoglierli in un lavoro unitario, ma non so fare un lavoro di editing degno. Se in questo gruppo c'è qualcuno disposto ben venga, sono disposto a rinunciare a ogni diritto pur di vedere un bel testo curato e confezionato.
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Cuori di fiele
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A cura di Roberto Virdo'.
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