Woorail
Woorail
Proprio adesso, che quella terza barretta argentata sulla controspallina significava approdare su lidi più riparati.
Portò i polpastrelli alle tempie, frizionando a metà tra un massaggio e una morsa.
Monitor.
Una signora di mezza età offre il profilo alla videocamera. È legata contro il tronco mozzato di un albero, un possente abete rosso. Dall’oscurità delle retrovie avanza una mano avvolta in guanti da boscaiolo. Le dita sistemano la punta d’un grosso scalpello di metallo sulla tempia della donna. L’altra mano impugna un grande mazzuolo. Carica. Esplode un colpo violentissimo. Le pupille le ruotano verso l’alto fino quasi a ribaltarsi. Del sangue zampilla vicino l’orecchio destro. Carica ancora: un altro colpo secco. L’osso temporale è perforato, il cranio si dischiude come una noce di cocco. Cola liquido cerebrale, con fuoriuscita di materia grigia.
Il maresciallo represse a stento un conato di vomito. Corse fuori a ingoiare qualche boccata d’ossigeno. Pensò che, suo malgrado, non poteva esimersi dall’aprire almeno una grossolana indagine. Rientrò.
«Lo hai trovato tu?», domandò al ragazzo.
«Sì, l’ho trovato pro-pro-proprio io» confermò, fissando in terra nel tentativo di non balbettare.
Victor era un trovatello. Soffriva di ritardo mentale, ma possedeva un genio tutto particolare per l’elettronica. Lo esercitava in uno spaccio in cui vendeva un po’ di tutto: prodotti di ferramenta, ricariche telefoniche, alta fedeltà, ciambelle, prodotti di informatica e schiuma da barba.
«Chi è il proprietario della videocamera?».
Victor arrossì: «A-A-Agata, maresciallo».
Agata Calieri dimostrava quattordici anni, ma ne aveva appena compiuti diciotto. Era così pallida che sembrava appena uscita da un prelievo venoso complicato. Diceva di essere “emo-gothic”, parola che ai più provocava il riflesso incondizionato di un’alzata di spalle. Era iscritta al primo anno di Scienze Zootecniche e Faunistiche. Victor non sapeva spiegarsi perché ne fosse attratto. Diciamo pure ossessionato.
«Perché hai la sua videocamera, Victor?».
Il ragazzo arrossì di nuovo.
«Do-dovevo ri-ripararla».
In realtà, prima di aggiustarla, aveva tentato di recuperare eventuali files cancellati, filmati, scatti privati della ragazzina.
Invece ci aveva trovato l’orrore.
«Quindi era rotta?».
Victor non rispose, divenne nervoso. Le dita della mano cominciarono a correre come le zampe di un ragno e la sua gamba destra si trasformò in un perforatore idraulico che fece vibrare tutto lo spaccio con andamento sussultorio.
«Sai chi è la donna in questo filmato, Victor?»
La testa del ragazzo cominciò a ciondolare su e giù, all’unisono con la gamba, senza che gli occhi si distogliessero dal pavimento.
«È la madre d-d-di Agata», rispose. «L-l-la madre. Di Agata».
*
Magda aveva avuto Agata all’età di quarantatré anni, quando era rimasta incinta di Valdo, il guardaboschi locale. Quell’uomo era un bifolco ruspante, ma per il grande amore non c’era più tempo. Una volta sbocciato il frutto migliore, l’albero s’era avvizzito in fretta: Magda e Valdo si erano lasciati. Col passare del tempo l’affetto si diluì mentre i rancori si accrebbero. Il cognome del padre, sull’etichetta del citofono, era stato sopraffatto da nevrotici graffi di penna. La stessa penna aveva sovrapposto il cognome da nubile della signora: Settani.
De Vico suonò.
Dietro la porta comparve una ragazza d’un pallore straordinario. La sua pelle sembrava frutto di una minuziosa confettatura. La somiglianza con la donna del filmato era sbalorditiva.
«Tu devi essere Agata» indovinò, squadrandola da testa a piedi. «Posso entrare?».
«E lei chi è?», replicò una soffice voce adolescenziale.
I pensieri del maresciallo s’intorpidirono su quelle guance tonde di porcellana e su quella bocca rosa, disegnata per suscitare inconfessabili pensieri; ma subito reagirono: «sono il maresciallo De Vico, dirigo la stazione dei carabinieri di Bigole».
Per un istante sentì l’irrazionale impulso di prodigarsi in un galante baciamano, se solo Agata gli avesse offerto il destro.
«Entri pure», acconsentì la smorfiosa, piroettando di spalle e librando la chioma, così da smuovere l’aria circostante satura del suo profumo.
«Si accomodi».
«Questa telecamera è tua?» domandò De Vico, con ritrovata fermezza.
«È di mio padre», asserì, mentre giocherellava con una lima per unghie, «ma la uso anche io».
«L’hai portata tu da Victor?»
L’adolescente smise di aggiustarsi lo smalto e si ficcò in bocca una bubble gum: «Ho scoperto un nido di allocchi nel bosco, sa? Adoro gli uccelli». Poi cominciò a gonfiare palloncini colorati dalla bocca. Sembrava che li scoppiasse con il piercing che le faceva capolino sulla lingua. «Volevo filmarlo. Il nido dico! Così sono andata a prendere la videocamera da papà, che me l’ha prestata. Però credo che fosse rotta. Cioè registrava, sì, ma immagini buie, come se fosse rimasto il coperchio sopra l’obiettivo». Esplose un palloncino che le si spalmò su mezzo viso. Ci mise trenta secondi a leccarsi via i brandelli di gomma dalle guance, mentre De Vico la guardava e iniziava di nuovo a palesare un certo imbarazzo.
«Insomma, ho pensato che Victor potesse ripararla», concluse.
«Te l’ha consegnata tuo padre la telecamera?».
Annuì.
«Quanti giorni fa?».
«Due giorni, mi pare».
Finalmente nella testa leggera della ragazza affiorò un dubbio: «ma è successo qualcosa?».
«Non lo so», dissimulò il maresciallo, sfilandosi il berretto d’ordinanza. «Quando hai visto l’ultima volta tua madre?».
«Due giorni… forse tre», sbuffò lei, allargando le braccia. «Si allontana spesso, soprattutto nei week end. Non mi dice dove va. Poi torna, torna sempre. Le è successo qualcosa?», incalzò Agata, glaciale.
Il carabiniere pensò che forse aveva sbagliato ad andare lassù da solo; che sarebbe dovuto andare a trovare la ragazzina soltanto dopo aver preso informazioni sul suo conto, meglio ancora se accompagnato da una psicologa. Forse per il momento avrebbe dovuto limitarsi a redigere un rapporto, compilare le solite scartoffie e tutte le altre stronzate.
«Non lo so, Agata. Credo che finché non chiariamo questa faccenda sia meglio che tu vada a stare da tua zia, a Dresgo».
«Quale faccenda?».
«Una cosa di routine. È solo per poco tempo. Dice Victor che vai molto d’accordo con tua zia…».
«È sorda dalla nascita. Quindi anche muta. È impossibile non andarci d’accordo», affermò, e ricominciò a limarsi le unghie.
*
Esame metadati.
Il file video recuperato è stato generato da una videocamera mirrorless marca Olympus modello OM-DE-M10 alle ore 15:59:33 di tre giorni fa, 23 aprile.
Esame video.
Località imprecisata, all’aperto. Giorno. La vittima è legata al tronco d’un grande abete rosso di risonanza, che secondo l’appuntato Martelli è tipico della zona.
Dell’assassino sono visibili le mani, in guanti da motosega tipici da boscaiolo, pelle e nylon, privi di marca, colore chiaro, usurati. Le dimensioni della mano e la forza esercitata lasciano indovinare che si tratti di maschio adulto.
Lo scalpello è un modello da ferro, privo di marca. Al secondo 19 del filmato è visibile un riflesso che è stato sottoposto ad attenta analisi computer-grafica. I risultati confermano che sul luogo del delitto fosse presente una autovettura di grandi dimensioni, forse un furgonato, di colore bianco o comunque molto chiaro.
La vittima, identificata con la signora Magda Settani in Calieri, appare legata con del comune spago color ecrù tipico dei gomitoli standard. Prima che sopraggiunga la morte sembra trovarsi in uno stato semicosciente, forse drogata o sedata.
Esame audio.
L’esame rivela dal secondo 31 al secondo 40 il suono di un orologio a cucù in lontananza, che scandisce le ore sedici.
A intermittenza, per tutta la durata del video, si percepisce il rumore di un motore, forse una motosega in funzione durante l’abbattimento di alcuni alberi.
Un attimo prima della brusca interruzione con cui termina il filmato, si ode un suono che è stato identificato come antifurto elettronico a sirena, tipico di un’automobile. Non è da escludersi che l’assassino abbia interrotto la registrazione dell’esecuzione proprio a causa dell’innesco dell’antifurto.
*
Tre chilometri a Nord di Bigole, un’anziana signora era tutta indaffarata nel manutenere un’opera di meccanica artigianale di precisione: la casa animata dell’orologio a cucù. Sulle prime la rammaricò il pensiero che il maresciallo fosse venuto fin lì in veste di visitatore, come un turista appassionato di meccanismi d’orologeria: «siamo chiusi, torni tra un’ora per la visita». Si eccitò invece nel constatare che De Vico era lì in veste ufficiale, affinché la pettegola desse sfogo alla lingua.
«Venga, la prego, si accomodi. Mi dispiacerebbe se fosse capitato qualcosa alla Signora, caro maresciallo, ma non mi stupirebbe affatto».
«Cosa vorrebbe dire, che non la stupirebbe?».
«Deve averne di nemici! Con l’eredità che ha avuto di recente, capirà…».
De Vico sbiancò. Finse di esserne al corrente, per non passare da idiota. Il pensiero che il caso potesse rivelarsi più semplice del previsto gli diede sollievo.
L’orologiaia proseguì: «quel Valdo non la racconta giusta, devo proprio dirglielo».
«Crede che possa aver fatto del male alla ex moglie?».
«Dico solo che quell’uomo non mi piace. Lo vedo passare spesso di qui. A volte va in città e quando torna è sempre con una di quelle donne lì… ha capito, no?».
«Una prostituta?».
«È una vergogna!», strepitò la vecchia pettegola.
«Come mai lo vede passare? Il signor Calieri abita piuttosto lontano, questa strada non è di passaggio verso la città».
L’orologiaia s’ingobbì a ridacchiare, come una strega. «Si vede che lei non è del posto, caro maresciallo. La casa del signor Calieri è proprio qui dietro, basta prendere la scorciatoia del Trocco e tagliare dietro la stalla dell’americano. Non si passa facile, ma Calieri ha un fuoristrada, sicché…»
«Che tipo di fuoristrada?»
«Io non ne capisco di macchine, dottore. Posso dirle che è grossa. Sembra un furgone. Ecco sì, un furgoncino bianco».
«La stalla dell’americano, eh?».
La vecchia indicò la finestra: «proprio lì, vede? Dove hanno tagliato quegli abeti».
«A proposito, da quanti giorni li hanno tagliati?»
«Lavorano tutti i pomeriggi da tre o quattro giorni. Ma oggi forse non lavorano, è domenica dopotutto. E poi stanotte ha piovuto».
*
«Qui De Vico, mi ricevi Martelli?»
«Forte e chiaro maresciallo».
«Controlla subito se il signor Calieri risulta incensurato. Poi verifica se è divorziato o meno».
«Valdo è sposato con Magda. Però in effetti sono separati».
Per esperienza De Vico sapeva che nelle successioni ereditarie la separazione non incideva, ma il divorzio sì.
«Voglio sapere se sono divorziati oppure no. Intendo dire dal punto di vista legale. Trovami la sentenza di divorzio, se c’è».
«Signorsì. Passo e chiudo».
La scorciatoia per il podere dei Calieri superava le possibilità dell’utilitaria di De Vico, tanto più che la pioggia aveva trasformato il sentiero in una pista melmosa, una trappola di sabbie mobili. Non restava che imbrattarsi fino alle ginocchia e proseguire a piedi.
Raggiunta la tenuta, il maresciallo notò le luci accese nella mansarda. Ne dedusse che Valdo fosse rincasato. Decise comunque di introdursi di soppiatto e ispezionare il capanno. L’interno era buio, l’umidità gli si attaccava sul volto come una ragnatela. Il rumore della pioggia battente sulle grondaie gli rimbombava in testa cancellando qualsiasi altro suono. Il bestione bianco parcheggiato all’interno sbuffava ancora calore dal radiatore. A quanto pare Calieri nel casotto custodiva numerosi attrezzi: coltelli, saracchi, asce, soprattutto uno scalpello e un mazzuolo, molto simili a quelli visti nel raccapricciante video. De Vico rabbrividì quando vide spuntare anche un paio di guanti, in apparenza identici a quelli dell’assassino. Allora estrasse la pistola d’ordinanza, ingoiò un boccone d’aria e trattenne il fiato. Col calcio della rivoltella infranse il lunotto posteriore. Il canto dell’antifurto – anche lui - era lo stesso udito nel filmato.
Tolse la sicura e caricò la canna, distese il braccio puntando dritto sulla porta d’ingresso. Di lì a pochi istanti sarebbe di certo accorso il signor Calieri, attirato dall’allarme. Gli avrebbe letto i suoi diritti.
*
Sul sentiero impaludato, nella vettura di servizio, una voce fuoriusciva dalla radio, gracchiando inascoltata: «Maresciallo mi riceve? Sono Martelli. Ho trovato la sentenza di divorzio dei Calieri. Mi riceve? Pronto?».
*
La vecchia zia Marty non aveva mai imparato a leggere il labiale, ma le piaceva lo stesso che sua nipote le parlasse. Da piccolina Agata le parlava per dimostrarle affetto, da adolescente per prendersi gioco di lei. Quel giorno le raccontò di un suo amico speciale, timido e indifeso, eppure capace di comportamenti distruttivi e violenti.
«Tu non lo sai, zietta, ma anche io sono così. Mi sorridi, ma non lo faresti se potessi sentire quel che dico».
Zia Marty le versò del buon the, poi sfogliò il taccuino fino alla pagina in cui era scritto “Ti voglio bene”.
Agata le carezzò i capelli sorridendole di rimando: «Il mio amico si chiama Victor. È una specie di genio dell’informatica e dell’elettronica. Ha fatto una cosa per me, una specie di montaggio audio-video, un capolavoro”.
L’anziana porse dei biscotti alla nipotina, che ne addentò uno: «Come sono sciocchi gli uomini, cara zia! Alcuni ucciderebbero per vedermi nuda, ad altri basta un lucidalabbra per metterli al tappeto» sghignazzò, quasi delusa. Il linguaggio corporeo e l’espressione del viso di Agata erano quanto di più fuorviante e diabolico si potesse immaginare. La vecchia zia aveva interpretato quel discorso come il racconto di qualcosa che l’avrebbe resa fiera di sua nipote, tanto che si cimentò nella simulazione di un applauso.
«Oh! Non è me che devi applaudire zietta, ma il vero artefice di questo capolavoro. Ha una lunga e bellissima coda colorata» spiegò, mimando il gesto di una mano che carezza una piuma. Zia Marty assentì, prima di carezzare il viso della nipotina. «Poi ha un piccolo becco, e due zampette adorabili. Sai cos’è?». Zia Marty annuì, intensificando il sorriso. «Sì? Brava zia. È una Menura, anche detta Lira. Vive in Australia e in Tasmania, dove gli aborigeni la chiamano Weringerong, oppure Woorail».
La vecchina allungò una mano nel vassoio, per prendere uno dei suoi biscotti fatti in casa, ma Agata le afferrò il polso: «questo esemplare ha una siringe talmente complessa e muscolosa da riuscire a replicare alla perfezione qualsiasi suono o rumore. Dovresti sentire come riproduce il cucù, la motosega, l’antifurto della macchina di papà!»
Allentò la stretta al polso, carezzando la mano alla vecchia zia: «presto verrà il maresciallo a darci brutte notizie. Tu piangerai di dolore, io di gioia, perché da oggi sono ricca. Ci abbracceremo e nessuno noterà la differenza tra le nostre lacrime. Poi penserò anche a te, zietta».
*
Valdo Calieri si precipitò e irruppe nel capanno più imbufalito di un toro alla corrida. Sperava di beccarli con le mani nel sacco. Il maresciallo non poteva sapere che dei ragazzini del posto, negli ultimi giorni, avevano preso di mira la sua macchina.
Nell’aria carica d’energia elettrostatica e d’ansia, nella semioscurità rotta a intermittenza dall’arancione delle frecce dell’antifurto, al maresciallo sembrò che la chiave inglese che impugnava l’uomo fosse una pistola, o Dio sa cosa. Un tuono coprì l’esplosione di due colpi al bersaglio grosso, che non gli lasciarono scampo.
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Se si intravedono delle mani d'uomo adulto, e non è stato dunque il padre, chi era il complice dell'avida diciottenne?
ottima prova, scritto in modo inpeccabile, mi ha rapito e accompagnato fino alla fine, personalmente avrei scambiato di posizione gli ultimi due paragrafi.
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A ogni modo, ho letto un ottimo lavoro.
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Mi pare un po’ forzata la spiegazione dei rumori presenti nel video prodotti dall’uccello lira; visto che Victor è definito come un genio del montaggio video non avrebbe avuto difficoltà a usare degli effetti sonori preregistrati.
Comunque è un buon racconto.
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buona la stesura, altrettanto i dialoghi e le descrizioni.
insomma, un buon lavoro.
segnalo alcune cose, tipo il fatto che spesso fai partire i dialoghi con la minuscola e poi che li chiudi con doppia punteggiatura. se c'è un punto esclamativo o di domanda, non serve altro.
consiglierei una revisione della punteggiatura.
in linea di massima è buona, ma alcune volte ci sono virgole in surplus.
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