Quel sorriso
Quel sorriso
Era un venerdì sera e io mi sentivo a pezzi. Era stata una settimana massacrante e desideravo concluderla nella assoluta tranquillità e solitudine di casa mia.
Avevo pianificato tutto: divano, birra ghiacciata, patatine e cioccolato a gogò. Oltre che alcune puntate arretrate di una serie TV assai demenziale, adattissima all’occasione.
Dopo una cena veloce mi avviai verso il salotto. Ancora non avevo toccato il divano che la suoneria imperiosa del mio cellulare mi fece sobbalzare.
In quel preciso istante i miei neuroni entrarono in comunicazione tra loro e mi riportarono alla realtà.
Era venerdì 19 e io me ne ero assolutamente, totalmente, inesorabilmente dimenticato.
Faticai a tenere sotto controllo il tremore delle mani mentre rispondevo al telefono.
«Non te lo sei scordato vero? Ci vediamo lì tra mezz’ora, giusto?»
«No cara, non me ne sono dimenticato e come potrei. È solo che…»
«Solo cosa? Vieni prima se riesci, o non troverai un buco al parcheggio. Io sto uscendo di casa adesso, anche tu vero?»
«Ancora no, perché io…»
«Ancora no? E cosa stai aspettando?» Quest’ultima sua domanda pose fine alla nostra conversazione.
A quel punto feci quello che ci si aspettava da me: diedi addio al divano, rimisi in frigorifero la birra e andai a vestirmi.
Avrei potuto cercare di resistere? Dire che stavo poco bene e volevo riposare? Si, avrei potuto, ma io sono patologicamente incapace di dire di no. A dire il vero non so neanche dire di sì. Io non so imporre la mia volontà. Non ne sono capace, sono sempre stato alla mercé di chiunque.
Per quella sera la mia cara compagna aveva prenotato due biglietti per il concerto di una band mediocre e sconosciuta ai più. Adorava Jake Leroy, il cantante bassista, e per lui prevedeva un futuro radioso e pieno di successi strepitosi. Io non desideravo affatto adorarlo, ma avevo acconsentito ad accompagnarla.
Come fossi riuscito a farmi attrarre e ad attrarre quella donna socialmente iperattiva, abbondantemente sportiva e assai piena di vitalità, è un mistero che ancora non so spiegarmi. O forse sì.
Lei era quella di cui io, a detta di tutti, avevo bisogno. E io ero quello che, a detta di tutti, lei avrebbe redento.
Com’era prevedibile arrivai al locale in ritardo. Il parcheggio era pieno oltre l’immaginabile, le macchine avevano invaso i marciapiedi e le aiuole circostanti.
Ora, si potrebbe pensare che se tutte le auto della città erano parcheggiate li, forse allora io mi sbagliavo e quella band un po’ di successo già l’aveva. Niente di più ingannevole: quel parcheggio serve anche un cinema multisala e un pub tra i più rinomati della città.
Quando ormai avevo perso ogni speranza di trovare anche il più piccolo pertugio, vidi un tizio avvicinarsi a un SUV e aprire la portiera.
«Bene, questo non me lo lascio scappare» pensai fermandomi subito.
L’uomo salì in macchina e…
E niente, i secondi passavano e lui non si muoveva «Va bene allacciarsi la cintura, sistemarsi lo specchietto, magari soffiarsi il naso. Ma poi basta, esci da quel maledetto parcheggio!» Borbottai furioso.
In quell’istante il display del mio cellulare si illuminò «Dove caz… sei finito? Sei sempre il solito» citava il messaggio.
Mi scappò un sospiro. Messaggio più che legittimo il suo, che riuscì però a irritarmi. Soprattutto il “sempre il solito” mi ferì. Non perché non fosse vero, era vero naturalmente. Ma in quel momento non avevo voglia di sentirmelo dire e quindi, con quello che potrebbe definirsi l’unico moto di ribellione della mia vita, decisi di tornare a casa. Alle conseguenze avrei pensato l’indomani.
Andandomene gettai lo sguardo verso il SUV. La posizione dell’autista attirò, per un attimo, la mia attenzione «Starà telefonando o gli sarà caduto qualcosa…» pensai distrattamente.
Mentre vagavo alla ricerca dell’uscita, ripassai davanti all’auto. La pioggia era diminuita di intensità e così potei vedere meglio l’autista. L’avevo di fronte e i fari della mia auto illuminavano la scena. La sua posizione non lasciava dubbi. Il corpo era abbandonato sul volante e di lui si scorgeva solo la nuca.
Frenai di colpo, indeciso sul da farsi. Mi riscosse il rumore di una vigorosa frenata appena dietro di me. Scesi dall’auto e vidi una ragazza affacciarsi al finestrino della sua auto. Non disse niente, ma lo sguardo che mi lanciò fu eloquente.
«È un’emergenza» cercai di giustificarmi scavalcando il cordolo.
Bussai esitante al finestrino del SUV. «Tutto bene?» Provai a dire. Non ottenni riposta. «Tutto bene?» Ripetei a voce più alta. Niente. Aprii la portiera e appoggiai la mano sulla sua spalla. L’uomo non rispose al mio tocco, anzi, si accasciò ancor di più.
«Sarà mica morto» la ragazza mi aveva evidentemente seguito.
«Oh cavolo, e adesso?»
Nei film l’eroico soccorritore sa sempre cosa fare e salva la vittima con gli opportuni massaggi cardiaci, ma quella era la realtà e lì c’ero io che di eroico non ho proprio niente.
«Respira? Prova ad avvicinare la guancia alle sue labbra» sussurrò lei con la voce esile e titubante di chi sta dicendo una cosa della quale dubita per primo la sensatezza. «L’ho visto fare in un film» si sentì in dovere di aggiungere.
Appoggiai il pover’uomo allo schienale e mi abbassai verso di lui «Si, lo sento, respira!» Risposi. Poi allentai la cravatta e il primo bottone «l’ho visto fare in un film» mi sentii in dovere di aggiungere a mia volta.
«Dovremmo chiamare il 112?»
«Si, giusto il 112! Vado a prendere il mio cellulare» concordò lei volando verso la sua auto.
La guardai correre via e rimasi in attesa cercando di controllare il mio di respiro e mantenere la mente lucida. Sentivo che l’ansia cominciava a impadronirsi di me, entro breve sarei entrato in uno stato di agitazione tale da non poter essere d’aiuto in alcun modo. Perché succede sempre così: io riesco ad essere d’aiuto in modo inversamente proporzionale all’altrui bisogno di aiuto.
«Chiama tu, ti prego» disse la ragazza porgendomi il cellulare «io non ce la faccio, in queste situazioni perdo la calma e la testa.»
Allungai la mano sconsolato, perché solo nei film un imbranato smette di essere imbranato quando ne trova uno imbranato quanto lui. La consapevolezza di dover contare solo su me stesso avrebbe portato la mia ansia a livelli d’allerta.
Le ci vollero ben tre tentativi prima di riuscire a darmi la password giusta. Quando finalmente riuscii a comporre il numero del pronto intervento e l’addetto rispose rimasi interdetto senza sapere cosa dire. Guardai la ragazza a bocca aperta, lei prese il telefono dalle mie mani e dopo mille balbettii e ripetizioni riuscì a spiegare la situazione.
«Dove siamo?» Mi chiese infine.
«Siamo al parcheggio di via… di via…» non riuscivo a ricordare il nome della via nonostante fosse una delle arterie principali della città.
«È un santo, digli che è il nome di un santo, questo me lo ricordo» farfugliai.
«Dice che dovremmo cercare di essere più precisi.»
«Be’, io non sono un tipo preciso, ok?» Risposi mettendomi ad urlare, il mio autocontrollo stava venendo meno. «Digli che c’è un cinema, un pub e un locale dove si esibiscono… Via sant’Andrea!» La folgorazione giunse propizia.
«Arriveranno prima possibile» mi comunicò la ragazza con un fil di voce. «Quanto ci metteranno secondo te?»
«Non saprei, l’ospedale più vicino è a 10 minuti da qui, ma con questo tempo…»
«Nel frattempo che facciamo?»
«Non ne ho idea» risposi «Aspettiamo e vediamo» che è un po’ il sunto della mia vita: aspettare e vedere…
«Forse è il caso che ci presentiamo» proposi allungando una mano.
«Giusto» rispose lei allungando la sua. Dopo i convenevoli del caso scoprimmo di essere tutti e due in ritardo per lo stesso concerto e di avere lo stesso entusiasmo nei confronti del medesimo.
«Non ci volevo venire, con una serata come questa me ne sarei stata volentieri a casa con una tisana calda. Ma me l’ha proposto il mio ragazzo e io non so dire di no. Non dico mai di no. Io ho dei seri problemi con i “no” e anche con i “si” a dire il vero» mi raccontò con un fil di voce.
Non l’avevo ancora osservata bene. Era alta la metà di me, sembrava esile e alquanto gracile. Portava un cappello dal quale spuntavano riccioli disordinati e gocciolanti. Contrariamente al resto il viso era paffuto, direi quasi grassoccio, gli occhi erano scuri, difficile al momento stabilirne il colore. Sorrideva. Un sorriso appena accennato, ma dolcissimo, imbarazzato e al contempo rassicurante, rilassante oserei dire. O per lo meno pareva a me. Mi convinsi in un attimo che quello era proprio il tipo di sorriso che avrei voluto ricevere ogni giorno della mia vita.
Per qualche minuto nessuno dei due parlò, io controllai l’uomo sul sedile «Respira ancora» comunicai.
«L’hai riconosciuto, vero?» Mi chiese ad un tratto.
«Dovrei?» La luce dell’abitacolo era molto flebile e quel che riuscivo a vedere erano i lunghi capelli raccolti in una coda disordinata, l’orecchino al lobo destro e un neo grosso come un chicco di caffè sotto l’occhio sinistro.
«No, non lo conosco.» In quel momento l’uomo trasse un respiro profondo, chiuse la bocca e cambiò un poco l’espressione del viso.
«Si, ora l'ho riconosciuto» sbottai.
Era Leroy Jake il leader del gruppo che doveva esibirsi quella sera.
Ma che ci faceva svenuto su quel SUV invece di essere sul palco, vestito con giacca e cravatta al posto dei soliti eccentrici stracci?
La consapevolezza che se Leroy era lì il concerto non sarebbe iniziato e che due degli spettatori avevano un motivo doppio per essere furiosi, ci colpì nel medesimo istante.
Chissà perché trovammo la cosa parecchio esilarante. Scoppiammo a ridere e continuammo a farlo fino all’arrivo dell’ambulanza.
Rilasciammo ai soccorritori le nostre generalità e un racconto succinto e convulso dell’accaduto, poi ci allontanammo insieme.
Non ho mai saputo cosa sia accaduto al pover’uomo quella sera, comunque si è ripreso in fretta ed è tornato presto ad esibirsi qua e là per la città.
Non sono diventato un suo fan, ma gli sono oltremodo riconoscente, grazie a lui, infatti, da allora ogni giorno posso beneficiare di quel dolce, delicato, confortante sorriso.
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Il racconto si lascia leggere, non mi ha entusiasmato molto per diversi motivi: 1. la frase iniziale aveva creato in me chissà quale aspettativa; 2. una classica storia vista e rivista; 3 alcune sviste come la pioggia che si calma, quando non se n'era accennato prima; 4. L'uomo salì in macchina passarono i secondi e... non ho capito la sospensione. 5. L'imbarazzo dei due al telefono forse voleva essere comico ma non lo è stato, oppure se non lo voleva essere non mi è piciuto come sia statao gestito. 6. Il riconoscimento del leader del gruppo.
Per quanto riguarda la forma:
Suoneria invece di soneria
Cantante-bassista, non poteva quindi strimpellare la chitarra a prescindere
"La ragazza mi aveva evidentemente seguito" toglierei evidentemente.
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mi permetto di segnalare che vi sono dei refusi (es. riuscì però di irritarmi).
le descrizioni sono buone e i protagonisti abbastanza simpatici.
però non è una storia che lascia il segno, sinceramente
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Re: Quel sorriso
Per Eliseo: hai ragione della pioggia non si parla prima, in una prima stesura più lunga un richiamo c'era, ma poi taglia qui taglia là. Non ho niente contro i chitarristi bassisti anzi! Ma il protagonista non la pensa come me. Per le correzioni prendo atto e correggo.
Grazie ancora
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Re: Quel sorriso
No ma intendevo dire che prima era stato scritto che il leader fosse bassista e cantante, poi alla fine hai scritto che non era sul palco a strimpellare la chitarra, forse non mi ero spiegato beneStefyp ha scritto: ↑09/01/2020, 19:49 Grazie a tutti per i commenti e i consigli.
Per Eliseo: hai ragione della pioggia non si parla prima, in una prima stesura più lunga un richiamo c'era, ma poi taglia qui taglia là. Non ho niente contro i chitarristi bassisti anzi! Ma il protagonista non la pensa come me. Per le correzioni prendo atto e correggo.
Grazie ancora
Re: Quel sorriso
Vero, scusa solo adesso ho capito la tua precisazione. Mea culpa. Hai ragione, correggerò.Eliseo Palumbo ha scritto: ↑09/01/2020, 21:05 No ma intendevo dire che prima era stato scritto che il leader fosse bassista e cantante, poi alla fine hai scritto che non era sul palco a strimpellare la chitarra, forse non mi ero spiegato bene
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Il racconto è carino, buona la descrizione del carattere del protagonista, indolente e remissivo, che trova la sua anima gemella, proprio in senso letterale, in una ragazza molto simile a lui.
Nel commento al mio brano dici di cercare ispirazione per i dialoghi, in questo non sono affatto male, adeguati al contesto, un po' da commedia rosa.
Ripeto, racconto semplice e carino, tutto sommato piacevole.
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Descrivi bene i due protagonisti, cerchi di approfondirne i caratteri, bel lavoro.
Unico particolare che avrei evitato: "Avrei potuto cercare di resistere? Dire che stavo poco bene e volevo riposare? " Sono due domande retoriche, in cui sembra, per colpa di quel punto di domanda, che tu ti rivolga al lettore.
Basterebbe trasformarle in affermazioni togliendo quel punto interrogativo.
Re: Quel sorriso
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Beh, avresti potuto essere più generosa nella descrizione della ragazza, molte persone l'avrebbero finita lì prima di cominciare, E avrebbero sbagliato, visti gli sviluppi.
Racconto gradevole e bel scritto, una volta tanto con un finale ottimista. Proprio quello che mi ci voleva per la giornata di oggi. ElianaF non crede ai colpi di fulmine, ma stamattina alle 7:22 sono passati 47 anni dal mio.
Re: Quel sorriso
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Re: Quel sorriso
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Cuori di fiele
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A cura di Roberto Virdo'.
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