La vendetta è mia
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- Eliseo Palumbo
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Nel primo caso la vendetta non arriva, e non c'ho capito nulla.
Nel secondo caso invece, Dio lo punisce obbligandolo a tornare sulla "retta via", attraverso il mutismo, l'odio scaturito dall'ingiuria, il doppio miracolo del recupero della voce e della guarigione dell'inferma, e il ritorno sui suoi passi; in questo caso mi è piaciuto molto. Ho comunque il dubbio e spero in una deluciazione.
Un altro quesito mi sorge sulla piuma intrisa d'inchisotro: ha alla fine scritto qualcosa o ha lasciato perdere? Se ha scritto, cosa stava scrivendo?
Altra perplessità: perché il calesse? Non sarebbe stato meglio uscire direttamente vestito da frate, da un'uscita secondaria magari? E il coltello, perché sotto il saio? Come lo avrebbe cacciato fuori?
Il racconto è scritto bene a parte un paio di spazi dimenticati come: poimi, nonha, enon.
Re: La vendetta è mia
Nel rispondere alle tue domande, rivivo felicemente i momenti della stesura. Il racconto nasce infatti dopo aver letto il bellissimo romanzo di Dacia Maraini, La vita di Marianna Ucria, incentrato proprio su un personaggio muto (femminile in quel caso). Mi sono intestardito, e alla fine ho tirato fuori questo racconto. Per la prima domanda che mi poni, ti dico subito che la seconda spiegazione che ti sei data è quella che ho voluto trasmettere io: il personaggio muto è infatti in balia della decisione di Dio, che lo punisce quasi costringendolo al miracolo, ricordandogli che la vendetta è solo Sua. Tale aspetto, per altro, ho voluto legarlo all’altra circostanza che alita nella storia (o dovrebbe alitare), in cui, se il muto aveva perso la fede verso la chiesa e verso se stesso, Dio non l’aveva mica persa nel muto.
Riguardo alla piuma d’oca che il muto la intinge d’inchiostro, alla fine ha scritto agli zii la seguente frase: “Esco a sbrigare delle commissioni”, semplicemente non ho messo la frase tra virgolette per dare coerenza ai pensieri del muto scanditi dal io-narrante. La scena indugia un po’, del resto, per far risaltare il pudore del personaggio muto, il quale, tutto sommato, nonostante la sua acredine e sete di vendetta, è pur sempre un “buono”, cui gli riesce difficile persino mentire (da lì il suo arrossire fino agli orecchi).
In quanto alla scelta del calesse e di sgattaiolare da un’uscita secondaria, per il personaggio muto era importante non farsi notare dalla gente che lo avrebbe potuto riconoscere per strada, inoltre essendo un barone dovevo dare una certa profondità alle descrizioni, insomma dare l’idea dei luoghi dove si muoveva questo pentito frate che dal voto di povertà ritornava a essere un ricco barone.
Il coltello, infine, era infilato dentro il fodero fissato stabilmente alla cintura da un passante posteriore, cintura con fodero che il muto ha messo sotto il saio prima di partire con il calesse. Nel finale, pentito dai suoi propositi di vendetta, si è infatti disfatto dal coltello slegandosi la cintura e lanciando il tutto oltre il ciglio della strada.
Grazie quindi per l’opportunità e anche per la segnalazione dei refusi, ora provvedo a sistemare.
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Ti segnalo questo: “Gli domando dove si trovi la donna…”, in quel momento Alfio non ha ancora ritrovato la voce. “coletto” al posto di “coltello” e qualche spazio mancante, come ha già sottolineato Eliseo.
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"Chissà se un muto, che ha rinnegato la fede, è in grado di pensare come una persona normale" se non ho sbagliato a capire questa è la frase che fa scaturire tutta la rabbia del protagonista. Se così è direi che è un po' pochino, avrebbe dovuto usare un'offesa più pesante, più cattiva.
Non riesco a dare un voto più alto di 3 anche se mi spiace, ma l'estrema lunghezza, per me ovviamente, lo penalizza
Re: Commento
Lieto che ti sia piaciuto Roberto, grazie delle segnalazioni dei refusi, l'incoerenza che mi segnali in effetti mi è sfuggita del tutto. Ora sistemo.Roberto Bonfanti ha scritto: ↑08/12/2019, 19:09 Mi piace molto questo racconto sul giovane barone Alfio Coviello e la sua storia di redenzione e di perdono; una riconciliazione, sia con se stesso che con la fede. Anche la lunghezza, inusuale per queste gare, passa in secondo piano grazie a una buona prosa, uno stile elegante e preciso e una trama che coinvolge.
Ti segnalo questo: “Gli domando dove si trovi la donna…”, in quel momento Alfio non ha ancora ritrovato la voce. “coletto” al posto di “coltello” e qualche spazio mancante, come ha già sottolineato Eliseo.
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Re: La vendetta è mia
Sono contento di averci azzeccato, di conseguenza avevo afferrato la fede di Dio in lui.Giampiero ha scritto: ↑08/12/2019, 18:54 ... ti dico subito che la seconda spiegazione che ti sei data è quella che ho voluto trasmettere io: il personaggio muto è infatti in balia della decisione di Dio, che lo punisce quasi costringendolo al miracolo, ricordandogli che la vendetta è solo Sua. Tale aspetto, per altro, ho voluto legarlo all’altra circostanza che alita nella storia (o dovrebbe alitare), in cui, se il muto aveva perso la fede verso la chiesa e verso se stesso, Dio non l’aveva mica persa nel muto.
In questo caso è stata una mia svista, avrei dovuto rileggerlo una seconda volta prima di commentare forse, figuraccia ahah
Be' l'idea e i luoghi dove viveva erano già stati descritti molto bene, perdonami ma resto della mia idea che sarebbe stato meglio non attirare l'attenzione, anche perché a fine '700 un frate col calesse non passava inosservato, specie un cappuccino, ordine conosciuto per essere "mendicante".Giampiero ha scritto: ↑08/12/2019, 18:54 In quanto alla scelta del calesse e di sgattaiolare da un’uscita secondaria, per il personaggio muto era importante non farsi notare dalla gente che lo avrebbe potuto riconoscere per strada, inoltre essendo un barone dovevo dare una certa profondità alle descrizioni, insomma dare l’idea dei luoghi dove si muoveva questo pentito frate che dal voto di povertà ritornava a essere un ricco barone.
Qui invece è un limite mio, non riesco a capire come lo avrebbe estratto da sotto il saio, ma non è importanti ai fini del racconto, che ripeto mi è piaciuto.Giampiero ha scritto: ↑08/12/2019, 18:54 Il coltello, infine, era infilato dentro il fodero fissato stabilmente alla cintura da un passante posteriore, cintura con fodero che il muto ha messo sotto il saio prima di partire con il calesse. Nel finale, pentito dai suoi propositi di vendetta, si è infatti disfatto dal coltello slegandosi la cintura e lanciando il tutto oltre il ciglio della strada.
Re: Commento
Per l'offesa ricevuta ho puntato sulla psicologia di sua già molto provata del personaggio muto, del suo sentirsi un fallito e sentirselo rinfacciare così crudelmente in società, in questo contesto è bastata la classica scintilla per scatenare tutta la sua delusione, per aver creduto verso una Chiesa che l'ha profondamento deluso. Per la lunghezza del testo, lo capisco, grazie della lettura Stefy.Stefyp ha scritto: ↑08/12/2019, 19:15 È lungo, decisamente troppo lungo, soprattutto nella prima parte. Rischia di far perdere l'interesse al lettore prima che arrivi il punto cruciale. Sforbiciando alcune frasi il racconto ne verrebbe valorizzato. Lo stile mi piace, mi ci ritrovo.
"Chissà se un muto, che ha rinnegato la fede, è in grado di pensare come una persona normale" se non ho sbagliato a capire questa è la frase che fa scaturire tutta la rabbia del protagonista. Se così è direi che è un po' pochino, avrebbe dovuto usare un'offesa più pesante, più cattiva.
Non riesco a dare un voto più alto di 3 anche se mi spiace, ma l'estrema lunghezza, per me ovviamente, lo penalizza
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Complimenti per il bel racconto dunque. Per certi versi mi hai ricordato il grande Vincenzo Consolo.
Non ho nulla da segnalarti dal punto di vista formale oltre le sviste che già ti sono state indicate.
Ti segnalo altro: il racconto è ambientato sul finire del secolo del Lumi, ma proprio per questo una similitudine del genere: "come un pallone che viene allontanato con un calcio." è del tutto fuori contesto.
Come quest'altro termine, per esempio: "Devo punire quel bastardo di Salvatore Berti". Mi riferisco a bastardo.
Anche il comportamento dei genitori mi è sembrato incongruente non solo rispetto al tempo e al loro stato sociale, ma in sé. Se non avevano condiviso la scelta del figlio di prendere il saio, dovevano poi esser contenti della scelta contraria, senza contare che in quel periodo era in vigore il maggiorascato.
I rapporti tra il giovane barone e i suoi parenti sembrano poi troppo moderni, anzi paiono animati da uno spaesamento quasi contemporaneo. Come il suo trovare e perdere la fede in modo troppo rapido, quasi modaiolo. Anche il livore di quel Salvatore Berti mi ha ricordato quello di un contemporaneo bullo, che poi rifiuta lo scontro fisico aperto, piuttosto che altro.
Marianna Ucrìa diventa muta per l'offesa subita da bambina dallo zio che diventerà poi suo marito. Qui il barone, già adulto, perde la voce per dei motivi tutto sommato futili.
Tutto ciò per dirti che i personaggi mi sono sembrati troppo moderni, e poco calati in quella realtà.
Il miracolo della guarigione improvvisa di Marta mi è sembrato un espediente troppo facile e, per quanto il racconto non sia breve, mi è sembrato affrettato. Bellissimo invece l'incontro, doppio, con Salvatore Gangemi. Quello davvero un colpo da maestro.
Re: Commento
Grazie Isabella, sei attenta lettrice. La personalità del protagonista che cambia con il proseguo della storia è un atto che ho voluto trasferire per l’economia e coerenza della storia. Per quanto riguarda la tua perplessità, vedi la proprietà del protagonista l’ho ubicata ad Acireale e la località di destinazione è Monterosso, oggi una frazione di Aci Sant’Antonio, distante circa 3/4 chilometri da Acireale, ma si deve considerare che la topografia di allora (siamo nel 1700) era certamente diversa dei tempi attuali e quindi lo scenario diciamo che l’ho adeguato con un po’ di fantasia. Il percorso fatto dal personaggio muto, praticamente, è un andare e venire Acireale - Monterosso, dove a metà strada, all’andata, il barone ha incontrato Salvatore e la squadra di operai, e al ritorno, ripassando, ha notato che avevano fatto progressi con il loro lavoro. Il calesse, quindi, a un certo punto del tragitto, a metà percorso, è stato nascosto nella grotta, e il barone, travestendosi da frate, ha preferito proseguire con il baio, proprio per non essere riconosciuto.Isabella Galeotti ha scritto: ↑09/12/2019, 9:27 Cosa scrivere. Ho trovato questo racconto un'ottima lettura, anche se lungo, l'ho aprezzato molto. Sia per le descrizioni, minuziose, sia per la personalità dell'attore, d'apprima vendicativa rabbiosa e poi redenta e quasi santificata, grazie al passaggio nella cascina di Marta. come già fatto notare i refusi sono poca cosa. Ho una perplessità. Salvatore. Alfio incontra Salvatore alla pietraia poi percorre ancora un po di strada per raggiungere il nastondiglio. Poi, probabilmente la casa di Marta è dopo il nascondiglio della grotta. Quando arrivi nuovamente da Salvatore all'epilogo della storia. Scrivi che ha proseguito con il lavoro, ottimo, Alfio è ancora vestito da frate e si libera, fortunatamente della lama che nasconde sotto di esso. Mi chiedo allora ha girato in tondo? Mi sfugge Salvatore calesse barone vestito bene, poi Salvatore baio frate saio. Vabbe. comunque voto 5
Re: Commento
Intanto grazie per l'opportunità, Monterosso è una piccola frazione vicino Acireale, all'epoca zona di campagna.Namio Intile ha scritto: ↑09/12/2019, 11:54 A giudicare dal modo di scrivere un po' barocco - carico di suggestioni, amore per i dettagli e per le descrizioni -, per non parlare di quell'Acireale e di quel Monterosso (che però mi ha confuso), sei siciliano come me.
Lui però è un grande autore oltre che saggista e poeta, io diciamo che conosco i miei limiti tanto da amarli per auto-simpatia.Namio Intile ha scritto: ↑09/12/2019, 11:54 Complimenti per il bel racconto dunque. Per certi versi mi hai ricordato il grande Vincenzo Consolo.
Non ho nulla da segnalarti dal punto di vista formale oltre le sviste che già ti sono state indicate...
Capisco l'osservazione, in realtà ho pensato che un autore ha bisogno di prendersi alcune libertà di espressione diciamo contemporanei, fermo restando che calciare un pallone usato come metafora non mi sembra proprio fuori contesto anche per quell'epoca. Mentre per il termine "bastardo" magari hai ragione.Namio Intile ha scritto: ↑09/12/2019, 11:54
Ti segnalo altro: il racconto è ambientato sul finire del secolo del Lumi, ma proprio per questo una similitudine del genere: "come un pallone che viene allontanato con un calcio." è del tutto fuori contesto.
Come quest'altro termine, per esempio: "Devo punire quel bastardo di Salvatore Berti". Mi riferisco a bastardo....
I genitori erano assenti del tutto, a prescindere del comportamento che avrebbe avuto il figlio. Ho voluto rappresentare un tipo di abbandono che è sempre stato presente nelle epoche storiche passate come lo saranno credo nelle epoche future. Certi atteggiamenti sono eterni, insite all'uomo. Come il bullo di turno, che nel Settecento magari lo definivano con un altro termine, ma sicuramente esisteva il tipo. Per la guarigione improvvisa, non saprei, il contesto entra nella dinamica di stesura di un racconto incentrato comunque sul personaggio muto che ha perso la fede oltre che la parola.Namio Intile ha scritto: ↑09/12/2019, 11:54 Anche il comportamento dei genitori mi è sembrato incongruente non solo rispetto al tempo e al loro stato sociale, ma in sé. Se non avevano condiviso la scelta del figlio di prendere il saio, dovevano poi esser contenti della scelta contraria, senza contare che in quel periodo era in vigore il maggiorascato.
I rapporti tra il giovane barone e i suoi parenti sembrano poi troppo moderni, anzi paiono animati da uno spaesamento quasi contemporaneo. Come il suo trovare e perdere la fede in modo troppo rapido, quasi modaiolo. Anche il livore di quel Salvatore Berti mi ha ricordato quello di un contemporaneo bullo, che poi rifiuta lo scontro fisico aperto, piuttosto che altro.
Marianna Ucrìa diventa muta per l'offesa subita da bambina dallo zio che diventerà poi suo marito. Qui il barone, già adulto, perde la voce per dei motivi tutto sommato futili.
Tutto ciò per dirti che i personaggi mi sono sembrati troppo moderni, e poco calati in quella realtà.
Il miracolo della guarigione improvvisa di Marta mi è sembrato un espediente troppo facile e, per quanto il racconto non sia breve, mi è sembrato affrettato. Bellissimo invece l'incontro, doppio, con Salvatore Gangemi. Quello davvero un colpo da maestro.
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Re: Commento
Grazie, Diego, lieto che ti sia piaciuto nei contesti per me importanti. Con i racconti lunghi si rischia in effetti la vendetta del lettore che, appena sgarri, te la fa pagare per averlo costretto a leggere. Lo so per esperienza diretta. eh ehDiego.G ha scritto: ↑08/12/2019, 23:38 Difficile commentare dopo che hanno commentato minuziosamente gli altri scrittori. Personalmente l'ho trovato un pochino lunghetto anche io, ma non sono la persona più adatta per parlare di lunghezza, data la lunghezza del mio racconto in gara. Il racconto è scritto bene, il tema della redenzione mi è piaciuto (anche se sono ateo), mi piaceva anche il tema della vendetta comunque. A parte alcune sviste che ti hanno già segnalato, è un buon racconto.
Re: Commento
Fa sempre piacere apprendere da un commento aspetti che magari avevi puntato e organizzato con fatica. Lo sragionare del personaggio, infatti, è stata la prima caratterizzazione di questo muto parecchio incavolato con il mondo intero. Grazie, quindi, per le belle parole, Selene.Selene Barblan ha scritto: ↑09/12/2019, 8:27 Il racconto è bello, coinvolgente, suscita immagini vivide e riesce a catturare l’attenzione fino alla fine. Sia i luoghi, sia i ragionamenti o sragionamenti del protagonista sono ben delineati, minuziosamente descritti. Questo permette al lettore di accompagnare il protagonista nel suo viaggio e di percepire le sensazioni da lui provate. Voto 4.
Re: Commento
Come dicevo nel commento a Diego, con i racconti lunghi si rischia la pelle. Ho voluto puntare sulla scorrevolezza del testo che, da lettore accanito che sono, ho riconosciuto al testo dopo averlo riletto a distanza di tempo. Mi sono detto: non è malvagio. Ma, vabbè, io sono di parte. Lieto che ti sia piaciuto, Laura.Laura Traverso ha scritto: ↑10/12/2019, 19:30 E' senza dubbio un buon racconto, ricco di sfumature e storia, molto remota. Analizza tanti aspetti dei comportamenti umani con eleganza e precisione. La lunghezza del narrato mi ha un un poco bloccata ma è vero ciò che è già stato segnalato: il racconto risulta molto coinvolgente e la lunghezza passa in secondo piano.
- Giorgio Leone
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Il racconto mi è piaciuto molto e ti dico solo i punti che mi sono sembrati un po' deboli.
Il primo è veramente una sciocchezza, forse dettata dall'invidia verso questo barone che riesce a infilarsi la camicia nei pantaloni mentre si mette le scarpe: io sarei finito per terra, e infatti procedo in quest'ordine. Prima mi metto la camicia, poi la scarpa destra (la sola volta che ho messo prima l'altra mi sono slogato una caviglia), poi la sinistra. Riuscire a infilarsi tutto insieme, tenendo anche conto che non stiamo parlando di pantofole ma di scarpe baronesche, è da circo.
In secondo luogo l'offesa al Circolo "Chissà se un muto, che ha rinnegato la fede, è in grado di pensare come una persona normale" mi sembra troppo debole per averlo fatto incazzare così tanto. Io avrei calcato molto di più la mano, magari deridendo il povero barone.
Poi, quando incontra il vecchio, avrei fatto parlare solo lui, evitando l'infelice frase "Con un gesto del mento gli faccio capire dove si trovi la donna". Gli faccio capire?
Infine, la vera cosa che non mi è piaciuta è le frase finale: non una frase qualcunque, ma quella terminale che avrebbe dovuto raccogliere tutte le promesse fatte (qui sì, che lo dico anch'io) in un corposo racconto.
"La previsione di una giornata calda era solo una mia segreta speranza.
Sotto la pioggia innocua e grigia che mi bagna scrosciante l’abito da frate, i miei pensieri hanno preso un corso più tranquillo."
Non mi piace né la previsione che è una speranza (di una giornata calda?), né la pioggia innocua e grigia che però scroscia. Ma il vero problema è la frase moscia "i miei pensieri hanno preso un corso più tranquillo", assolutamente inadeguata al paio di miracoli (la parola che torna e il morto vivente) che, probabilmente, riporteranno il barone alla fede. insomma, a mio avviso qui ci voleva qualcosa di più forte e conclusivo, evitando naturalmente la discesa nel patetico sdolcinato mistico.
Re: Commento
Ciao Giorgio, intanto grazie per il tempo che hai dedicato al mio testo e lieto che ti sia piaciuto. In merito al tuo discorso, sono d'accordissimo con te, quel che conta è come è scritto un testo, i tempi soprattutto, non certo la sua lunghezza o la sua brevità. Non è come una formula matematica, se no il risultato sarebbe acclarato a ogni colpo di sciabola. Per dirla compiutamente, su certi testi cosiddetti corti, spesso impieghi più tempo a leggerli. Stesso discorso, per altro, per le poesie (ma qui ci sarebbe da scrivere un saggio a parte).Giorgio Leone ha scritto: ↑20/12/2019, 15:30 Mah, io questi discorsi sulla lunghezza del testo, intesa come un difetto anche se rientra nel numero legale dei caratteri, mica li capisco: tanto è vero che una volta sono riuscito a leggere persino un romanzo. Cosa vuol dire lungo? Se uno riuscisse a riassumere Guerra e pace in 12.000 caratteri, sarebbe lungo? L'importante è che lo scrittore abbia buttato fuori tutto quello che aveva in testa senza essere né prolisso, né ripetitivo.
Ah ah (ti ho visto praticamente slogarti una caviglia). Il barone Coviello avrà preso le brutte abitudini del suo autore. Io che sono un disordinato cronico, metto al volo ciò che mi capita a tiro.Giorgio Leone ha scritto: ↑20/12/2019, 15:30 Il racconto mi è piaciuto molto e ti dico solo i punti che mi sono sembrati un po' deboli.
Il primo è veramente una sciocchezza, forse dettata dall'invidia verso questo barone che riesce a infilarsi la camicia nei pantaloni mentre si mette le scarpe: io sarei finito per terra, e infatti procedo in quest'ordine. Prima mi metto la camicia, poi la scarpa destra (la sola volta che ho messo prima l'altra mi sono slogato una caviglia), poi la sinistra. Riuscire a infilarsi tutto insieme, tenendo anche conto che non stiamo parlando di pantofole ma di scarpe baronesche, è da circo.
Be', come detto in un precedente commento l'incazzamento del barone era già in atto, nel suo conflitto interno. Non so, questo aspetto che mi avete rilevato mi fa riflettere, sinceramente da lettore non riesco a coglierlo come una parte debole, anche perché faccio notare che il racconto inizia in medias res, qualcosa quindi da trasmettere al di fuori dell'esplicito dire dovrebbe essere insito nelle sue corde. Per la risposta al vecchio… vediamo 'sta frase infelice di cambiarla, magari toglierla.Giorgio Leone ha scritto: ↑20/12/2019, 15:30 In secondo luogo l'offesa al Circolo "Chissà se un muto, che ha rinnegato la fede, è in grado di pensare come una persona normale" mi sembra troppo debole per averlo fatto incazzare così tanto. Io avrei calcato molto di più la mano, magari deridendo il povero barone. Poi, quando incontra il vecchio, avrei fatto parlare solo lui, evitando l'infelice frase "Con un gesto del mento gli faccio capire dove si trovi la donna". Gli faccio capire?
La frase "moscia", simpaticamente parlando, in realtà è voluta (e mi fa piacere che l'hai colta), per dare l'idea dell'ira ormai scemata (per la serie, la quiete dopo la tempesta). Metterci qualcosa di forte? Uhm… come dici tu, corri il rischio di incorrere nel patetico o, peggio ancora, nel misticismo.Giorgio Leone ha scritto: ↑20/12/2019, 15:30 Infine, la vera cosa che non mi è piaciuta è le frase finale: non una frase qualcunque, ma quella terminale che avrebbe dovuto raccogliere tutte le promesse fatte (qui sì, che lo dico anch'io) in un corposo racconto.
"La previsione di una giornata calda era solo una mia segreta speranza.
Sotto la pioggia innocua e grigia che mi bagna scrosciante l'abito da frate, i miei pensieri hanno preso un corso più tranquillo".
Non mi piace né la previsione che è una speranza (di una giornata calda?), né la pioggia innocua e grigia che però scroscia. Ma il vero problema è la frase moscia "i miei pensieri hanno preso un corso più tranquillo", assolutamente inadeguata al paio di miracoli (la parola che torna e il morto vivente) che, probabilmente, riporteranno il barone alla fede. Insomma, a mio avviso qui ci voleva qualcosa di più forte e conclusivo, evitando naturalmente la discesa nel patetico sdolcinato mistico.
È stato un piacere.
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