
Istantanee da New York. La fotografia come significante della guerra




Descrizione: Può sembrare solo un problema di termini, un rompicapo per filosofi della politica, eppure sembra che manchino effettivamente le parole per definire ciò che è accaduto l'undici di settembre a New York.
Incipit: A vent'anni dalla sua ideazione ho ripescato questo saggio, scritto a quattro mani, sugli eventi dell'11 settembre 2001. Sebbene si tratti dell'opera di due giovani neo-laureati, che peccavano di sfrontata sicurezza, ha ancora in sé alcuni spunti profetici. Oggi alcuni temi, solo sfiorati, sembrano all'ordine del giorno: come quello della globalizzazione, che sembra inevitabilmente condurre al "riaffiorare di sentimenti nazionalisti, particolaristici, reazionari e locali".

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Che manchino le parole per definire l'11 settembre può anche essere, fu un atto del tutto eccezionale, sia che si tratti di guerra o terrorismo. La scelta di definirlo atto di guerra aveva invece connotati precisi: atto di guerra, dunque noi "attaccati" rispondiamo invadendo l'Afganistan. Strategia politico-militare, come sottolinei tu stesso.
Se il fotogiornalismo ha generato dei simboli visivi riconducibili alla guerra è forse lecito chiedersi se esso sia stato del tutto libero o funzionale alla politica aggressiva di Bush.
Campo di battaglia, soldati, nemico, celebrazione degli eroi… sembrano in effetti immagini atte a manipolare l'opinione pubblica per giustificare la risposta all'attentato (non a caso lo definisco tale).
La descrizione delle fotografie l'ho trovata superba. Bravo.
La foto dello skyline di Manhattan mi sembra fatta apposta per ingigantire le dimensioni del tragico evento: è tutto piccolo tranne la nuvola di fumo.
La foto 2 trasmette terrore e l'opinione pubblica statunitense è particolarmente sensibile al terrore (oh my god!). In questo modo il nemico si rende presente, scrivi. E scrivi giusto.
La foto 4 e la descrizione che ne hai dato mi ha fatto pensare a John Wayne. Il giusto, l'eroe… un film americano su gente che si faceva un mazzo così per tirar fuori morti e feriti da quelle macerie.
A mio avviso manca l'analisi di una foto altrettanto forte: l'uomo che cade. Il contraltare all'iconografia fotografica che hai ben recensito. Il lato debole, la resa, la disperazione folle davanti la sconfitta.
P.s. ricordo male o esistono immagini anche del primo impatto?
Dopo la stesura lo abbiamo proposto al professor Abbruzzese di Scienze della comunicazione ed è stato pubblicato da Franco Angeli in un volume a cura di Mario Morcellini, "Torri crollati" (sì, lo so! Il titolo fa schifo) con le foto purtroppo in bianco e nero (questioni di budget).
A distanza di tanti anni non ricordo se la foto dell'uomo che cade dal grattacielo era presente nel catalogo della mostra. Nonostante sia qualcosa di unico, è però impressionante: nel senso che sconvolge, lascia senza parole, svuota lo spirito. Sicuramente l'avrei scartata, perché troppo al di là della comprensione razionale.
Che i media siano stati "arruolati" per alimentare il revanscismo non ne dubito. Penso sia stato in buona parte un atto libero. Gli americani hanno quasi spontaneamente sposato la causa della guerra con poche significative eccezioni, come nel caso di Noam Chomsky. Nessun complottismo naturalmente. Le guerre moderne sono fatte anche di propaganda (e l'Ucraina fa tutt'altro che eccezione, sia che siamo pro o contro la Russia). Cmq, nonostante che la scelta di fare o meno una guerra sia in larga parte sottratta ai meccanismi di decisione democratica, resta sempre la speranza e la risorsa che un dibattito pubblico ampio ed informato possa effettivamente cambiare l'esito della scelta. In parte questo è accaduto con il Vietnam e si può sperare che accada con l'Ucraina. Gli anni successivi all'undici di settembre fanno eccezione. A distanza di tempo le ragioni della guerra sembrano ancora monolitiche nell'opinione pubblica americana: si doveva combattere, e combattere proprio contro quei paesi - Afghanistan e Iraq - che poi sono stati invasi. E questo, secondo me, è solo in parte spiegabile con la propaganda.
Grazie ancora e un abbraccio!
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La convinzione degli americani sulla necessità della guerra dipende solo in parte dalla propaganda, è vero. Io pero' ci vedo una sorta di indottrinamento permanente, qualcosa che spinge a mantenere quelle idee. Coiè: se il popolo fosse favorevole alla guerra ma i governi che si succedono intraprendessero invece politiche di distensione si andrebbe alla guerra comunque oppure no? Se la propaganda fosse "al contrario" non influirebbe lo stesso sulla mentalità della massa indottrinandola al pacifismo?
1) In primo luogo - prendo spunto da Habermas - l'opinione pubblica è efficace nel lungo periodo. È quasi impossibile che un dibattito razionale nell'ambito della società civile possa svolgersi nell'arco di poco tempo e a suon di sondaggi (sempre che quest'ultimi riescano a catturare veramente un sentire comune o solo la posizione di una maggioranza relativa).
2) Il fatto che esista una maggioranza favorevole o contraria a qualcosa non significa che la società abbia ragione e chi governa invece torto. Purtroppo anzi, accade spesso il contrario perché i cittadini sono soggetti a una disinformazione provocata volontariamente o (forse più spesso) involontariamente dai mezzi di comunicazione, e a bias che distorcono sistematicamente i fatti e i dati. Una decisione importante non si può basare sull'aggregazione quantitativa delle opinioni dei singoli, ma sulla capacità di aggregare qualitativamente le diverse opinioni all'interno di una cornice razionale e istituzionale, che filtra gli errori di giudizio e smaschera i cattivi ragionamenti.
3) Un buon sistema rappresentativo dovrebbe garantire che chi governa (Parlamento) sia messo nelle condizioni di affrontare una discussione pubblica razionale su temi importanti come la guerra, influenzando l'opinione pubblica in senso positivo, ovvero non propagandistico, ideologico o dottrinale. Il Parlamento dovrebbe essere effettivamente quello spazio istituzionale di costruzione della società civile e amplificazione dell'opinione pubblica, in un rapporto di costante di influenza reciproca.
4) In questo contesto è di fondamentale importanza il fiorire della società civile attraverso istituzioni intermedie di carattere associativo e democratico. Inoltre i mezzi di comunicazione dovrebbero svolgere un ruolo arbitrale in questo dibattito, cioè non fazioso o partigiano, ma dando modo effettivamente alle varie opinioni di confrontarsi su un piano dialettico e proponendo sintesi fruttuose.
Purtroppo tutto questo manca in buona parte nelle moderne democrazie, dove vigono regole di contrapposizione (tra dottrine, partiti, opinioni), piuttosto che di dialettica. La logica è quella di inquadrare la propria fazione dell'opinione pubblica all'interno di un recinto o camera dell'eco. In queste condizioni non c'è modo di aprire un dibattito razionale, in cui anche i mezzi di comunicazione possano svolgere un ruolo arbitrale e non di propaganda.
Quello che sostengo è, dunque, in gran parte utopia: il modo in cui - secondo me - dovrebbero svolgersi le cose; non la maniera in cui si svolgono effettivamente.
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Nel caso della Russia poi è abbastanza chiaro che non siamo di fronte ad un'opinione pubblica compattamente a favore o contro la guerra. Mi sembra anzi che nella sostanza, nonostante i contraccolpi delle sanzioni, ci sia una larga maggioranza favorevole al fatto che l'invasione dell'Ucraina non potesse essere semplicemente tollerata. Al riguardo esistono argomenti piuttosto forti a sostegno del fatto che l'azione Russa è una chiara violazione del diritto internazionale.
Quello che, però, mi preme sottolineare è che esiste un chiaro limite tra quella che deve essere una scelta del governo, di cui esso si assume tutta la responsabilità, e una scelta presa "in nome di". Un sistema di propaganda tende sottilmente ad eludere questo confine e a far sembrare quella che è una responsabilità individuale in qualcosa di collettivo.
La propaganda di guerra, dopo il covid, è proseguita senza la minima soluzione di continuità; i media (tv e giornali) hanno sbianchettato la voce "Covid", passandola alle pagine interne, e c'hanno scritto sopra "Ucraina vittima del cattivo di turno".
Mai come oggi è parsa chiara la totale subalternità di certe nazioni (Italia in testa) all'interno della NATO, e la cooptazione delle élites europee che sono perfettamente consce di non stare facendo gli interessi dei propri popoli, ma proseguono imperterrite. Perché? Come diceva quel tale, fatevi una domanda e datevi una risposta.
Poi - ribadisco - ciò che mi dà più fastidio, da una parte e dall'altra, è che certe scelte vengano fatte "in nome di": la responsabilità in simili decisioni è esclusivamente di chi governa.
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Posso confermare per esperienza diretta che la propaganda antieuropea in Russia è molto forte dallo scoppio del conflitto e non faccio alcuna fatica a immaginare che in Ucraina sia lo stesso nei confronti della Russia. Queste due nazioni stanno facendo l'interesse dei loro popoli? Gli USA facevano l'interesse del loro popolo andando a far la guerra in Afghanistan? Uno stato è tre cose, lo sappiamo: governo, territorio e popolo. È emblematico che a difesa del governo e del territorio si sacrifichi sempre il popolo e mai il contrario. Aspetto inutilmente quel giorno in cui qualcuno che comanda dica: "per salvare le vite del nostro popolo rinunciamo al lercio pezzo di terra".
Penso all'articolo 52 della nostra Costituzione: "la difesa della patria è sacro dovere del cittadino". È orribile. Siamo carne da macello per costituzione e sono quasi sicuro che sarà così nella stragrande maggioranza dei paesi del mondo.
La democrazia vera è un'altra faccenda, e in una società capitalista chiedere "Da ciascuno secondo le sue capacità", e dare "a ciascuno secondo i suoi bisogni" risulta piuttosto complicato. D'altra parte, anche in società del socialismo reale le cose sono andate in modo pessimo. Purtroppo un sistema di governo che concili libertà e uguaglianza (almeno, nelle opportunità) in egual misura è di là da venire, e chissà se i nostri pronipoti lo vedranno…
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Sull'11/9 sono stati scritti centinaia di volumi e chi voleva farsi un'idea penso se la sia fatta, e chi non lo voleva non lo farà mai, esattamente come nel caso della pandemia o della guerra russo-ucraina.
L'unico fatto certo è che l'11 settembre 2001 ha inaugurato un'epoca di emergenze, successive e sempre più ravvicinate, che seguono tappe precise di una non meglio definita agenda con un obiettivo principale: una sempre maggiore pervasività del controllo del potere sugli individui. Tale controllo viene giustificato con motivi che cambiano di volta in volta, quindi la propaganda mediatica diventa fondamentale: da strumento usato nella pubblicità, è ora un'arma nella guerra ibrida, che ha (in parte) sostituito la guerra guerreggiata con fucili e cannoni. Solo che, in questo caso, le vittime siamo noi.
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descrizione: Altro racconto non selezionato per la 365 FDM spero comunque che vi piacerà.
incipit: Eravamo su già da un po' Siamo scesi giù assieme ad alcuni dei satelliti che occupavamo Più o meno un "pack" per continente Giù, rapidi e veloci, senza paura ne dolore; eravamo fatti apposta per questo Iniziammo a debellare gli occupanti prima a piccoli gruppi, poi, in successione sempre maggiore, prendevamo forza, imparavamo, diventavamo sempre più resistenti
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